domenica 8 aprile 2018

FRATELLI D’ITALIA da «provvisorio» a definitivo


FRATELLI D’ITALIA
da «provvisorio» 
a definitivo
Le mani di due genovesi: il testo è di Goffredo Mameli, lo spartito musicale originale di Michele Novaro. Dopo 71 anni, il «Canto degli italiani» diventa l’inno ufficiale della Repubblica Italiana.

L'Inno di Mameli ha accompagnato e accompagna la vita istituzionale  (e non solo) dell’Italia, ma ci son voluti ben 71 anni perché quell’abitudine di cantarlo e di riconoscersi in quelle parole diventasse una legge dello Stato, che regola l’inno nazionale della Repubblica Italiana. E dopo decenni di provvisorietà, lo istituzionalizza. Infatti, la Commissione affari costituzionali della Camera in poche settimane ha approvato in sede deliberante la legge attesa da anni (di iniziativa di alcuni deputati del Pd), imitata dalla Commissione affari costituzionali del Senato, che ha dato il sì definitivo dopo svariati tentativi nelle precedenti legislature, varando di fatto il provvedimento.
Il testo di Mameli – il “Canto degli italiani” – fu scelto come inno d’Italia dal Consiglio dei ministri del 12 ottobre 1946. “Su proposta del Ministro della Guerra – si legge nel verbale di quel lontano Consiglio dei ministri presieduto da Alcide De Gasperi – si è stabilito che il giuramento delle Forze Armate alla Repubblica e al suo Capo si effettui il 4 novembre p.v. e che, provvisoriamente, si adotti come inno nazionale l’Inno di Mameli”. Nulla di più definitivo del provvisorio, come spesso accade in Italia, anche perché l’inno scritto un secolo prima dal giovane eroe risorgimentale Goffredo Mameli (caduto a soli 22 anni sotto i colpi dei soldati francesi al servizio da Pio IX) è entrato a tutti gli effetti nell’immaginario collettivo, grazie soprattutto agli Azzurri e ai successi che un tempo elargivano. Poi nella legislatura 2001-2005 ecco sia una proposta di legge ordinaria che una costituzionale, che però non vengono recepite. Lo stesso avviene nelle due successive legislature (2006-2008 e 2008-2013). Curiosamente una legge del 2012 prevede che l’Inno di Mameli venga insegnato nelle scuole.
“La Repubblica – afferma la nuova legge – riconosce il testo del ‘Canto degli italiani’ di Goffredo Mameli e lo spartito musicale originale di Michele Novaro quale proprio inno nazionale”. Con tutte e sei le strofe del testo di Mameli e non solo le prime due, che tutti conoscono per motivi calcistici. E appare quasi una beffa del destino il fatto che, proprio dopo la storica approvazione della legge, i tifosi non potranno cantarlo ai prossimi Mondiali di calcio per la prima volta dopo 60 anni.
Nato nel 1947
L’Inno fu scritto da Goffredo Mameli, patriota genovese, nel settembre del 1847; il testo fu musicato dal tenore e compositore Michele Novaro, anch’egli genovese, il 24 novembre dello stesso anno. L’inno debuttò pubblicamente il qualche mese dopo (il 10 dicembre di 170 anni fa) a Genova, nell’ambito di una commemorazione della rivolta del quartiere di Portoria contro gli occupanti asburgici durante la guerra di successione austriaca. Proibito dalle autorità sabaude, a causa dell’ispirazione repubblicana e giacobina del suo autore, si diffuse tra i combattenti divenendo il canto più amato e popolare del Risorgimento italiano e degli anni successivi all’unificazione. In particolare venne intonato diffusamente dagli insorti, durante le cinque giornate di Milano, dalle folle acclamanti la promulgazione dello Statuto albertino nel 1848, nonché da volontari impegnati nella difesa della Repubblica romana nel 1849.
Da rilevare che “Fratelli d’Italia” non piacque a chi lo commissionò al giovane Mameli, vale a dire Giuseppe Mazzini, che trovò troppo retorico il testo, poco solenne la musica. Garibaldi gli preferiva la “Marsigliese degli italiani” e anche Puccini sosteneva che fra Novaro e la musica c’era un dissidio insanabile. E nonostante sia stato nel corso della storia un efficacissimo strumento di propaganda degli ideali risorgimentali, le critiche non sono mancate. Anche in tempi recenti. A cominciare dalle accuse di “maschilismo” lanciate dallo storico Antonio Spinosa, che in quei versi non trova nessun accenno alle imprese delle eroine risorgimentali come Rosa Donato, Giuseppina Lazzaroni e Teresa Scardi.
Il «duello» con Verdi


Insomma, il “Canto degli italiani” non ha avuto vita facile e seppure sia divenuto insieme al Tricolore uno dei simboli del Risorgimento prima e dell’Italia unita poi, ne ha passate davvero tante. Durante il ventennio fascista, ed esempio, dopo la marcia su Roma fu appena tollerato, spodestato da quelli fascisti che confinarono in un angolo anche la “Leggenda del Piave” riesumata solo una volta l’anno, il 4 novembre, per ricordare la vittoria sugli austriaci. Solo alla fine della seconda Guerra mondiale il giusto riconoscimento quando, a Londra, Arturo Toscanini diresse l’”Inno delle nazioni”, composto da Verdi nel 1862. Accanto a “God Save the Queen” e alla “Marsigliese”, c’era proprio Il “Canto degli Italiani”. Con la Repubblica, Mameli torna alla ribalta. Negli anni Novanta, però, l’Inno è coinvolto suo malgrado in una dura polemica che investe la Nazionale di calcio: ai Mondiali del 1994 e del 1998, gli azzurri vengono accusati di fare scena muta sulle note dell’inno nazionale. 
Da mettere nel conto pure la concorrenza del coro dal “Nabucco” di Giuseppe Verdi. La Lega l’ha addirittura proposto come inno alternativo, anche perché esso non parla di “schiava di Roma”, come invece fa “Fratelli d’Italia”. L’idea di sostituire Mameli con Verdi ha affascinato anche altri, da Bettino Craxi a Rocco Buttiglione, passando per lo scrittore Guido Ceronetti. Nel 1981 da un sondaggio promosso dal programma “Portobello” emerse che la maggioranza degli italiani avrebbe preferito intonare il “Va pensiero”.
Per la Comunità nazionale italiana di Croazia e Slovenia, la celebre aria verdiana è diventata nel tempo una sorta di inno “parallelo”: se “Fratelli d’Italia” mantiene il crisma dell’ufficialità, espressione identitaria, il coro del “Nabucco”, intonato in chiusura di varie manifestazioni, trasmette tutta la tristezza di un popolo soggetto a dominio straniero o bandito dalla propria terra.                   I. R.

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