venerdì 14 marzo 2025

Dealcolati: invece di educare i giovani a bere bene

 

Dealcolati: invece di educare i giovani a bere bene, si è scelto di snaturare il vino

Il vino dealcolato sta rivoluzionando il settore vinicolo, sollevando dubbi tra gli addetti ai lavori dato che snatura una tradizione millenaria, privando il vino della sua identità e del legame con il territorio. Presentato come scelta salutista, appare più come una strategia di mercato che un’innovazione autentica, oltre a penalizzare i piccoli produttori, alterare il gusto e ridurre la longevità

Dealcolati: invece di educare i giovani a bere bene, si è scelto di snaturare il vino

Antonella Anniotti D'Isanto, presidente onorario dell’azienda “I Balzini” di Barberino Tavarnelle (Fi) interviene sul dibattito - di grande attualità - del vino dealcolato. Il vino, sottolinea Anniotti D’Isanto, è infatti più di una semplice bevanda: è cultura, tradizione, espressione di un territorio e simbolo di convivialità. Eppure, oggi si assiste a una trasformazione che rischia di comprometterne l’essenza. La dealcolazione è stata presentata come un’innovazione salutista, senza preoccuparsi dell’educazione delle nuove generazioni e ci si chiede se il vino senza alcol sis ancora vino o solo un’operazione commercialeDi seguito le sue riflessioni.

Dealcolati: invece di educare i giovani a bere bene, si è scelto di snaturare il vino

Antonella Anniotti D'Isanto, presidente onorario dell’azienda “I Balzini”

Sono cresciuta in una famiglia del Sud e da neonata ho poppato un ciuccio di stoffa bagnato nello zucchero e nel  vino. La perdita del primo dentino è stata consolata con sciacqui di vino e acqua.  La domenica la torta fatta da mia nonna era accompagnata da un sorso di zibibbo che allietava il fine pasto. Non sono giovanissima, ma non accuso malanni da consumo di alcol anzi, con un certo orgoglio, esibisco un viso privo di rughe argomentando gli effetti positivi del resveratrolo. Con fondate certezze ho coltivato la vite con amore, in quanto credo che essa assorba non solo nutrimento e calore dalla terra, ma anche le intenzioni di chi la coltiva. Ho prodotto vino e sono sempre stata pronta a guardare alle novità, ad affrontare nuove sfide, ma la prova che ho sostenuto qualche sera addietro è stata ardua: partecipare a una degustazione di vini dealcolati, un’esperienza interessante  sotto il profilo della conoscenza, ma dolorosa per i contenuti.

Vino dealcolato: è un attacco

Il vino ha alle spalle una storia millenaria, nei secoli ha subito diversi cambiamenti: per le modalità di produzione, consumo, tipi di contenitori, ma ha sempre mantenuto una azione sociale importante, perché una buona bevuta offre l'occasione per stare insieme e fare festa, consolidare  vincoli di affetto e di amicizia. Il vino ha una connotazione rituale e sociale, è sinonimo di convivialità e  se decade nello stato di ubriachezza è per l’uso smodato e incontrollato. 

Da anni seguo i vari simposi in tema di vino e salute e diffondo la cultura del bere consapevole; nel 2023 un simposio su vino e salute organizzato da Coldiretti e Assoenologi guidata da Cotarella, con un parterre di grandi esperti,  ha dibattuto il tema arrivando alle conclusioni:  “È l’ennesimo attacco scriteriato al nostro mondo, ma metteremo in atto tutte le azioni necessarie per contrastarlo. Ci sono decine di pubblicazioni scientifiche  che attestano non solo che il vino, se consumato consapevolmente e con moderazione, non è nocivo, ma addirittura fa bene alla salute”.

Vino dealcolato, tra costi e salute

Pertanto le nuove previsioni legislative in materia di “dealcolazione” mi hanno lasciano basita. Il recente Decreto che ha  regolamentato le disposizioni nazionali per l’attuazione delle previsioni del Parlamento Europeo per  la produzione dei  vini dealcolati  è stato accolto nel nostro Paese con toni trionfalistici da una categoria di addetti ai lavori. Così almeno si è letto su una certa stampa di settore. Alcuni studi hanno affermato che  i Millennial e la Gen Z  hanno  un’attenzione particolare per il benessere salutistico e che il loro approccio al consumo di alcol è più moderato rispetto alle generazioni precedenti. Questo spiegherebbe il crescente interesse verso i vini dealcolati, considerati una scelta più sana, in linea con un nuovo stile di vita. Ma davvero eliminare l’alcol dal vino significa automaticamente renderlo più sano? O si tratta piuttosto di una risposta costruita ad arte per intercettare nuove tendenze di mercato, anche dovute all’inasprimento del consumo di alcol alla guida? 

Questi accorgimenti, presentati come la risposta a un nuovo stile di vita salutista e a un consumo più consapevole, inseriscono questi nuovi prodotti  in un panorama normativo sempre più severo nei confronti delle bevande alcoliche. Ma siamo davvero di fronte a un'innovazione o si convertirà in una strategica operazione commerciale? Mi sovviene un ricordo di bambina quando, per motivi salutistici, ci convinsero ad  usare  la margarina al posto dell’olio di oliva.

