La grappa
come il whisky: l'evoluzione
di un nobile
distillato italiano
La grappa è l'unico distillato autenticamente italiano, nato nelle regioni del Nord come Friuli, Veneto e Piemonte. Originata dalla distillazione delle vinacce, ha radici antiche che risalgono alla distillazione araba e all'uso monastico medievale. Evolutasi da bevanda contadina a prodotto pregiato, grazie a innovazioni come la distillazione a vapore e l’invecchiamento, oggi è un'eccellenza internazionale
La grappa è l'unico distillato autenticamente italiano. A differenza di gin, vodka, whisky, brandy, che pur essendo prodotti in Italia hanno origini estere, la grappa nasce direttamente dalla tradizione contadina italiana. Questo distillato ha avuto origine nelle zone rurali di Piemonte, Trentino, Friuli Venezia Giulia e Veneto, con l'obiettivo di non sprecare nulla di ciò che la vite offriva ai contadini dopo la lavorazione dell'uva. Come lo scotch whisky, il cognac e il tequila, la grappa è uno dei pochi distillati che possono essere prodotti esclusivamente nella loro terra d'origine. Questo grazie al decreto europeo che ne ha sancito l'unicità e la tipicità, regolando l'uso delle materie prime, i luoghi di produzione e l'imbottigliamento. Prima di esplorare il futuro di questo nobile distillato, è fondamentale conoscere le sue radici, tra realtà e leggenda, e comprendere il percorso che ha portato la grappa a conquistare e affascinare i mercati internazionali, con ancora ampi margini di crescita.
Le origini della distillazione e l'invenzione dell'alambicco
La distillazione ha avuto origine in Oriente, in un'area che si estende dalla Cina alla Mesopotamia. Non esistono certezze assolute sulle sue prime applicazioni, poiché le fonti storiche sono diverse e spesso contrastanti. Tuttavia, è noto che le popolazioni locali utilizzavano questa tecnica per estrarre medicinali, essenze e profumi dalle materie prime disponibili. L'alambicco, nella sua forma più vicina a quella attuale, è stato inventato nella penisola Arabica, probabilmente nell'odierno Iran, grazie al lavoro di un alchimista arabo, Abu Musa Jabir Ibn Hayyan (noto anche come Geber). Questo scienziato operava al servizio del califfo Harun al-Rashid ed elaborò un dispositivo che, solo secoli dopo, sarebbe stato perfezionato da Robert Stein ed Enea Coffey nell'800, portando alla nascita degli alambicchi moderni.
Il termine "alambicco" deriva dall'arabo "Al-Ambiq", che significa bottiglia, a sua volta derivato dal greco "ambix", ossia vaso. Curiosamente, l'invenzione di questo strumento si deve a popolazioni che, successivamente, avrebbero imposto un divieto assoluto sulla produzione e sul consumo di alcol. Tuttavia, sembra che, all'epoca, gli Arabi fossero grandi consumatori di bevande alcoliche. Se avessero potuto prevedere il futuro, forse non avrebbero mai inventato l'alambicco, lasciando il mondo occidentale in un limbo perenne di proibizionismo.
L'origine del termine "alcool"
L'alcool (o alcol etilico), quello alimentare e buono per intenderci, ha un'etimologia di origine araba, come molte parole che iniziano con "Al", tra cui alchimia, almanacco, algebra e altre. In Arabia, il termine era "Al-Kuhl", mentre nell'arabo di Spagna divenne "Al-Kuhul". Inizialmente, questa parola indicava una polvere finissima e impalpabile, utilizzata sia come collirio medicinale sia dalle donne per truccarsi le labbra di nero o tingere le sopracciglia. L'idea di qualcosa di sopraffino e puro legata al termine Al-Kuhl venne ripresa nei secoli successivi dal medico e alchimista Paracelso, che trasformò il concetto in “Elemento essenziale”, da cui derivò l'espressione "Alcohol Vini", ossia "spirito divino". Nei secoli successivi, questa definizione si evolse fino a diventare quella che oggi conosciamo come "acqua di vita", termine utilizzato in molte culture per descrivere i distillati più pregiati.
L'influenza del mondo ecclesiastico
La pratica della distillazione giunse in Europa grazie a coloro che, all'epoca, detenevano il sapere e la cultura: il mondo ecclesiastico. Furono infatti i monaci, a partire dal 1100 d.C., a diffondere questa conoscenza, appresa durante le crociate. In circa 200 anni di contatti con il mondo arabo, l'Occidente scoprì nuove tecnologie, tra cui l'alchimia e la ricerca della trasmutazione del piombo in oro, che portarono nei decenni successivi alla produzione dell'acquavite.
