Caccia aperta
a 1,6 milioni
di virus
Tra questi si trovano forse i responsabili delle prossime pandemie: nei
prossimi 10 anni il Global Virome Project tenterà di identificarne la maggior
parte
Potrebbero esserci 1,67 milioni di virus sconosciuti,
là fuori, in grado di infettare gli animali terrestri: tra questi, ce ne sono
centinaia di migliaia che potrebbero essere trasmessi all’uomo e causare le
prossime pandemie. Proprio per questo motivo, nel 2018 partirà un’importante
collaborazione internazionale il Global Virome Project, il cui obiettivo è
individuare il maggior numero di questi virus, conoscerli e fermarli prima che
possano causare epidemie su larga scala.
Le malattie zoonotiche – cioè che possono essere
trasmesse dagli animali all’uomo, per esempio attraverso il contatto o il
consumo di carni infette – sono state all’origine di alcune delle epidemie più
letali di sempre: soltanto per citarne alcune, l’influenza aviaria a Zika.
Anche l’OMS le riconosce come cause più probabili delle prossime pandemie,
tuttavia se questo è il nemico da battere, non lo conosciamo abbastanza bene.
Punta dell’iceberg
I 260 virus
di origine animale che sono noti per infettare l’uomo potrebbero rappresentare appena
lo 0,01% del totale delle zoonosi che ci riguardano. Dati dalle passate
epidemie indicano che potrebbero esserci 1,67 milioni di virus ancora da
scoprire, capaci di infettare mammiferi e uccelli. Secondo le stime del
progetto esistono 1,67 milioni di virus nel mondo, di cui solo lo 0,1% è
conosciuto, e tra questi tra i 631mila e gli 827mila potrebbero avere la
capacità di infettare l’uomo.
Prevenire
Nei prossimi 10 anni il Global Virome Project proverà a sanare questo
limite di conoscenza, costruendo un “profilo ecologico” del 99% dei virus
misteriosi: quali specie infetta, in quali aree del Pianeta è diffuso, quali
popolazioni umane e quali allevamenti sono esposti. In questo modo si potranno
indirizzare vaccini e altre terapie mirate alle persone che dovranno
combatterli in prima linea, e sedare sul nascere un possibile focolaio. Si
opererà attraverso progetti di ricerca mirati e protocolli per una più agile
condivisione delle informazioni.
Un notevole risparmio
L’iniziativa
richiederà un totale di oltre 7 miliardi di dollari (5,7 miliardi di euro): una
cifra importante, ma pari a circa il 10% di quella che si dovrebbe investire
per far fronte, nei prossimi anni, a una singola pandemia. Il costo totale
dell’epidemia di SARS nel 2002, per esempio, è stato stimato in 40 miliardi di
dollari (32 miliardi di euro).
Inoltre, la maggior parte (il 70%) dei virus
sconosciuti dovrebbe essere identificata nelle prime fasi di analisi dei
campioni, che richiederanno “soltanto” 1,2 miliardi di dollari (975 milioni di
euro). Quelli che “resteranno per ultimi” saranno anche i più rari, quelli per
cui è meno probabile una trasmissione umana.
In futuro epidemia
per malattia X
ancora ignota?!
per malattia X
ancora ignota?!
L’Organizzazione
mondiale della sanità l’ha inserita nell’elenco delle patologie infettive
potenzialmente pandemiche da cui non possiamo difenderci
Pur non essendo
ancora stata scoperta è già una preoccupazione per gli esperti di tutto il
mondo. Nella Blueprint list of priority diseases, lista dell’Oms delle
malattie potenzialmente pandemiche che aiuta a determinare su quali malattie e
patogeni dovrebbe concentrarsi la ricerca per evitare un’emergenza per la
salute pubblica, c’è per la prima volta anche una “”,
una malattia ancora sconosciuta ma in grado di fare milioni di casi e di morti
nel mondo.
Nell’elenco, che viene aggiornato ogni anno,
compaiono “nomi noti” come Ebola e Marburg, Zika, febbre Lassa, febbre
emorragica Congo-Crimea, Sars e Mers, Nipah e febbre della Rift Valley,
patologie mortali per cui non ci sono cure o vaccini efficaci. All’ultimo posto
appare “disease X” (malattia X). “Con questo termine – scrivono gli esperti
della commissione che ha elaborato la lista – vogliamo rappresentare che una
seria epidemia internazionale può essere causata da un patogeno di cui al
momento non conosciamo la capacità di causare malattie nell’uomo, e quindi la
ricerca deve cercare di mettere in campo una preparazione ‘trasversale’ in
grado di essere rilevante anche per una patologia sconosciuta”.
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