Ecco come muore la cucina italiana: spariscono i ristoranti veri, restano i replicanti
Oltre 19mila locali chiusi nel 2024: la ristorazione italiana cerca un nuovo modello per sopravvivere. Tra costi in aumento, calo degli esercizi attivi e boom del franchising, il settore affronta una trasformazione profonda che premia solo i format scalabili e mette in crisuni bar, ristoranti indipendenti e cucina di mezzo
Chi continua a raccontare la ristorazione italiana come un semplice rallentamento ciclico, farebbe meglio a cambiare mestiere. Quella che stiamo vivendo non è una crisi passeggera, è una mutazione brutale. Altro che congiuntura: siamo davanti a un collasso strutturale, una riscrittura feroce delle regole del settore, in cui chi non scala muore e la cucina indipendente finisce macellata tra i denti del franchising. Siamo dentro una mutazione che tocca le fondamenta stesse del settore, il suo senso economico, e persino il suo posto nell’immaginario collettivo.
Crisi della ristorazione: i numeri
Basti pensare che nel 2024 la spesa degli italiani per il fuori casa ha raggiunto il livello più alto mai registrato dopo la pandemia, con oltre 96 miliardi di euro spesi tra ristoranti, bar e locali. Attenzione, però; sempre nello stesso anno, il numero di nuove aperture è sceso ai minimi e il saldo con le chiusure ha toccato il punto più critico del decennio. A metterlo nero su bianco è il report dell’Osservatorio Ristorazione, prodotto da RistoratoreTop, che ha incrociato i dati ufficiali delle Camere di Commercio (Movimprese) con quelli interni alla Fipe, la Federazione italiana dei pubblici esercizi. Insomma, mentre i clienti tornano a frequentare le tavole, gli esercizi continuano a diminuire.
Nel frattempo, il sistema si spacca in tre blocchi, sempre più distinti e, soprattutto, distanti. In alto, l’alta ristorazione colleziona stelle e capitali ma fatica a generare margini; in basso, bar e locali a basso scontrino chiudono sotto il peso dei costi e dell’assenza di clientela stabile; nel mezzo, quella fascia intermedia che per decenni ha rappresentato la vera ossatura dell’accoglienza italiana si assottiglia, risucchiata da un modello sempre più insostenibile.
A guadagnare spazio, in questa faglia, sono i gruppi organizzati, i format scalabili, i franchising urbani che assicurano standard prevedibili, logistica rodata e marketing centralizzato. Non è (ancora) il trionfo della catena, ma è chiaro chi sta tenendo il passo e chi no. Si badi, se salta la fascia media, quella fatta di trattorie, ristoranti indipendenti, tavole calde di quartiere, si incrina il modello stesso di accoglienza italiana, quello diffuso, artigianale. Quello umano. E a quel punto, anche chi pensa di salvarsi restando in vetta o comprando quote di mercato potrebbe accorgersi che il terreno sotto i piedi si sta sgretolando.
Saldo negativo e contrazione costante: il numero
delle imprese attive arretra per il quarto anno consecutivo
Nel 2024 il numero di imprese della ristorazione iscritte alle Camere di Commercio è diminuito per il quarto anno consecutivo, con una flessione dell’1,26% rispetto all’anno precedente. Le attività registrate si attestano a poco più di 382 mila, ma quelle effettivamente operative sono circa 327.850. Il saldo tra aperture e cessazioni di esercizi è tra i peggiori mai rilevati: 10.719 nuove imprese a fronte di 29.738 chiusure. Il bilancio complessivo è negativo per oltre 19 mila unità, un dato che supera in negativo anche quello già critico del 2023. La rete resta estesa, ma il ritmo con cui si assottiglia suggerisce un’accelerazione.
Capitale in ritirata e Sud in ripresa: l’asimmetria geografica della crisi ristorativa
Su base territoriale il quadro si frastaglia. Le grandi città appaiono più esposte. Roma segna il calo assoluto più marcato, con 495 ristoranti in meno in dodici mesi. A Bologna, la contrazione raggiunge il 3% del totale, mentre a Milano e Torino la riduzione è più contenuta, rispettivamente intorno all’1,2% e allo 0,8%. Non mancano però zone in controtendenza. A Sud, Palermo e Napoli chiudono l’anno con un lieve incremento del numero di imprese attive. Anche Firenze, unica grande città del Centro-Nord a registrare una variazione positiva, mostra una dinamica differente. In questi contesti il settore sembra aver beneficiato di condizioni locali più favorevoli o di un diverso equilibrio tra offerta e domanda.
