Alla scoperta
del ristorante di Treviso dove nacque il tiramisù
Il ristorante Le Beccherie è un luogo che intreccia storia e cucina, memoria e sperimentazione, in un equilibrio che racconta l’anima più autentica della città e dei suoi protagonisti ai fornelli. Qui, dove negli anni Sessanta nacque il tiramisù, oggi Manuel Gobbo e Beatrice Simonetti firmano una cucina veneta raffinata, essenziale e legata ai sapori del territorio
Critico enogastronomico
Treviso è una città da esplorare, a misura d’uomo e ricca di angoli meravigliosi. Vale quindi certamente la pena fare una passeggiata nel cuore del centro storico per raggiungere, a due passi da Piazza dei Signori, un ristorante come Le Beccherie. Importante meta gastronomica da decenni, il suo nome deriva da “bechèr”, macellaio nel dialetto locale; questo perché proprio in piazza Ancillotto trovava spazio un tempo il mercato dei macellai.
Prima dell’acquisizione nel 2014 da parte di Paolo Lai, imprenditore importante nella ristorazione trevigiana, con la famiglia Campeol il ristorante è stato un grande classico nella fedele rappresentazione della tradizione e dei suoi piatti simbolo, tra i quali la pasta e fagioli e la “sopa coada”. C’è però da dire che la grande notorietà internazionale di questo bel locale ha preso il via dall’invenzione del tiramisù, presente ancora oggi nel menu nella sua versione originale, depositata nel 2010 con atto notarile presso l’Accademia italiana della cucina. Il dolce deve i suoi natali a un’intuizione di Alba Campeol e del pasticciere di allora, Loli Linguanotto.
Gli chef Manuel Gobbo e Beatrice Simonetti
A governare la cucina ci sono Manuel Gobbo e Beatrice Simonetti, entrambi originari della Marca trevigiana, il cui sodalizio professionale è più che collaudato. Ci racconta il primo: «Siamo qui da quasi otto anni, ma ci siamo incontrati molto tempo fa al Ciasa Salares in Val Badia: io ero sous chef e lei ai primi. Già quando lavoravamo sui piatti avevamo notato una certa affinità nelle idee. Poi ce ne siamo andati ognuno per la propria strada, in alberghi diversi, però comunque vicini: io a Merano con Arturo Spicocchi a fare l'apertura del San Luis, lei al Miramonti ad Avelengo. Ci siamo tenuti in contatto e quando io ho avuto l'occasione di tornare qui a Treviso mi serviva qualcuno con cui potessi essere tranquillo di condividere fatiche, gioie e idee. Così l’ho chiamata, perché anche lei, che nel frattempo aveva lavorato anche sul lago di Garda, a La Speranzina e al Grand Hotel Fasano, era un po' stanca di avere sempre la valigia in mano».
Caratteri differenti e complementari - più riservata Beatrice, più esuberante e frontman Manuel - lavorano in grande sintonia: «Siamo compartecipi: per noi essere in due è una forza, perché quando hai qualcuno a fianco che spinge quanto te è più facile, c'è poco da fare».
Il servizio di sala
La sala, anzi, le sale riflettono le diverse anime del locale, che ha anche uno spazio per aperitivi come si deve, tra esterno e bancone. Poi c’è quella interna, calda e confortevole, di una bellissima eleganza informale. Della prima si occupa il direttore, Andrea Corletto, spirito da oste di lusso e responsabile di una carta dei vini notevole, con le sue cinquecento etichette. La parte "gourmet" è invece appannaggio di Sara Piciullo, esperta maître metà svizzera e metà napoletana, con la sua formidabile combinazione di rigore professionale e grande sorriso.
La cucina e i menu
Come si mangia a Le Beccherie? Molto bene, perché nel tempo la stabilità in cucina e l’esperienza dei due chef hanno contribuito a un livello gastronomico ragguardevole. In particolare, quest’anno - oltre alla carta e al menu Noi (120 euro) - è stato introdotto un menu, "Beccherie 1962", proposto a 85 euro, dedicato a un anno fondamentale per arte e cultura trevigiane. Un periodo storico generale di grande fermento che coincide con eventi come la mostra dedicata a Cima da Conegliano, pittore nato intorno al 1460 e figura cardine della scuola veneta del XV secolo, che ha ispirato il "Risotto alla Cima".
Il piatto fu vincitore dell’edizione del Festival della Cucina Trevigiana nel 1962, primo nel suo genere in Italia e capostipite delle innumerevoli rassegne gastronomiche nate successivamente, ideato nel 1959 per contrastare l’esterofilia di “creme e béchamel”. All’epoca un richiamo al biancomangiare in versione salata, oggi un raffinato risotto ‘bianco’ arricchito da pino mugo e mantecato con burro acido; una piacevolissima nota arriva dalla combinazione di Prosecco e aceto. Fondamentale, ancora è la sapidità del guanciale al pepe; infine, gemme fresche di pino mugo tritate. Il riso utilizzato è quello de La Fagiana, produttore artigianale di Eraclea.
Facendo un passo indietro, l’antipasto del menu è l’ottima tartare di manzo "quasi classica" da pezzata rossa (o Angus), all’epoca preparata al tavolo e oggi servita con le uova da galline allevate a terra della Fattoria Sant’Elisio. Molto buona anche la faraona dell’Azienda Scudellaro di Padova, accompagnata dalla salsa "peverada", ricetta locale di origine medievale: in questo caso gli chef usano la varietà "Latte e miele", che nell’ultimo periodo di vita viene nutrita con miele e latte in polvere, ottenendone una carne estremamente morbida e dal gusto delicato. Il predessert è "polenta e latte", un altro omaggio alla tradizione veneta, ispirato all’abitudine di mangiare a colazione la polenta abbrustolita avanzata dal giorno prima, unita a latte e zucchero e in questo caso impreziosita da melagrana: per le chips di polenta Beatrice e Manuel utilizzano la farina Bianco Perla di Borgoluce. Infine, va da sé, un assaggio dell’intramontabile, unico, tiramisù classico.
Nessun commento:
Posta un commento