«Il gruppo considerato nel complesso, presenta anche (queste) caratteristiche: l’abbassamento dell’attività intellettuale, (…) l’incapacità di moderarsi e di controllarsi. (…) Tutte queste caratteristiche (…) rappresentano indubbiamente una regressione dell’attività psichica ad una fase anteriore che non ci stupisce ritrovare nel bambino e nel primitivo (Sigmund Freud, Psicologia collettiva e analisi dell’Io)». Citare Freud per sfottere i clienti del buffet? Suona altezzoso. Lo è. Ma quanto ci azzecca! Perché nulla racconta meglio l’irrazionalità collettiva di un gruppo di ospiti d’albergo davanti a un tavolo imbandito. Lì, dove i freni inibitori evaporano come il vapore dei canederli, l’infantile e il primitivo riaffiorano, tra gomitate e cucchiai colmi.
Hotel di montagna, 20 agosto, ore 19:30
Da quando hanno messo piede in hotel, li malediciamo in cucina. Dal commis allo chef, unanime il verdetto: cafoni, maleducati, smodati. Non vediamo l’ora che facciano check-out. Alle 19:30 si apre la sala. Il mio tavolo - un trionfo di torte moderne e tradizionali tirolesi, mele cotte, bicchierini di ricotta al limoncello con frutti di bosco - è la prima cosa che li accoglie. Attraverso la porta a vetri li vedo accalcarsi. Scalpiti da pre-partita: piatti, scodelle e gomiti pronti a entrare in azione. L’insalata russa diventa terreno di lotta, gli spätzle trofeo da conquistare, i canederli reliquia da difendere a suon di spinte. Superano a destra e a sinistra, scavalcano anziani, disabili, persino le consorti, come se fossero reduci da un digiuno forzato. Allungano le mani, pretendono di servirsi da soli, ignorando i quattro di noi in divisa che ripetono - invano - «Vi serviamo noi».
Difendere i dessert come Hulk
Quando si avvicinano ai miei dolci, sento crescere lo sterminio interiore. Come Hulk: fronte corrugata, mascella tesa, voce roca. Dal basso del mio metro e sessanta, con i capelli grigi e il cappello da chef, brandisco coltello e paletta cercando di presidiare il mio buffet. Eccoli, in ordine di odio:
- I “tagliatori abusivi”. Appena mi allontano per prendere un rimpiazzo, eccoli: mani (non sempre pulitissime) su piatti e coltelli, a smembrare la torta con tagli storti e maldestri. Una scena che farebbe imbestialire Gordon Ramsay. Io posso solo correre e tuonare: «Vi servo io, grazie!». Lo sanno che non possono toccare, perché lo fanno lo stesso?
- I “dammi”. Ex aequo di insofferenza. Quelli che, senza un briciolo di cortesia, ordinano: «Dammi un pezzo di quello, dammi un po’ di questo…». Ho 53 anni. Non sono il tuo amico al bar. Dammi del lei, e magari aggiungi un “per favore”.
- I collezionisti seriali. Quelli che chiedono 875 dessert diversi: «Un assaggino per me, uno per la mamma, per la nonna, il nipotino, lo zio e pure l’amica che non vuole alzarsi da tavola». Travolti da una golosità ancestrale, non conoscono misura né dignità.
Per conoscere davvero una persona
basta portarla ad un buffet
Vorrei che Freud fosse qui, a osservare con me queste performance. Confermerebbe la mia modesta teoria: il buffet scatena comportamenti smodati e irrazionali, reazioni di massa che da soli sembrerebbero assurde. È il luogo dove ci si disinibisce più che in un privé. E una lezione di vita, il buffet, in fondo la insegna: se volete conoscere davvero una persona - o scoprire il lato oscuro del vostro partner - portatelo in vacanza in un hotel con buffet. Basteranno un paio di giorni per capire chi avete accanto. You’re welcome.
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