FRATELLI D’ITALIA
da «provvisorio»
a definitivo
a definitivo
Le mani di due genovesi: il testo è di Goffredo Mameli, lo spartito musicale originale di
Michele Novaro. Dopo 71 anni, il
«Canto degli italiani» diventa l’inno ufficiale della Repubblica Italiana.
L'Inno di Mameli ha accompagnato e accompagna la vita
istituzionale (e non solo) dell’Italia,
ma ci son voluti ben 71 anni perché quell’abitudine di cantarlo e di
riconoscersi in quelle parole diventasse una legge dello Stato, che regola
l’inno nazionale della Repubblica Italiana. E dopo decenni di provvisorietà, lo
istituzionalizza. Infatti, la Commissione affari costituzionali della Camera in
poche settimane ha approvato in sede deliberante la legge attesa da anni (di
iniziativa di alcuni deputati del Pd), imitata dalla Commissione affari
costituzionali del Senato, che ha dato il sì definitivo dopo svariati tentativi
nelle precedenti legislature, varando di fatto il provvedimento.
Il
testo di Mameli – il “Canto degli italiani” – fu scelto come inno d’Italia dal
Consiglio dei ministri del 12 ottobre 1946. “Su proposta del Ministro della
Guerra – si legge nel verbale di quel lontano Consiglio dei ministri presieduto
da Alcide De Gasperi – si è stabilito che il giuramento delle Forze Armate alla
Repubblica e al suo Capo si effettui il 4 novembre p.v. e che,
provvisoriamente, si adotti come inno nazionale l’Inno di Mameli”. Nulla di più
definitivo del provvisorio, come spesso accade in Italia, anche perché l’inno
scritto un secolo prima dal giovane eroe risorgimentale Goffredo Mameli (caduto
a soli 22 anni sotto i colpi dei soldati francesi al servizio da Pio IX) è
entrato a tutti gli effetti nell’immaginario collettivo, grazie soprattutto
agli Azzurri e ai successi che un tempo elargivano. Poi nella legislatura
2001-2005 ecco sia una proposta di legge ordinaria che una costituzionale, che
però non vengono recepite. Lo stesso avviene nelle due successive legislature
(2006-2008 e 2008-2013). Curiosamente una legge del 2012 prevede che l’Inno di
Mameli venga insegnato nelle scuole.
“La Repubblica – afferma la nuova legge – riconosce il
testo del ‘Canto degli italiani’ di Goffredo Mameli e lo spartito musicale
originale di Michele Novaro quale proprio inno nazionale”. Con tutte e sei le
strofe del testo di Mameli e non solo le prime due, che tutti conoscono per
motivi calcistici. E appare quasi una beffa del destino il fatto che, proprio
dopo la storica approvazione della legge, i tifosi non potranno cantarlo ai
prossimi Mondiali di calcio per la prima volta dopo 60 anni.
Nato nel 1947
L’Inno fu scritto da Goffredo Mameli, patriota genovese,
nel settembre del 1847; il testo fu musicato dal tenore e compositore Michele
Novaro, anch’egli genovese, il 24 novembre dello stesso anno. L’inno debuttò
pubblicamente il qualche mese dopo (il 10 dicembre di 170 anni fa) a Genova,
nell’ambito di una commemorazione della rivolta del quartiere di Portoria
contro gli occupanti asburgici durante la guerra di successione austriaca.
Proibito dalle autorità sabaude, a causa dell’ispirazione repubblicana e
giacobina del suo autore, si diffuse tra i combattenti divenendo il canto più
amato e popolare del Risorgimento italiano e degli anni successivi
all’unificazione. In particolare venne intonato diffusamente dagli insorti,
durante le cinque giornate di Milano, dalle folle acclamanti la promulgazione
dello Statuto albertino nel 1848, nonché da volontari impegnati nella difesa
della Repubblica romana nel 1849.
Da rilevare che “Fratelli d’Italia” non piacque a chi lo
commissionò al giovane Mameli, vale a dire Giuseppe Mazzini, che trovò troppo
retorico il testo, poco solenne la musica. Garibaldi gli preferiva la
“Marsigliese degli italiani” e anche Puccini sosteneva che fra Novaro e la
musica c’era un dissidio insanabile. E nonostante sia stato nel corso della
storia un efficacissimo strumento di propaganda degli ideali risorgimentali, le
critiche non sono mancate. Anche in tempi recenti. A cominciare dalle accuse di
“maschilismo” lanciate dallo storico Antonio Spinosa, che in quei versi non
trova nessun accenno alle imprese delle eroine risorgimentali come Rosa Donato,
Giuseppina Lazzaroni e Teresa Scardi.
Il «duello» con Verdi
Insomma, il “Canto degli italiani” non ha avuto vita
facile e seppure sia divenuto insieme al Tricolore uno dei simboli del
Risorgimento prima e dell’Italia unita poi, ne ha passate davvero tante.
Durante il ventennio fascista, ed esempio, dopo la marcia su Roma fu appena
tollerato, spodestato da quelli fascisti che confinarono in un angolo anche la
“Leggenda del Piave” riesumata solo una volta l’anno, il 4 novembre, per
ricordare la vittoria sugli austriaci. Solo alla fine della seconda Guerra
mondiale il giusto riconoscimento quando, a Londra, Arturo Toscanini diresse
l’”Inno delle nazioni”, composto da Verdi nel 1862. Accanto a “God Save the
Queen” e alla “Marsigliese”, c’era proprio Il “Canto degli Italiani”. Con la
Repubblica, Mameli torna alla ribalta. Negli anni Novanta, però, l’Inno è coinvolto
suo malgrado in una dura polemica che investe la Nazionale di calcio: ai
Mondiali del 1994 e del 1998, gli azzurri vengono accusati di fare scena muta
sulle note dell’inno nazionale.
Da
mettere nel conto pure la concorrenza del coro dal “Nabucco” di Giuseppe Verdi.
La Lega l’ha addirittura proposto come inno alternativo, anche perché esso non
parla di “schiava di Roma”, come invece fa “Fratelli d’Italia”. L’idea di
sostituire Mameli con Verdi ha affascinato anche altri, da Bettino Craxi a Rocco
Buttiglione, passando per lo scrittore Guido Ceronetti. Nel 1981 da un
sondaggio promosso dal programma “Portobello” emerse che la maggioranza degli
italiani avrebbe preferito intonare il “Va pensiero”.
Per
la Comunità nazionale italiana di Croazia e Slovenia, la celebre aria verdiana
è diventata nel tempo una sorta di inno “parallelo”: se “Fratelli d’Italia”
mantiene il crisma dell’ufficialità, espressione identitaria, il coro del
“Nabucco”, intonato in chiusura di varie manifestazioni, trasmette tutta la
tristezza di un popolo soggetto a dominio straniero o bandito dalla propria
terra. I. R.
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