Perché a volte, quando siamo affamati, ci irritiamo o diventiamo più aggressivi? La risposta sta in un intreccio di fattori biologici, ambientali e psicologici che spiegano la cosiddetta condizione di hangry - fusione dei termini inglesi hungry (affamato) e angry (arrabbiato). Una ricerca dell’American Psychological Society ha dimostrato come la mancanza di glucosio nel sangue possa contribuire ad alimentare emozioni negative, fino a sfociare in irritabilità e nervosismo. Secondo gli studiosi, il contesto e il grado di autoconsapevolezza giocano un ruolo clou: non è la fame in sé a renderci arrabbiati, ma il modo in cui interpretiamo i segnali del corpo e li integriamo con il nostro stato emotivo.
Fame reale o fame emotiva?
«Mangiare non significa soltanto nutrirsi, ma racchiude un insieme di dimensioni fisiologiche, psicologiche, sociali e simboliche» spiega Agnese Rossi, psicoterapeuta di Humanitas Gavazzeni. «Il rapporto con il cibo inizia nell’infanzia ed è regolato dalla percezione della fame e della sazietà. Tuttavia, spesso non mangiamo solo per rispondere a un bisogno fisico: il cibo diventa consolazione, risposta a stati d’ansia, rabbia o delusione, oppure un modo per riempire momenti di vuoto e noia». Quando questo accade, la fame non è legata a un reale fabbisogno energetico, ma a un disagio emotivo. Si parla allora di fame emotiva, che rischia di confondersi con quella fisiologica. «In questi casi - continua Rossi - il cibo diventa uno strumento per reprimere emozioni difficili, che restano inascoltate e irrisolte».
L’esperimento su 400 americani
Per indagare il legame tra fame e irritabilità, i ricercatori hanno coinvolto oltre 400 persone negli Stati Uniti. Ai partecipanti sono state mostrate immagini con contenuti positivi, neutri o negativi, seguite da un’immagine ambigua e da un pittogramma cinese da valutare su una scala di gradimento. Parallelamente, veniva registrata la loro sensazione di fame. Il risultato? Chi dichiarava di sentirsi affamato tendeva a giudicare il pittogramma come spiacevole, associando la mancanza di cibo a emozioni negative.
Un secondo esperimento, condotto in laboratorio su studenti universitari, ha confermato il meccanismo: gli studenti digiuni che non avevano riflettuto sulle proprie emozioni riportavano più stress e rabbia di fronte a situazioni frustranti (come un compito al computer volutamente programmato per bloccarsi). Al contrario, chi aveva dedicato tempo a un esercizio di autoconsapevolezza emotiva non mostrava variazioni significative nell’umore, anche a stomaco vuoto.
Allenarsi all’ascolto delle emozioni
La chiave, spiegano i ricercatori, è distinguere la sensazione corporea della fame dallo stato d’animo che ne può derivare. «Spesso attribuiamo subito lo stomaco vuoto a un’emozione negativa come rabbia o nervosismo - osserva Rossi - ma è fondamentale imparare a separare i due livelli. Riconoscere e nominare le emozioni ci permette di non confonderle con altri segnali fisici, come stanchezza o dolore». Questa capacità di ascolto diventa cruciale in un contesto moderno in cui il cibo è costantemente a portata di mano e stimoli esterni - come pubblicità o abitudini sociali - alterano la percezione dei veri segnali di fame e sazietà.
Consigli pratici della psicoterapeuta
Per prevenire il circolo vizioso fame-aggressività-alimentazione scorretta-rabbia, Rossi propone alcune strategie semplici ma efficaci:
- Ascoltare i segnali del corpo, distinguendo la fame reale dalle emozioni che la imitano (ansia, delusione, agitazione).
- Dedicare tempo ai pasti, assaporando i cibi e masticando con calma.
- Vivere il momento del pasto come occasione di convivialità, concentrandosi sulla qualità più che sulla quantità.
- Evitare diete rigide e punitive, che possono generare frustrazione e favorire la fame emotiva.
- Dare regolarità ai pasti, senza saltare colazioni o pranzi.
- Integrare attività fisica costante, utile per scaricare tensioni e migliorare la consapevolezza corporea.
Dal piatto alla mente
Il cibo non è solo nutrimento, ma anche linguaggio emotivo. Saper distinguere tra fame fisica ed emotiva significa non solo proteggere il nostro benessere psicologico, ma anche sviluppare un rapporto più equilibrato e consapevole con ciò che portiamo in tavola. Come conclude Rossi: «Riconoscere i segnali del corpo e dare voce alle emozioni ci permette di non affidarci al cibo come unica risposta al disagio. Così possiamo trasformare il momento del pasto in un’esperienza appagante, libera dalla trappola della rabbia e della fame incontrollata».
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