giovedì 9 ottobre 2025

Perché la fame ci rende irritabili

 

Perché la fame 

ci rende irritabili: 

il fenomeno “hangry” 

spiegato

Non è solo questione di stomaco vuoto: la rabbia da fame nasce dall’intreccio tra biologia, mente e abitudini. Una ricerca americana e il parere di una psicoterapeuta spiegano come riconoscerla e gestirla

Perché a voltequando siamo affamati, ci irritiamo o diventiamo più aggressiviLa risposta sta in un intreccio di fattori biologiciambientali e psicologici che spiegano la cosiddetta condizione di hangry - fusione dei termini inglesi hungry (affamato) e angry (arrabbiato). Una ricerca dell’American Psychological Society ha dimostrato come la mancanza di glucosio nel sangue possa contribuire ad alimentare emozioni negative, fino a sfociare in irritabilità e nervosismo. Secondo gli studiosiil contesto e il grado di autoconsapevolezza giocano un ruolo clounon è la fame in sé a renderci arrabbiatima il modo in cui interpretiamo i segnali del corpo e li integriamo con il nostro stato emotivo.

Fame reale o fame emotiva?

«Mangiare non significa soltanto nutrirsima racchiude un insieme di dimensioni fisiologichepsicologichesociali e simboliche» spiega Agnese Rossi, psicoterapeuta di Humanitas Gavazzeni. «Il rapporto con il cibo inizia nell’infanzia ed è regolato dalla percezione della fame e della sazietà. Tuttavia, spesso non mangiamo solo per rispondere a un bisogno fisicoil cibo diventa consolazionerisposta a stati d’ansiarabbia o delusioneoppure un modo per riempire momenti di vuoto e noia». Quando questo accadela fame non è legata a un reale fabbisogno energeticoma a un disagio emotivo. Si parla allora di fame emotiva, che rischia di confondersi con quella fisiologica. «In questi casi - continua Rossi - il cibo diventa uno strumento per reprimere emozioni difficili, che restano inascoltate e irrisolte».

L’esperimento su 400 americani

Per indagare il legame tra fame e irritabilitài ricercatori hanno coinvolto oltre 400 persone negli Stati UnitiAi partecipanti sono state mostrate immagini con contenuti positivineutri o negativiseguite da un’immagine ambigua e da un pittogramma cinese da valutare su una scala di gradimento. Parallelamente, veniva registrata la loro sensazione di fame. Il risultato? Chi dichiarava di sentirsi affamato tendeva a giudicare il pittogramma come spiacevole, associando la mancanza di cibo a emozioni negative.

Un secondo esperimento, condotto in laboratorio su studenti universitari, ha confermato il meccanismo: gli studenti digiuni che non avevano riflettuto sulle proprie emozioni riportavano più stress e rabbia di fronte a situazioni frustranti (come un compito al computer volutamente programmato per bloccarsi). Al contrariochi aveva dedicato tempo a un esercizio di autoconsapevolezza emotiva non mostrava variazioni significative nell’umoreanche a stomaco vuoto.

Allenarsi all’ascolto delle emozioni

La chiave, spiegano i ricercatori, è distinguere la sensazione corporea della fame dallo stato d’animo che ne può derivare. «Spesso attribuiamo subito lo stomaco vuoto a un’emozione negativa come rabbia o nervosismo - osserva Rossi - ma è fondamentale imparare a separare i due livelliRiconoscere e nominare le emozioni ci permette di non confonderle con altri segnali fisicicome stanchezza o dolore». Questa capacità di ascolto diventa cruciale in un contesto moderno in cui il cibo è costantemente a portata di mano e stimoli esterni - come pubblicità o abitudini sociali - alterano la percezione dei veri segnali di fame e sazietà.

Consigli pratici della psicoterapeuta

Per prevenire il circolo vizioso fame-aggressività-alimentazione scorretta-rabbia, Rossi propone alcune strategie semplici ma efficaci:

  • Ascoltare i segnali del corpo, distinguendo la fame reale dalle emozioni che la imitano (ansia, delusione, agitazione).
  • Dedicare tempo ai pasti, assaporando i cibi e masticando con calma.
  • Vivere il momento del pasto come occasione di convivialità, concentrandosi sulla qualità più che sulla quantità.
  • Evitare diete rigide e punitive, che possono generare frustrazione e favorire la fame emotiva.
  • Dare regolarità ai pasti, senza saltare colazioni o pranzi.
  • Integrare attività fisica costante, utile per scaricare tensioni e migliorare la consapevolezza corporea.

Dal piatto alla mente

Il cibo non è solo nutrimentoma anche linguaggio emotivoSaper distinguere tra fame fisica ed emotiva significa non solo proteggere il nostro benessere psicologicoma anche sviluppare un rapporto più equilibrato e consapevole con ciò che portiamo in tavola. Come conclude Rossi: «Riconoscere i segnali del corpo e dare voce alle emozioni ci permette di non affidarci al cibo come unica risposta al disagioCosì possiamo trasformare il momento del pasto in un’esperienza appagantelibera dalla trappola della rabbia e della fame incontrollata».

Nessun commento:

Posta un commento