un Family tree
di 13
milioni
Ricostruito il più grande albero genealogico digitale
dell’umanità. Europei e americani imparentati tra loro, distribuiti su 11
generazioni dai nostri giorni fino a 500 anni fa. La mappa è stata realizzata
sfruttando i dati dei social media disponibili: 86 milioni di profili
pubblicati dal sito Geni.com. Fotografa tutte le migrazioni e i matrimoni,
nonché il legame fra genetica e longevità, che non è così forte
La vita di milioni di persone tracciata in un mega
albero genealogico che racconta interi pezzi di storia dell’umanità. È
stato realizzato da un gruppo di ricercatori statunitensi, che ha analizzato i
profili pubblici di milioni di utenti registrati su una piattaforma dedicata,
ricostruendone le linee familiari attraverso varie generazioni. Il set di dati
ottenuto dagli scienziati fornisce informazioni su matrimoni, migrazioni,
rapporto fra legame genetico e longevità delle famiglie dell’America
settentrionale per un periodo che va dai nostri giorni fino a ben 500 anni fa.
I ricercatori
hanno scaricato i dati dei profili di 86 milioni di persone, per l’85%
cittadini europei e dell’America del Nord, registrati su Geni.com, uno dei più
vasti network online al mondo sulla genealogia, ed hanno applicato algoritmi
basati sulla teoria dei grafi, oggetti matematici formati da un insieme di
punti, proprio come avviene nell’albero genealogico. Lo studio è stato possibile grazie ai dati pubblici condivisi da
appassionati di genealogia, come sottolineano i ricercatori.
I ricercatori hanno delineato così il singolo albero familiare più esteso
al mondo, che conta ben 13 milioni di persone – un numero leggermente maggiore
della popolazione di Cuba o del Belgio – distribuite su 11 generazioni. Ma è
ancora poco, secondo i ricercatori, dato che per arrivare al primo antenato si
dovrebbe andare indietro di altre 65 generazioni. Insomma, ancora non siamo
risaliti all’uomo preistorico, anche se questo studio fornisce un primo
pilastro digitale per la genealogia: infatti, per la prima volta non ci si è
basati sui dati provenienti dagli archivi ecclesiastici o dei registri dei
decessi.
Per
dissolvere i timori che gli utenti di Geni.com non riflettano alla perfezione
la realtà, i ricercatori hanno ottenuto ogni certificato di morte rilasciato
dal 1985 al 2000 nello stato del Vermont, che ha una politica aperta al
riguardo, per un totale di quasi 80 mila. Documenti che sono stati poi
utilizzati per un confronto con i dati ricavati da Geni.com relativi alle
principali caratteristiche socio-economiche degli abitanti dello Stato in
questione: la concordanza era quasi perfetta.
Per gli
scienziati il set di dati costruito rappresenta una pietra miliare che
trasporta le ricerche sulla storia familiare dai necrologi dei giornali e gli
archivi delle chiese all’era digitale, rendendo possibili indagini a livello di
popolazione. “È emozionante – commenta la demografa Melinda Mills (Oxford
University), non coinvolta nello studio –. Questo dimostra come milioni di
persone normali e appassionate di genealogia possono fare la differenza per la
scienza. E allora, ‘power to the people’”.
“La
ricostruzione della genealogia mostra che siamo tutti collegati gli uni agli
altri”, ha detto Peter Visscher, un genetista alla University of Queensland,
che non ha preso parte allo studio. “Questo elemento è noto a partire dai
principi storici delle popolazioni primordiali, ma ciò che gli autori hanno
ottenuto è davvero notevole”. E la tecnologia non ha sbagliato, riproducendo
dati conformi a quelli analogici: se i risultati sono stati poi validati
confrontando un ampio sotto-campione con alcuni registri dello stato del
Vermont.
I dati più
interessanti riguardano l’andamento delle migrazioni e i matrimoni durante le
generazioni, negli scorsi secoli. Ad esempio, a migrare e cambiare paese sono
più spesso le donne rispetto agli uomini, anche se gli spostamenti avvengono a
distanza ridotta e i paesi di destinazione sono spesso vicini, a differenza di
quelli che riguardano il sesso maschile. Anche i matrimoni sono cambiati: prima
del 1750, la sposa veniva scelta in media entro i 10 chilometri di distanza dal
luogo di nascita, mentre 200 anni dopo, nel 1950, i chilometri sono diventati
100. Prima del 1850, inoltre, prima di sposarsi non si faceva tanto caso al
grado di parentela, ad esempio era molto frequente che il matrimonio avvenisse
fra cugini di quarto grado, mentre oggi – sempre tenendo conto del fatto che
siamo tutti imparentati – avviene fra cugini di settimo grado. Evitare di
sposarsi fra parenti è un elemento degli ultimi secoli, dovuto probabilmente al
cambiamento delle regole sociali.
Genetica e longevità
A partire
dalla vasta quantità di dati disponibili, i ricercatori hanno potuto anche
approfondire il legame fra genetica e la longevità. A partire da un
sotto-campione di 3 milioni di individui, tramite algoritmi, gli autori hanno
comparato la durata della loro vita col loro grado di parentela, gli autori
dello studio hanno sviluppato un modello che ha consentito di capire qual è
l’impatto dei geni sulla durata della vita. In base ai risultati, i geni
sembrano contribuire per il 16% alla variazione della longevità, almeno stando
ai dati analizzati. Inoltre, i geni in questione si esprimono in maniera
indipendente l’uno dall’altro, senza interagire fra loro: ciò significa che,
invece che unirsi, ciascun gene può modificare l’azione di un altro situato in
un locus diverso dello stesso cromosoma.
Questo fenomeno, chiamato epistasi, viene
confermato anche dallo studio odierno basato su dati genealogici. Ma nonostante
questa possibile interferenza, i ricercatori hanno individuato un collegamento
lineare – seppure soltanto con un peso del 16% – fra la genetica e la
longevità. In pratica, chi ha questi geni favorevoli, cioè associati a una
maggiore longevità, potrebbe vivere in media circa cinque anni in più. “Non è
tanto”, sottolinea Yaniv Elrich, co-autore dello studio, computer scientist
alla Columbia University, “considerando che studi precedenti avevano dimostrato
che il fumo toglie 10 anni di vita. Ciò significa che alcune scelte relative
alle nostre abitudini potrebbero pesare molto di più della genetica”.
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