Sono ormai 25 anni che viaggio per le regioni italiane alla scoperta dei prodotti del paniere agroalimentare del nostro Belpaese. L'ultimo, di recente, durante un viaggio nelle Marche in provincia di Pesaro Urbino. Un prodotto semplice, un frutto della terra, un elemento che un tempo era fonte di grande sostentamento per le popolazioni locali. Poi, con il benessere, venne quasi dimenticato e con grande intelligenza, grazie a qualche anziano che ne ha custodito gelosamente dei semi, oggi riscoperto e valorizzato. È la Fava di Fratte Rosa, Presidio Slow Food.
Terracotta e fave, un connubio indissolubile
Prima di tutto, Fratterosa o Fratte Rosa? Vi parlo di un piccolo borgo di collina situato tra le provincie di Pesaro Urbino e Ancona. Un piccolo spartiacque tra le valli del Metauro e del Cesano posto a circa 400 metri di altezza, da dove i panorami consentono all’occhio di spaziare su vedute bellissime che vanno da Carpegna al Conero per poi passare a San Marino e giungere fino ai Sibillini. Un tempo e anche oggi per tante persone si chiama semplicemente Fratte, un luogo ricco di testimonianze storiche e dove la terra è molto argillosa, quell’argilla che qui viene definita Lubaco, al punto che nei secoli si sviluppò un importante arte: l’arte dei vasai.
I manufatti di Fratte, le ceramiche, si sono contraddistinte nel tempo proprio come elemento ingegnoso derivante dalla difficoltà delle lavorazioni dei terreni, ed ecco che allora i “Cocci”, come venivano in gergo popolare definiti, i vasi degli artigiani venivano venduti sia nelle Marche che nelle regioni limitrofe. Territori difficili ma al contempo consoni per la coltivazione dei legumi e in particolare di una fava di alta qualità: la fava di Fratte Rosa. Cocci e Fave dunque per un connubio indissolubile perché, si sa, per cucinare bene le fave le pignatte di terracotta sono ideali.
Da ingrediente dimenticato a Presidio Slow Food
Non la conoscevo, lo ammetto, e con grande piacere ho incontrato la sua storia e la sua valenza alimentare. Riscoperta grazie a chi ne ha sempre rispettato i valori di quando nel passato era un ingrediente fondamentale per l’alimentazione locale, poche semenze ben custodite hanno riacceso in alcuni agricoltori la voglia di coltivarla ancora. Una fava ottima sia fresca che secca, molita dona una farina pregiata con la quale si realizzano antiche ricette, pani profumati, la tipica Crescia e paste particolarmente gustose. Ma molti sono anche i prodotti derivati che si possono ottenere: fave decorticate, sott’olio, paté, hummus, zuppe.
La fava è un prodotto storico citato dai grandi personaggi del passato, sia in termini positivi che un tantino superstiziosi. Pitagora la riteneva un mezzo per far comunicare i morti con i vivi per via del suo stelo privo di nodi. Cicerone sosteneva che i pitagorici non la consumassero per via della flatulenza che provoca. Plinio il Vecchio pensava che provocasse visioni, Publio Ovidio Nasone la riteneva uno dei più antichi alimenti dell’uomo mentre Apicio ne scrisse svariate ricette. Vennero poi il Pier de’ Crescenzi, Costanzo Felci da Piobbico per arrivare a Castore Durante e Andrea Mattiolo, il medico senese che scrisse testi contenenti rimedi salutistici a base di fava.
L’elenco dei nomi sarebbe davvero molto lungo, certo è che oggi la fava di Fratte Rosa è un Presidio Slow Food e per la sua produzione è stato individuato un’areale ben delineato e si rispetta un serio disciplinare, mentre l’associazione dei produttori racchiude una decina di realtà produttive.
“Tacconi allo Sgagg” e “Baggiana”,
tornano in tavola piatti tradizionali
A parlarmene durante il mio viaggio marchigiano è stato Rodolfo Rosatelli, agricoltore/custode, ed è dalla sua voce che ho messo a fuoco che il periodo di semina è il mese di ottobre e a Fratte si usa dire: “San Luca la fava nella buca”. Per la raccolta del fresco si attende il mese di maggio e per il secco si va a cavallo tra i mesi di giugno e luglio
Chi mi legge o ha seguito alcuni miei servizi televisivi sa bene che dopo avere incontrato un prodotto è mia regola gustarlo a tavola. Per la fava di Fratte Rosa non ho certo fatto eccezione, anzi, ho scelto un luogo dove si preparano ancora alcuni piatti della tradizione rigorosamente con le fave e la loro farina. Mi sono così recato nel Comune di Mondavio presso l’Hotel Ristorante “La Palomba” per incontrare una bravissima chef: Adele Cerisoli. Adele oltre ad occuparsi della cucina e della ricezione turistica con la sua famiglia produce dell’ottimo olio extravergine di oliva. Volevo gustarmi due piatti storici e sono stato subito accontentato. Mi sono stati preparati dei “Tacconi allo Sgagg” e della “Baggiana” due preparazioni che fanno parte delle proposte del locale.
I Tacconi sono una pasta preparata come si usava un tempo, mescolando la farina di grano e quella di fave. Naturalmente sono fatti a mano e per l’impastano si utilizzano le uova e dell’acqua sia calda che fredda. Si cuociono in acqua bollente e a fine cottura si fanno saltare in padella con aglio e lardo. La curiosità è che il rumore che i Tacconi producono in padella mentre si saltano viene detto: “Sgagg” che nel dialetto locale significa urlare. Si completa il piatto con del guanciale croccante e del pecorino grattugiato. Anche il termine Tacconi ha un suo perché: la loro forma simile al tagliolino ricorda infatti lo scarto della risuolatura dei tacchi delle scarpe.
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