Domeniche
senza acquisti
Amazon
ringrazia
Di Maio
Le chiusure domenicali proposte dalla Lega e avvallate dal vicepremier Luigi Di Maio rischiano di creare disagi all'economia italiana, con ricadute sul turismo e sulla ristorazione. Chi può esultare è solo Amazon...
Forse ha ragione qualche nostalgico dei bei tempi andati in cui si potevano santificare le feste, con buona pace di Santa romana Chiesa che peraltro ha sempre chiuso (chissà perché) un occhio per quanti lavorano nella sanità, nella sicurezza, nei trasporti, nelle comunicazioni, nell’informazione, nello sport, nella cultura, nel turismo, nell’ospitalità alberghiera, nei bar, nei ristoranti, nelle fabbriche a turni continui e chi più ne ha più ne metta. Già, perché lavorare di domenica non è che piaccia poi così tanto. Al punto che nei pubblici esercizi è proprio questo il giorno forse più critico per assenze di malattia (non sempre regolari). Tutti a Messa e poi in famiglia (e non allo stadio…) potrebbe essere davvero un obiettivo da nuova età dell’oro.
Da quando è finita l’età agropastorale e il canto del gallo o il suono delle campane regolavano i ritmi della vita delle comunità, se un punto di equilibrio c’è mai stato, ora sembra però che tutto sia stato stravolto dal solito Mario Monti che nel 2011 col decreto Salva Italia aveva abolito ogni vincolo di orario e giorni sull’apertura dei negozi. Un provvedimento, va ricordato, che ha allineato il nostro Paese al resto del mondo e che non ha imposto l’obbligo, ma ha lasciato ad ogni impresa la possibilità di organizzarsi rispetto alla concorrenza, evitando le troppe disparità esistenti per le diverse disposizioni regionali. Né ha obbligato nessuno ad andare a fare compere di domenica. L’unica conseguenza è che era diminuito il numero dei disoccupati ed era salito quello dei “forzati” al lavoro domenicale.
A sentire il neofita ministro del Lavoro e dello sviluppo economico, grazie all’odiato Monti (che sicuramente si era mosso dietro indicazione dei “centri di potere” internazionali…) saremmo piombati in un periodo di barbarie, di sfruttamento dei commessi e di distruzione delle famiglie. E tutto questo solo perché la domenica sono aperti i centri commerciali e qualche negozio ben organizzato nei centri storici. A trovarne uno aperto di quelli sotto casa! Che in questi decenni sia cambiato il modello di vita della nostra società e quello della famiglia (non necessariamente in meglio) e che tutti i giorni dovremmo potere avere a disposizione i servizi ritenuti primari (fra cui per molti c’è anche il fatto di poter fare acquisti con calma), all’on. Di Maio sembra non importare. Sembrerebbe che ciò che gli interessa sia riportare indietro le lancette dell’orologio e ridare serenità alle famiglie. Se poi questo debba avvenire con meccanismi bizantini in cui a decidere tornino ad essere i Comuni o le Regioni (e non le singole imprese), programmando le aperture di un negozio ogni 4, non si capisce come potrebbe essere un vantaggio per il commercio o le famiglie.
E che dire della discriminazione che viene fatta con la pretesa di tutelare i commessi che lavorano la domenica? Non sarebbe meglio tutelarli contrattualmente fissando magari un massimo reale di 8 ore di lavoro e pagamento di straordinari? E come la mettiamo con i “cugini” camerieri di hotel, bar e ristoranti che il sabato e la domenica invece devono lavorare ed è difficile trovarne? Chiudendo i negozi la domenica creeremmo un nuovo disincentivo a lavorare nell’ospitalità… e nei centri storici si colpirebbe anche il turismo. Davvero un bell’affare.
In verità, oltre alla strana soddisfazione delle associazioni delle imprese (che negli anni passati avevano spinto per l’apertura dei centri commerciali ed ora piangono sul latte versato), gli unici che in silenzio si dovrebbero fregare le mani con soddisfazione per le geniali idee di Di Maio sono i gestori dell’e-commerce, a partire dal più grande evasore fiscale planetario, Amazon, che non chiuderebbe certo la domenica e intercetterebbe gli acquisti di chi “resterà” in famiglia. E magari non tornerà a frequentare le Chiese. Anche perchè le abitudini dei cittadini non si modificano per decreto.
di Alberto Lupini
direttore
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