Tra vaccinazioni e licenziamenti
l'accoglienza aspetta chiarimenti
Ristoranti, bar, pizzerie, hotel e cantine attendono che il Governo si faccia sentire sulla questione dell'obbligo vaccinale per i dipendenti. In gioco ci sono l'organizzazione del lavoro e la sicurezza dei clienti. Per la ripresa, infatti, sarà necessario rifidelizzare i consumatori. A partire dall'applicazione dei protocolli anti-contagio.
La campagna vaccinale va ancora a rilento in Italia, ma la questione dell’obbligatorietà del trattamento così come l’impatto sui diversi settori dell’economia non ha tardato ad emergere. Fra sicurezza e fiducia, infatti, si giocano le future organizzazioni aziendali che dovranno farsi carico anche dell’eventuale dipendente che non vuole o non può vaccinarsi.
Gli esperti concordano: se non c'è la legge, non si può licenziare
Il dibattito è ancora aperto, ma il mondo giuslavoristico sembra quantomeno aver trovato una quadra sul tema. Attualmente, infatti, non esiste alcuna norma che obblighi un dipendente alla somministrazione del vaccino. Da qui deriva l’impossibilità del datore di lavoro di licenziare chi non accetta il siero. Questione risolta? Non proprio. Il nodo passa nelle mani dei medici aziendali a cui tutte le parti in causa guardano per avere maggiori lumi. A fronte della mancanza di una norma che “squalifichi” il lavoratore non vaccinato, il datore di lavoro può al massimo far seguito all’inidoneità per la mansione svolta segnalata dal medico con la sospensione dal lavoro. Insomma, c’è bisogno che la politica chiarisca.
Liborio Genovese: vaccini in ritardo, come i ristori
In attesa ti tutto ciò, e delle prossime riaperture, le varie categorie dell’Horeca sono lasciate nella confusione. «Siamo di fronte al classico caso del cane che si morde la coda. Da un anno a questa parte, infatti, le cose per la ristorazione non sono cambiate. Ci ritroviamo ancora ad avere a che fare con limitazioni e stop&go che lasciano le aziende in ginocchio. La stessa cosa riguarda il tema del vaccino. Siamo sempre fermi allo stesso punto, giriamo intorno all’assenza delle dosi», ha affermato lo chef Liborio Genovese del ristorante Langosteria Cafè Milano. Quando arriverà il suo turno, Genovese non si sottrarrà al vaccino, un passaggio necessario «se si vuole vivere in un contesto sociale composto da più persone», ma da dipendente si pone il problema. «Il problema è che non c’è una legge o un regolamento. Manca chiarezza. Se poi pensiamo che pure gli infermieri si rifiutano di fare il vaccino, cosa potremmo dire a un cuoco che non volesse farlo? Ancora non si sa», ha concluso Genovese.
I datori di lavoro guardano al contratto
Dalla parte del proprietario, invece, si pone Emilio Ascolani, patron dell’Hotel Astor (con annesso ristorante) di Frosinone. «Nel caso in cui un mio dipendente non si vaccinasse, dovrei rispettare il bene altrui e cambiargli mansione; anche se questo, di fatto, può diventare un fattore discriminante», ha affermato Ascolani. Niente licenziamento quindi? «E come potrei fare? È il legislatore che deve intervenire di autorità. Non c’è altra soluzione». Sulla stessa lunghezza d’onda anche Guglielmo Campajola, proprietario del bar La Caffetteria di Napoli: «Al momento la questione si riconduce al contratto di lavoro che non contempla la possibilità del licenziamento e che potrebbe pertanto prefigurarsi come discriminante. Peraltro, va detto che non esisterebbero mansioni prive di ogni contatto, in questo settore».
Licenziamento? Ultima ratio, prima il confronto
Certo è che prima di essere additato come un problema, il vaccino è prima di tutto una soluzione alla pandemia. «Quando si riaprirà sarà indispensabile stare bene per tutelare gli ospiti in arrivo», ha detto Renato Pancini della pizzeria Al Foghèr di Ponte alla Chiassa (Arezzo). E cosa succederà se un dipendente non volesse vaccinarsi? «In tutta franchezza, non so se si può licenziare un dipendente no-vax e nemmeno se può rimanere in cassa integrazione. Sarò comunque fermissimo. Se non ci si vaccina non se ne viene fuori. Ho 15 dipendenti e cercherei di affrontare tutte le strade possibili. Il licenziamento è l’ultima ratio. Ne va della salute della squadra e della clientela», ha proseguito Pancini. D’altronde, prima di tutto c’è da riconquistare la fedeltà del cliente.
Dall'azienda al territorio, l'esperienza di Santa Margherita Gruppo Vinicolo
Allargando ancor di più lo sguardo, il sostegno dei professionisti dell’Horeca al vaccino si tramuta in un sostegno al territorio. Lo sanno bene quelli di Santa Margherita Gruppo Vinicolo: «Già lo scorso marzo, insieme a Zignago Holding e le altre sue controllate, il nostro gruppo si è mosso in sostegno del territorio per contrastare l’emergenza da Covid-19, donando un milione di euro all’Ospedale di Portogruaro per la realizzazione di una recovery room destinata alla degenza post-operatoria, inaugurata proprio lo scorso febbraio. Parallelamente a questa iniziativa, ci siamo attivati in termini di responsabilità sociale nei confronti dei collaboratori, avviando una copertura assicurativa specifica per il Covid-19», ha raccontato Beniamino Garofalo, amministratore delegato di Santa Margherita Gruppo Vinicolo.
E per quanto riguarda il vaccino? «Ora che la campagna vaccinale sembra essere la più promettente chiave di volta per uscire da questa pandemia, abbiamo già dato la nostra disponibilità a Confindustria per attivare un punto vaccinazione nelle nostre strutture aziendali di Fossalta di Portogruaro, al fine di agevolare la vaccinazione della popolazione, inclusi i dipendenti e i loro famigliari; mentre in Lombardia, presso la tenuta di Erbusco, siamo disposti ad assecondare il progetto di vaccinazione promosso da Regione Lombardia. Resta fermo il fatto che si tratta di un trattamento sanitario non obbligatorio, ma come realtà aziendale da sempre attenta al welfare del proprio territorio, siamo ben felici di mettere a disposizione un'opportunità per chi vorrà coglierla», ha concluso Garofalo. italiaatavola
© Riproduzione riservata
Nessun commento:
Posta un commento