Pressione sui costi e nuovo equilibrio nei listini:
il pasto fuori casa perde attrattività
L’andamento negativo del numero di imprese attive trova una prima spiegazione nei dati economici raccolti da Movimprese e Fipe. L’Osservatorio Ristorazione individua nel biennio 2022-2024 una crescita dei costi operativi che ha inciso in modo diretto sulla capacità delle imprese di restare sul mercato. Alla fine delle restrizioni sanitarie si è sommata l’instabilità dei mercati energetici e delle materie prime, con aumenti significativi nelle bollette, nei costi logistici e nei canoni di locazione. L’effetto sui listini è stato pressoché immediato. Nel 2023 i prezzi medi praticati nella ristorazione hanno registrato un incremento del sei per cento, che porta l’aumento cumulato, rispetto al 2020, a una soglia del diciannove per cento. Per i gestori è stata una misura obbligata, spesso insufficiente a coprire l’intero divario. Per la clientela, una soglia psicologica che ha cambiato il modo di percepire il pasto fuori casa, sempre più assimilato a un’occasione e sempre meno a un’abitudine.
«Per quanto possa sembrare incoraggiante il dato pubblicato sui 96 miliardi spesi dagli italiani per mangiare fuori casa, se accostato alle 29.019 cessazioni a fronte di appena 10.719 nuove aperture, è indicativo esattamente del contrario: la ristorazione italiana sta attraversando una crisi strutturale caratterizzata da forte sfiducia da parte degli imprenditori. Questi dati ci raccontano che mangiare al ristorante sta diventando sempre più un lusso per la maggior parte degli italiani e non passerà molto tempo prima che cambino frequenza e abitudini di consumo anche per la fetta di utenza altospendente che sta tenendo in piedi il settore. Stanno sopravvivendo o addirittura fiorendo quelle attività che hanno saputo intercettare e interpretare i bisogni dei clienti, sempre più orientati a vivere un’esperienza, le rivoluzioni tecnologiche e lo snellimento dei modelli di business», spiega Lorenzo Ferrari, presidente dell’Osservatorio Ristorazione e addi RistoratoreTop.
L’alta ristorazione come specchio deformante: tra marginalità assenti e vetrine
Altro dato che potrebbe sembrare incoraggiante è quello delle 383 stelle Michelin presenti in Italia nel 2025, numero che vale il secondo posto mondiale dopo la Francia. È una cifra che continua a essere usata come segnale di vitalità, ma che in realtà dice poco sulla sostenibilità economica complessiva del settore. Molti di quei ristoranti sopravvivono grazie a strutture parallele, investimenti incrociati o logiche di branding che trasformano il ristorante in un asset di immagine.
In più casi si tratta di imprese tenute in vita per garantire visibilità a un gruppo, uno chef, un marchio, e non per generare margine. L’alta ristorazione in Italia sta diventando sempre più una vetrina e sempre meno un modello replicabile. La fascia intermedia, quella che lavorava su volumi e accessibilità, continua a ridursi mentre crescono le insegne di vertice, spesso scollegate dalla realtà economica del settore. Anche qui, la distanza tra ciò che si racconta e ciò che regge davvero si sta allargando.
Bar e locali a basso scontrino: la fascia più fragile
mostra segni di cedimento strutturale
La contrazione ha colpito in modo evidente i locali a basso scontrino, in particolare bar e caffetterie. Secondo i dati Fipe-Confcommercio relativi al 2024, il numero complessivo di bar attivi in Italia è sceso del 3,3 per cento rispetto all’anno precedente, fermandosi attorno alle 127.000 unità. Il segmento dei ristoranti ha mantenuto invece una maggiore stabilità, con circa 195.000 imprese registrate e poco meno di 4.000 attività di catering e banqueting. La maggior parte delle cessazioni ha interessato esercizi informali, spesso a conduzione famigliare, che operano con margini ridotti e volumi elevati. L’aumento dei costi fissi ha inciso in modo più diretto su questa fascia, che ha meno possibilità di alzare i prezzi senza compromettere la domanda.
Le cifre medie parlano chiaro: un espresso costa oggi attorno a 1,20 euro, una colazione classica cappuccino e brioche si aggira sui 2,90 euro, un aperitivo standard sfiora gli 8 euro. Sono livelli già più alti rispetto al triennio precedente, ma che non possono salire ulteriormente senza trasformare il consumo quotidiano in un’abitudine residuale.
