sabato 13 novembre 2021

Effetto rincari, a Natale anche i biscotti costeranno di più

 

Effetto rincari, a Natale

anche i biscotti 

costeranno di più

Uno studio condotto dalla piattaforma per la spesa online HelloFresh su 30 Paesi a livello globale vede la Svezia come la nazione più costosa in cui impastare e infornare 100 biscotti: 12,83 dollari

di Nicola Grolla

Lcorsa dei prezzi delle materie prime rischia di rendere meno dolci le feste natalizie. Il motivo sta tutto nei rincari degli ingredienti di base della nostra alimentazione che, a caduta, impattano sulle aziende di trasformazione, la distribuzione e di conseguenza i consumatori. Un trend che non dà tregua nemmeno ai biscotti di Natale. Secondo uno studio a livello globale della piattaforma HelloFresh, il posto più costoso dove impastare e infornare i dolcetti è la Svezia: 12,83 dollari. L’Italia? Si piazza a metà classifica con un prezzo di 5,71 dollari. 

In Svezia i biscotti più costosi, in Ecuador quelli più economici

Lo studio di HelloFresh ha preso in considerazione 30 Paesi a livello globale. Per ognuno ha calcolato il costo dei singoli ingredienti come farina (1 kg), uova (box da 12), zucchero (1 kg), burro (200 g) e lievito in polvere (0,5 kg) acquistabili nei comuni supermercati locali. Il tutto per quantità tali da realizzare circa 100 biscotti. Risultato? Dopo la Svezia si piazzano la Repubblica Domenicana (11,74 dollari) e la Danimarca (10,97 dollari). Capovolgendo la classifica, il Paese più economico dove infornare i propri dolci di Natale è l’Ecuador (3,50 dollari), la Polonia (3,8 dollari) e la Spagna (4,04 dollari). Come detto, l’Italia si piazza a metà classifica. La voce di costo che “pesa” di più nel Belpaese è il burro (4,26 dollari) mentre per tutti gli altri ingredienti non si arriva nemmeno a un euro di spesa. Il tutto per un risparmio del 4,03% rispetto alla media.

 

Natale amaro per i consumatori

Dati che vanno a sommarsi ai rincari più volte segnalati da Italia a Tavola nel corso delle ultime settimane. E che, come detto, rischiano di pesare sulle tasche dei consumatoriCome rivelato dal Codaconsinfatti, a causa del trend inflattivo (ossia un generale aumento dei prezzi). Secondo l'associazione dei consumatori, infatti, da un punto di vista di spesa alimentare solo per il cenone della vigilia o il pranzo di Natale gli italiani spenderanno in media il 4% in più rispetto al 2019 (circa 100 milioni). Il tutto a causa dell'aumento del costo di carne, pesce, pasta, frutta, verdura ma anche pandori e panettoni. Insomma, a parità di consumi rispetto al periodo pre-pandemia e considerando anche viaggi, regali e altre spese (comprese quelle della bolletta per illuminare albero e presepe) si arriva alla cifra monstre di 1,4 miliardi di costi in più rispetto al 2019. 

L'inflazione rischia di frenare la ripresa

Il rischio è che tutto questo deprima, di fatto, la crescita post-pandemia. Come sottolineato dall'Ufficio Studi di Confcommercio, nel caso in cui i prezzi crescessero spinti da un’inflazione al 3% allora la spesa reale si ridurrebbe di circa 2,7 miliardi di euro nel quarto trimestre dell'anno in corso. Nel caso in cui l’inflazione salisse maggiormente, al 4%, la perdita finirebbe per essere pari a 5,3 miliari di di euro di mancata spesa. 

Nel 70% dei casi, «le perdite stimate sono dovute a immediate riduzioni di potere d’acquisto del reddito disponibile; per la restante parte al minore potere d’acquisto della ricchezza finanziaria detenuta in forma di liquidità e, quindi, non protetta dall’inflazione inattesa», si legge nella nota di commento. Effetti che si scaricheranno a catena sulle famiglie in cui, peraltro, dopo il picco del Covid e gli annunciati balzelli di luce e gas, è già in corso una riorganizzazione della spesa. Risultato? «Non si possono trascurare neppure conseguenze più rilevanti per l’anno 2022, anche in termini di crescita economica, negativamente influenzata da una minore domanda reale di consumo», conclude l’Ufficio studi di Confcommercio. 

Bar e ristoranti corrono ai ripari: 

chiesto un osservatorio al Mise

Non sorprende quindi che ci sia già chi comincia a giocare in difesa. È l'esempio di Fipe-Confcommercio che ha lanciato il proprio allarme: «Siamo molto preoccupati - ha spiegato a Italia a Tavola Aldo Cursano, vice presidente vicario dell'associazione dei pubblici esercizi - perché ci stiamo chiedendo come possiamo fare a mantenere saldo quel fragile filo di fiducia che ci lega ai consumatori. Riteniamo che sia il momento peggiore per attuare politiche di aumento dei prezzi, ma nel momento in cui aumentano le materie prime più povere e l’energia ci troviamo a dover fare i conti con una coperta cortissima: ad un certo punto, dovremo aumentare i prezzi di servizio al banco o al tavolo». Da qui la richiesta avanzata al ministero dello Sviluppo economico (Mise) per l'istituzione di un osservatorio che monitori l’andamento dei costi lungo la filiera, dato che il rischio speculazioni è ormai altissimo.

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