Questa, per secoli, fu considerata un medicinale, usato anche per mantenere il controllo sulle popolazioni europee. L'introduzione della distillazione contribuì notevolmente all'evoluzione della medicina e della produzione di bevande spiritose. Presso la Scuola Salernitana di Medicina, fondata attorno all'anno 1000 d.C., vennero condotti numerosi esperimenti che portarono all'elaborazione di liquori e, secondo alcune fonti, perfino alla creazione del gin. I conventi divennero i principali luoghi di conservazione e sviluppo delle conoscenze dell'epoca, inclusa l'arte dell'alchimia. Questa è una delle ragioni per cui, nei secoli successivi, nacquero alcuni dei più celebri distillati al mondo: whisky, Brandy, cognac e naturalmente la grappa.
Le origini della grappa: tra realtà e leggenda
L'origine della grappa è legata ai territori del Nord Italia: Friuli, Veneto, Trentino, Lombardia e Piemonte. Tra le numerose leggende sulla sua nascita, una delle più affascinanti racconta la storia di un legionario romano, vissuto nel I secolo a.C.. Di ritorno dall'Egitto, si dice che avesse trafugato un proto-alambicco. Dopo il congedo, come da usanza, gli venne assegnato un appezzamento di terra in Friuli. Qui, secondo la leggenda, utilizzò il suo marchingegno per distillare le vinacce avanzate dalla produzione del vino, dando così origine alla pratica della distillazione nel Nord Italia.
Un'altra teoria, narrata dallo storico Luigi Papo, attribuisce la prima distillazione al 511 d.C., sempre in Friuli, grazie ai Burgundi, un popolo proveniente dall'Austria. Durante la loro permanenza a Cividale, applicarono le loro tecniche di distillazione, originariamente usate per il sidro di mele, alla lavorazione delle vinacce, ottenendo così quella che sarebbe diventata la grappa. Infine, il gesuita bresciano Francesco Terzi Lana (1631-1687) è considerato uno dei primi a distillare alcool direttamente dalle vinacce, anziché dal vino.
Da rimedio medicinale a distillato di pregio
Fino alla fine del 1700, la grappa era ben lontana dal prodotto raffinato che conosciamo oggi. Considerata alla stregua di un medicinale o di una bevanda di bassa qualità, era ritenuta troppo ruvida e pungente per i gusti della nobiltà e dei benestanti. Per loro, le vinacce e i graspi erano semplici scarti della produzione del vino, da gettare nei campi. Ma proprio questi scarti venivano recuperati dai contadini, dando vita a un distillato che, seppur inizialmente umile, avrebbe conquistato il mondo. La vera trasformazione della grappa avvenne nel 1779 a Bassano del Grappa, quando la famiglia di Bortolo Nardini fondò la prima distilleria dedicata alla produzione professionale e moderna di questo distillato. Fino a quel momento, la distillazione avveniva prevalentemente a fuoco diretto, un metodo meno controllato e più rudimentale.
La distillazione a vapore, introdotta da Nardini, rappresentò un cambiamento epocale, permettendo una produzione più raffinata e costante nel tempo. Questo nuovo metodo verrà adottato progressivamente da tutte le distillerie, fino a far scomparire la distillazione a fuoco diretto nei due secoli successivi, ad eccezione di una piccola distilleria piemontese, la Levi. Grazie a questa innovazione, la Distilleria Nardini ottenne il prestigioso titolo di più antica distilleria d'Italia e di prima produttrice di grappa nella storia del Paese. A partire dalla fine del 1700, tra Veneto e Friuli iniziarono a sorgere numerose distillerie, molte delle quali sono ancora attive oggi. Queste realtà, oltre a rappresentare un importante patrimonio storico, hanno contribuito in modo significativo alla diffusione e all'evoluzione della grappa, rendendola uno dei distillati più apprezzati a livello internazionale.
Il gusto della grappa si evolve
Dall'inizio della sua storia moderna, la grappa ha attraversato numerosi cambiamenti. Se ripenso a 50 anni fa, quando muovevo i primi passi nel mondo dei distillati come giovane barman e sperimentatore del gusto, il ricordo della grappa di allora è ancora vivido nella mia mente. Il primo distillato che assaggiai fu proprio la grappa, e con essa arrivò anche la mia prima sbronza inconsapevole, condivisa con un amico. Il risultato? Per alcuni anni sviluppai un vero e proprio rigetto verso questo distillato. Ricordo il suo gusto forte e deciso, il suo colore cristallino e limpido come l'acqua. Al primo sorso, la sensazione di bruciore che attraversava il cavo orale non lasciava spazio a morbidezze o aromi secondari e terziari. Era una grappa dura e diretta, che regalava un'immediata sensazione di calore ed euforia.