Smart working e desertificazione urbana:
cambiano le geografie del consumo quotidiano
A questo si è sommato il cambiamento dei flussi urbani. Secondo un’analisi di Assolombarda basata su dati Istat, nel 2023 il 12 per cento dei lavoratori tra i 15 e i 64 anni ha lavorato in modo stabile da casa, con punte più elevate nei grandi centri. Un cambiamento strutturale che ha ridotto drasticamente la presenza nelle aree degli uffici, privando bar e tavole calde di una clientela regolare durante la settimana. Il turismo internazionale ha parzialmente compensato nei fine settimana e nelle zone centrali, ma non nei quartieri periferici o semicentrali, dove l’assenza di lavoratori ha inciso direttamente sul fatturato.
Dal lato opposto, i ristoranti in senso stretto hanno dimostrato una capacità maggiore di assorbire gli shock. Il motivo principale risiede nel cambiamento delle abitudini di consumo: si esce meno spesso, ma si spende di più. Secondo l’Osservatorio Ristorazione, il prezzo medio di una cena al ristorante nel 2023 è stato di circa 23 euro a persona (bevande escluse), mentre un pranzo veloce si aggira attorno ai 17,70 euro. Sono cifre accessibili solo saltuariamente per molte famiglie, ma che vengono accettate in cambio di un’esperienza percepita come “valida” o “meritevole”.
Franchising e ristorazione organizzata:
un modello più resistente prende spazio
Nelle strategie di adattamento, le catene e i modelli in franchising si impongono come una delle tendenze più forti della trasformazione in atto nel settore Horeca. Secondo il Rapporto Ristorazione 2025 della Fipe, le catene coprono ormai circa l’11% del totale delle visite in bar e ristoranti e generano circa 9,9 miliardi di euro su un mercato complessivo da oltre 90 miliardi. È una quota ancora minoritaria, ma rappresenta un modello strutturato, più resistente rispetto alla frammentazione e alla vulnerabilità dei locali indipendenti.
Tra il 2018 e il 2022 si è registrato un aumento delle operazioni di fusione e acquisizione tra operatori organizzati, tanto che oggi in Italia operano oltre 600 imprese della ristorazione organizzata, con più di 850 marchi o format attivi. Il gruppo Cigierre (che controlla marchi come Old Wild West e Pizzikotto) ha superato i 550 milioni di euro di fatturato nel 2023 e prevede l’apertura di altri venti punti vendita. Poke House, nata nel 2018, ha già raggiunto quota 180 store nel mondo e 130 milioni di fatturato. La Piadineria conta più di 400 locali attivi, mentre miscusi ha chiuso il 2023 con 24 ristoranti e una crescita del 20%. Accanto ai grandi nomi si stanno rafforzando format scalabili e a vocazione urbana come I Love Poke, Signorvino, Doppio Malto e altre realtà che intercettano un pubblico giovane e abituato a standard di servizio elevati e omogenei. L’Aigrim e la Fipe rilevano che tra le imprese associate i dipendenti sono cresciuti dell’8,5% nel 2024, con un incremento dei punti vendita da circa 2.300 a oltre 2.500.
Standardizzazione contro identità: la sfida di conciliare scala industriale e valore culturale
Secondo il Rapporto Assofranchising-Nomisma 2025, in Italia sono attivi oltre 67.200 punti vendita in franchising, in crescita del 2,2% sull’anno precedente, per un fatturato complessivo che ha raggiunto i 35,8 miliardi di euro (+5,4%). La domanda premia la prevedibilità e la tenuta organizzativa: un’indagine YouGov ha rilevato che tra chi frequenta catene almeno una volta ogni sei mesi, il 20% lo fa con cadenza settimanale e oltre il 50% ha meno di 45 anni. Il franchising e la ristorazione organizzata non rappresentano più soltanto un segmento in espansione, ma un nuovo paradigma operativo. Le economie di scala consentono investimenti sistematici in marketing, logistica, formazione e digitalizzazione. Secondo Fipe, nel 2024 la ristorazione italiana ha generato un valore aggiunto di 59,3 miliardi di euro, in lieve crescita (+1,4%) rispetto al 2023, ma con produttività ancora stagnante. In questo scenario, le imprese strutturate offrono risposte più solide a un mercato che cerca affidabilità, coerenza e prezzi sotto controllo.
Resta però aperta una questione centrale: fino a che punto la crescita delle catene può convivere con la qualità artigianale e con l’identità culturale della ristorazione italiana? La centralizzazione operativa tende a comprimere la creatività individuale e a omologare l’offerta. La sfida che si apre ora è tutta qui: conciliare scala e personalità, efficienza e contenuto. Perché la crisi strutturale del settore non si supera solo contando aperture e chiusure, ma osservando con attenzione come e perché si continua ad aprire.
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