Vino dealcolato, un fatto economico

Da piccola produttrice di vino, guardo con preoccupazione a questa deriva che sembrerebbe più un'opportunità per grandi aziende che una reale evoluzione del settore. La crescente limitazione legislativa sui consumi di alcol pare abbia riempito le cantine di vino invenduto e la dealcolazione potrebbe apparire anche come un escamotage per raggiungere nuove fette di mercato e liberare le cantine. Questo percorso però non è alla portata di tutti: richiede impianti costosi e tecnologie avanzate, fattori che solo le aziende strutturate possono permettersi, penalizzando i piccoli produttori e alterando l’equilibrio del settore vitivinicolo.

Dealcolati: invece di educare i giovani a bere bene, si è scelto di snaturare il vino

Lamberto Frescobaldi, presidente Uiv

Mi lascia perplessa anche  la posizione di Unione italiana vini (Uiv) - che nel 2023 congiuntamente alla Federvini era presente al Simposio di Coldiretti e Assoenologi che “si erano espressi duramente contro le dichiarazioni dell’Organizzazione mondiale della Sanità (Oms) che vedono demonizzare il vino paragonandolo a una sostanza tossica come il fumo”. Apprendo dalla stampa che,  in prima linea tra chi chiedeva un allineamento della normativa nazionale alle regole comunitarie,  c’era proprio L’Uiv e fa riflettere l’affermazione del presidente Lamberto Frescobaldi, riportata sul Corriere Vinicolo del 17 febbraio, che già fa i conti con le nuove fette di mercato, “che ravvisa una nuova opportunità in questo segmento in crescita, che bisogna guarda con occhio laico ai nuovi trend di consumi”.  Elementare. Nel 2021 - a parere di chi scrive -,  purtroppo in sordina e senza una reale comprensione di cosa stava succedendo - l’Unione Europea con la riforma  della Politica Agricola Comune ha introdotto la norma che riconosceva  nuove tipologie di vino: dealcolizzato e parzialmente dealcolizzato, stravolgendo così una cultura millenaria e chi è preoccupato viene esortato a lasciare da parte queste polemiche che hanno il sapore di retroguardia.

Vino dealcolato, un fatto culturale

Oltre agli evidenti risvolti economici, la questione si pone anche sul piano culturale. Il vino non è una semplice bevanda, ma un’opera d’arte liquida, frutto di tradizioni secolari, espressione di un territorio e di una precisa identità sensoriale. La dealcolazione stravolge questa essenza: sottrae al vino la sua anima, appiattisce i profumi, modifica i sentori e spegne la territorialità, annullando quei baluardi che rendono unico il patrimonio vitivinicolo e non mi soffermo, non essendo un tecnico, sulle manovre invasive che i processi di dealcolazione fanno subire al vino.

Dealcolati: invece di educare i giovani a bere bene, si è scelto di snaturare il vino

La dealcolazione sottrae al vino la sua anima, appiattisce i profumi, modifica i sentori e spegne la territorialità

Una comunicazione aberrante ha penalizzato i vini e la nuova tendenza viene promossa con grande enfasi, quasi fosse una panacea anche per i problemi legati agli incidenti stradali notturni e agli eccessi del bere. Ma davvero dobbiamo credere che il problema sia il vino? È nei locali notturni, con i superalcolici e “sostanze collaterali” che nascono gli eccessi. Demonizzare il vino significa colpire un simbolo della nostra cultura enologica senza affrontare le vere cause del problema. Infine, c’è un altro aspetto paradossale: la scadenza. Un vino dealcolato ha una vita breve, al massimo due anni. Un concetto inaccettabile per un prodotto la cui longevità è sinonimo di prestigio e qualità. L’idea di un “vino a scadenza” è un ulteriore colpo alla sua storia e al suo valore.

Vino dealcolato, educare invece di snaturare

Forse, più che rincorrere mode e strategie di marketing mascherate da innovazione, si sarebbe dovuto educare i giovani al consumo consapevole, difendere l’autenticità del vino, la sua capacità di raccontare la terra, il tempo e la passione di chi lo produce e condividere le radici culturali di questa bevanda. Oggi assistiamo a un ribaltamento del paradigma: invece di educare e informare si preferisce snaturare il vino, trasformandolo in un prodotto che perde la sua identità per adattarsi a una domanda che sembra più figlia delle mode che della reale ricerca di benessere e, per una questione di ritegno e decoro,  non condivido con i lettori il mio giudizio sulle “bevande” che ho degustato. Comprendo che ci possono essere situazioni dove, per motivi di varia natura, l’uso del vino è precluso, parliamone, senza penalizzare però un prodotto in vita da millenni. Domando: un vino senza alcol è ancora vino? O diventa semplicemente una bevanda aromatizzata che porta con sé il nome  vino solo per convenienza commerciale?

Dealcolati: invece di educare i giovani a bere bene, si è scelto di snaturare il vino

Si sarebbe dovuto educare i giovani a bere bene anziché snaturare il vino

Non oso immaginare l’evoluzione della ristorazione, forse nasceranno ristoranti di settore per le nuove generazioni dove  non si contempla il consumo del pasto con il vino; saranno ribaltate le modalità di degustazione, la sommellerie sarà in declino e assurgerà una nuova categoria professionale di degustatori di bevande dealcolizzate, acque e centrifughe, con buon pace di corpi snelli, scolpiti, appartenenti a soggetti senza letizia, di una società sempre più cupa e aggressiva, senza un calice davanti e  la gioia di un brindisi, quell’accenno di leggerezza che ti regala emozioni e ti fa sognare. Io non ho pregiudizi per chi non ama e non può bere il vino o per la produzione di nuove “bevande” ma non chiamiamole vino, per piacere.

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