Solo con il tempo compresi il motivo per cui la grappa fosse così apprezzata nelle fredde e sperdute lande del Friuli e del Veneto. Non era solo una questione di gusto, ma di tradizione e necessità: il suo potere riscaldante e il suo carattere deciso la rendevano il distillato perfetto per affrontare gli inverni rigidi di quelle regioni. Oggi, la grappa ha subito un'enorme evoluzione, ma quei primi ricordi restano indelebili, testimoni di un distillato che, pur trasformandosi, mantiene sempre la sua identità unica e autentica.
Grappa: dai primi passi all'innovazione
Negli anni, il gusto della grappa si è notevolmente evoluto. Questo cambiamento è stato guidato da diversi fattori: L'evoluzione dei distillatori, che hanno affinato le proprie competenze; il miglioramento delle tecniche di distillazione; l'innovazione nei macchinari nelle distillerie e la selezione più attenta della materia prima, passando da vinacce generiche e miste a una scelta più accurata In passato, le vinacce venivano mescolate senza distinzione, indipendentemente dalla loro provenienza, sia dall'Italia che dall'estero. Inoltre, l'invecchiamento della grappa era visto come un esperimento snob, che molti ritenevano inutile per il futuro del distillato.
A segnare una svolta fu la Distilleria Bocchino, situata a Canelli, in Piemonte. Nel 1898, questa azienda fece una scelta lungimirante e inconsapevolmente rivoluzionaria: distillare esclusivamente vinaccia di Moscato. All'epoca, la provincia di Canelli era ricca di questa materia prima, grazie alla produzione di Moscato d'Asti e Asti Spumante, due eccellenze piemontesi. Tuttavia, la vinaccia di Moscato veniva scartata e abbandonata nei campi, considerata un prodotto di scarto senza valore. Bocchino vide in questa risorsa un'opportunità unica - praticamente a costo zero - e iniziò a distillarla. Il risultato? La nascita della prima grappa di Monovitigno, che si rivelò un'eccellenza assoluta.
Questa intuizione portò la distilleria al successo per decenni, culminando con la celebre Bocchino Stravecchia. Il suo prestigio fu ulteriormente rafforzato negli anni ‘70 e ‘80 grazie alle campagne pubblicitarie rese famose da Mike Bongiorno, che contribuirono a far conoscere la qualità di questa grappa a un pubblico ancora più vasto. Oggi, il concetto di grappa di Monovitigno è un pilastro fondamentale della produzione moderna, ma tutto ebbe inizio da quell'idea innovativa di oltre un secolo fa. Il passo successivo nell'evoluzione della grappa avvenne nel dopoguerra, nel 1947, grazie a un'intuizione di Paolo Berta. Mentre la maggior parte dei distillatori svendeva le proprie grappe a causa delle forti rimanenze invendute, Berta prese una decisione in controtendenza: stoccare il distillato in botti per tempi migliori. Questa scelta fu inizialmente derisa dagli altri produttori, che consideravano l'invecchiamento della grappa una pratica inutile e senza futuro.
Alcuni arrivarono persino a predire il fallimento della sua azienda. Ma il tempo diede ragione a Berta: il suo metodo si rivelò un successo e, anno dopo anno, anche le altre distillerie iniziarono a invecchiare le loro grappe, aprendo la strada a una nuova epoca per questo distillato. Un altro momento fondamentale nella storia della grappa arrivò nel 1989, con l'approvazione di un regolamento europeo che ne tutelava ufficialmente l'origine. Il regolamento stabiliva che il termine “grappa” poteva essere usato solo per distillati prodotti entro i confini italiani e nello Stato di San Marino, con due eccezioni: il Canton Ticino in Svizzera e la Ice grappa prodotta in Canada. Inoltre, la vinaccia utilizzata per la produzione doveva provenire esclusivamente da vigneti italiani. L'importazione di vinacce dall'estero per la produzione di grappa non era più consentita, e chi non si adeguava doveva etichettare il proprio distillato con il nome “Acquavite”. Questa regolamentazione ha contribuito a valorizzare ulteriormente la grappa, garantendo autenticità, qualità e identità nazionale a uno dei distillati più rappresentativi d'Italia.
