Iproduttori italiani stanno accelerando le esportazioni verso gli Stati Uniti, cercando (anche con qualche rischio) di battere sul tempo l’ombra di nuovi dazi che potrebbero colpire duramente i loro prodotti. Il timore è concreto: le tariffe doganali, come annunciato da Trump, potrebbero impennarsi fino al 200%, mettendo a rischio un mercato chiave per il Made in Italy. La strategia? Spedire il più possibile prima che le nuove regole entrino in vigore. Ma se nel breve periodo questa tattica potrebbe funzionare, il vero problema arriverà nel 2026, quando il settore potrebbe trovarsi di fronte a una tempesta perfetta.
Vino e formaggi, i dazi di Trump spingono il "front loading"
Il fenomeno del "front loading", ovvero l'anticipo delle importazioni da parte degli americani, si riflette nei numeri. A testimoniarlo, come già fatto nei giorni scorsi, è Marco Caprai, vignaiolo umbro da un milione di bottiglie l'anno: «Sapevamo che faceva sul serio. E la conferma della corsa all'invio anticipato di vino è nei numeri: fino a ottobre eravamo sotto i dati del 2023, poi c'è stato il record con due miliardi di vino venduto, il record di export a novembre-dicembre». Caprai stesso ha già spedito l'equivalente della quantità prevista per il 2025, ma il pensiero del 2026 lo preoccupa: «Già i dazi al 25% sono una follia, quelli al 200%... non ci voglio nemmeno pensare. Vuol dire buttare al vento 30-40 anni di investimenti, di sviluppo, di rapporti di lavoro» racconta amareggiato al Corriere.
Usa, aumentano sempre di più le importazioni
L'anticipo delle spedizioni trova riscontro anche nei porti americani, dove il traffico merci è in forte crescita. A gennaio le importazioni sono aumentate del 13%, a febbraio del 6,1%, e per marzo si prevede un ulteriore incremento del 10-11%. Un trend che si scontra con un quadro globale in calo, come spiega Alessandro Pitto, presidente di Fedespedi: «I noli da e per gli Usa registrano degli incrementi per ora poco significativi, ma sono gli unici in aumento in un quadro mondiale in netta diminuzione».
A preoccupare non è solo l'aumento del traffico, ma anche il rincaro dei costi di trasporto. Gli Stati Uniti, infatti, stanno valutando una tassa fino a un milione di dollari per ogni nave costruita in Cina che attraccherà nei loro porti, mentre alcune compagnie di navigazione hanno annunciato una tariffa aggiuntiva di 700 dollari per un container standard a partire da aprile.
Dazi Usa, le preoccupazioni del Parmigiano Reggiano
e del Prosecco
Anche i produttori di formaggi hanno già notato un incremento dei costi logistici: «Siamo già sopra i quattro mila dollari a container» spiega Nicola Bertinelli, presidente del Consorzio del Parmigiano Reggiano. Il 43% della produzione totale di Parmigiano finisce all'estero, e gli Stati Uniti rappresentano il principale mercato di riferimento con il 22,5% delle esportazioni. Negli ultimi mesi del 2024, il prezzo all'origine del formaggio è salito, spingendo gli importatori americani a fare scorte. Al momento, un chilo di Parmigiano stagionato 24 mesi costa ai consumatori statunitensi circa 48 dollari, ma con un dazio del 25% salirebbe a oltre 55 dollari, rischiando di mettere il prodotto italiano in svantaggio rispetto ai competitor locali: «I dazi che Trump ha imposto nel 2019 non ci hanno creato problemi in termini di vendite. Gli americani hanno continuato a sceglierci. Ma essere nello scaffale con un prezzo più alto a fianco di un parmesan che costa la metà ci preoccupa».
Il trend di aumento delle esportazioni riguarda anche il Prosecco, che a gennaio ha registrato un incremento dell'8% rispetto allo stesso mese del 2024. «A partire da novembre 2024 gli operatori Usa hanno iniziato a far maggiori scorte di prodotto. Questo ha determinato un incremento significativo del movimento dei container nel porto di Los Angeles e dei voli commerciali dedicati alla movimentazione di merci dall'Italia agli Usa», spiega Giangiacomo Gallarati Scotti Bonaldi, presidente di Federdoc e vicepresidente del Consorzio Prosecco Doc, sempre al Corriere. Il timore è che l'introduzione di nuovi dazi possa colpire duramente la cosiddetta "Doc Economy", con un impatto stimato intorno al miliardo di euro, una cifra che potrebbe addirittura aumentare se le tariffe salissero oltre il 25%.
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