Dehors, si va verso
il rinvio al 2027.
La Fipe: «Male minore, ma servono certezze»
L’emendamento al ddl sulle attività economiche, ora all’esame del Senato, propone di rinviare a giugno 2027 la scadenza delle regole semplificate per i dehors. Una proroga che permetterebbe a bar e ristoranti di lavorare, ma che continua a rimandare (ormai dal 2020) la costruzione di un quadro nazionale chiaro e condiviso
Redattore
La patata bollente dei dehors continua a restare sul tavolo della politica. Il governo Meloni, dopo Draghi e prima ancora Conte, ha scelto infatti di rinviare ancora una volta la questione, prorogando (è attesa solo l’ufficialità) il regolamento che consente a bar e ristoranti di occupare il suolo pubblico con tavolini e sedie all’aperto. Una scelta che da un lato incontra il favore della Fipe, la Federazione italiana pubblici esercizi, perché consente ai locali di lavorare (sopravvivere, aggiungiamo noi), ma che dall’altro conferma la mancanza di un quadro nazionale chiaro e condiviso.
L’ultima proroga e l’occasione mancata
L’ultima proroga, ricordiamo, approvata a fine 2024 con il ddl Concorrenza, sembrava aver fissato un punto fermo: regole semplificate valide fino al dicembre 2025, con dodici mesi di tempo al governo per scrivere una riforma organica dei dehors. Un passaggio che avrebbe dovuto chiudere la stagione dei rinnovi annuali e portare a un riordino definitivo. La scadenza era sì posticipata, ma vincolata all’entrata in vigore della nuova disciplina entro fine anno.
Martedì 16 settembre, invece, un emendamento del relatore Costanzo Della Porta (di Fratelli d'Italia) al ddl sulla semplificazione delle attività economiche in discussione al Senato ha ribaltato la situazione: la proposta è di spostare il termine al 30 giugno 2027 (praticamente agli sgoccioli del mandato Meloni). Di fatto, se l’emendamento resterà nel testo e il ddl verrà approvato, l’esecutivo guadagna un anno e mezzo di tempo, rinviando ancora l’approdo a una legge quadro. Ufficialmente, la proroga serve a dare margini di manovra; nei fatti, toglie la pressione immediata di un provvedimento che divide (e non poco).
Ipotesi accantonate, la proroga congela tutto
Rischiano così di essere smentite le indiscrezioni che parlavano di una bozza già pronta per il Consiglio dei ministri, e che nei giorni scorsi avevano agitato il comparto. Quelle stesse bozze, rimaste allo stadio di ipotesi, delineavano uno schema a doppio binario: nei centri storici o accanto a monumenti il via libera sarebbe passato dalle soprintendenze, chiamate a valutare decoro, materiali e tutela della visuale, mentre per tutti gli altri locali sarebbe bastata la concessione comunale con il pagamento del canone.
La lista dei locali vincolati al parere delle soprintendenze sarebbe stata poi limitata agli esercizi «strettamente prospicienti» a monumenti nazionali, chiese, fontane, colonne commemorative o statue «di valore identitario eccezionale e rappresentativo dei luoghi». Una definizione che in Italia rischiava comunque di riguardare moltissime situazioni. Nelle ipotesi circolate era previsto anche un periodo transitorio: in caso di diniego, gli esercenti avrebbero avuto 180 giorni di tempo per smontare tavolini e pedane, che sarebbero a quel punto diventati abusivi.
Il punto di vista dei ristoratori
Soddisfatta della possibile proroga, come detto, la Fipe, che la accoglierebbe come una boccata d’ossigeno: «Una proroga consentirebbe a imprese, amministrazioni e politica di comprendere che i dehors non sono corpi estranei, ma parte integrante dell’arredo urbano - commenta a Italia a Tavola il vicepresidente vicario, Aldo Cursano. Sono spazi che illuminano, che si identificano facilmente, che diventano presidio sociale e contribuiscono alla sicurezza. Negarli metterebbe in difficoltà le aziende. Basta ricordare che negli ultimi dieci anni abbiamo perso più di 25mila bar. Se non troviamo strumenti per mantenere vive queste attività, rischiamo di avere città buie, con serrande abbassate e spazio alla criminalità. Noi invece abbiamo bisogno di luce, di vissuto e di sostegno, non di ostacoli».
Cursano non nasconde, però, che la soluzione migliore sarebbe stata una legge quadro nazionale, capace di dare uniformità e certezze: «Poi è vero: una legge quadro nazionale sarebbe stata la soluzione migliore. Avrebbe dato regole uniformi e un riferimento chiaro per le amministrazioni locali. Invece, oggi ci sono ancora opinioni contrastanti tra governo e comuni. A mio avviso, prorogare è il male minore: non risolve il problema, ma ci concederebbe un anno di respiro ed eviterebbe danni peggiori. Certo, io avrei preferito che già dal 2023 ci fosse stato un quadro normativo chiaro, in modo da dare certezze agli imprenditori, permettere pianificazione e sostenibilità. Ma senza una linea condivisa, meglio prendere tempo che rischiare scelte penalizzanti».
.Un tema che la politica rinvia da anni
Come evidenziato in apertura, dal 2020, con Conte prima, Draghi poi e ora Meloni, la questione dei dehors è sempre stata rinviata: inizialmente per l’emergenza sanitaria, quindi per mancanza di una sintesi politica: «Ripeto: è un tema che divide, un po’ come quello dei balneari - osserva Cursano. I governi tendono a rinviare, lasciando ai comuni la gestione. Va chiarito però che non siamo in un “far west”: i comuni hanno regolamenti e hanno già tolto le deroghe straordinarie della pandemia. A Firenze, ad esempio, gli spazi concessi in deroga sono stati eliminati già dal 2023. Il punto è un altro: manca una norma quadro nazionale che uniformi i principi. Oggi ogni città va per conto suo: Roma decide in un modo, Firenze in un altro, Venezia in un altro ancora. Serve invece una legge nazionale che stabilisca criteri chiari, lasciando ai comuni la gestione operativa»...
Il nodo, dunque, resta quello di un quadro nazionale che tolga discrezionalità e incertezze: «Una legge quadro permetterebbe di togliere discrezionalità e incertezze. Se ci sono le condizioni di sicurezza, l’autorizzazione deve essere concessa in automatico. Oggi, invece, molti comuni applicano criteri restrittivi pre-pandemia, nonostante il governo abbia dato via libera a un approccio più flessibile. Penso che laddove ci siano le condizioni - sicurezza stradale, spazi adeguati, rispetto delle norme - i dehors vadano incoraggiati perché portano investimenti, lavoro e presidio sociale. Non è solo nell’interesse dei baristi, ma delle città: più luce, più socialità, più sicurezza».
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