La grappa nell'olimpo dei distillati nobili
A questo punto, la grappa entra ufficialmente nell'olimpo dei distillati nobili, al pari di cognac e whisky. L'origine del suo nome sembra derivare da "Graspo", ma anche in questo caso non vi è certezza assoluta. Dagli anni '90 in poi, la produzione di grappa invecchiata diventa una prassi consolidata tra i distillatori, portando questo distillato a un livello qualitativo superiore. Dal 2016, la legge italiana stabilisce precise regole sull'invecchiamento:
- Il termine “Invecchiata” indica una grappa che ha riposato 12 mesi in botti con capacità fino a 700 litri.
- È consentito l'uso del 2% di caramello senza obbligo di indicazione in etichetta, un'aggiunta che in alcuni casi può influenzare il colore, rendendolo meno naturale.
- Il termine “Riserva” si riferisce a una grappa che ha trascorso 36 mesi in botti di rovere francese, mediamente tostate e precedentemente utilizzate per un breve ciclo di invecchiamento del vino.
Queste evoluzioni hanno contribuito a rafforzare l'identità della grappa, rendendola una vera eccellenza italiana, apprezzata nei mercati internazionali.
L'espansione internazionale della grappa
e il ruolo della botte
Grazie alle normative europee e alle leggi italiane, i produttori di grappa hanno potuto ambire alla conquista dei mercati internazionali. Questo ha spinto i grandi distillatori italiani, dal Friuli al Piemonte, a competere tra loro per ottenere la miglior qualità annata dopo annata. Aziende storiche come Sibona, antica distilleria di Piobesi d'Alba (CN), hanno avviato già da molti anni la produzione di grappe di monovitigno, utilizzando vinacce fresche di Dolcetto, Barbaresco e Barolo. Con il progetto XO “Extra Old”, Sibona ha sviluppato distillati invecchiati in legno per almeno 6 anni, applicando una tecnica di blend per la grappa, simile a quella introdotta per il whisky in Scozia nell'Ottocento. La distillazione separata di Nebbioli (Barbaresco, Barolo) e Barbera ha portato alla creazione di prodotti di altissima qualità. Sibona ha inoltre introdotto l'uso di botti particolari per la maturazione delle Grappe Riserva, pratica poi adottata da altre distillerie.
Alcuni esempi includono l'uso di botti di Porto per la vinaccia di Nebbiolo, botti di Sherry per la vinaccia di Barbera, botti di Madeira per la vinaccia di Moscato e botti di whisky per una grappa Riserva già maturata in rovere. La botte gioca un ruolo fondamentale nel determinare un prodotto armonico, equilibrato e profumato. Il ciliegio esalta gli aromi fruttati, il rovere contribuisce con note dolci e vanigliate, mentre il grado di tostatura delle botti arricchisce il distillato con profumi più o meno intensi. Questi elementi hanno portato la grappa a livelli aristocratici, facendo dimenticare la sua origine umile, proprio come avvenne oltre 200 anni fa con il whisky scozzese. Entrare nella cantina di invecchiamento di Sibona è come immergersi nelle “cellar” scozzesi di invecchiamento dello scotch whisky. Probabilmente ci vorranno ancora decenni prima che la grappa conquisti globalmente i mercati internazionali. Tuttavia, potrebbe essere aiutata da un cocktail semplice ma efficace, proprio come è successo con la sfida Prosecco vs Champagne e Spritz vs Cocktail Champagne. I dati di oggi dimostrano che il Prosecco, prodotto dalla Glera, si avvicina al miliardo di bottiglie annue, superando di gran lunga le poche centinaia di milioni dello Champagne.
L'importanza dell'Anag nella valorizzazione della grappa
Oggi l'associazione che meglio rappresenta e divulga l'immagine e la qualità della grappa è l'Anag (Associazione nazionale assaggiatori grappa). Questa organizzazione, presente in tutta Italia, svolge un ruolo fondamentale nella promozione della cultura del distillato italiano per eccellenza. Nel 2018, in occasione del 40° anniversario della fondazione, ho avuto l'opportunità di collaborare con l'Anag , un'esperienza che mi ha permesso di approfondire ulteriormente il mondo della grappa e il suo percorso di evoluzione qualitativa. Uno dei contributi più significativi dell'Anag è il Premio Alambicco d'Oro, un riconoscimento che valuta e premia le migliori grappe attraverso la consegna delle medaglie Best Gold, Gold e Silver. Questo premio stimola ogni anno le distillerie a migliorarsi, contribuendo così all'elevazione della qualità del prodotto. Oltre all'attività di premiazione, l'Anag organizza numerosi corsi di formazione per chi desidera diventare un esperto degustatore di grappa. Tra i percorsi proposti, spicca la figura del grappa Sommelier, un professionista capace di analizzare e valutare le caratteristiche sensoriali del distillato. Iat
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