Firenze scoppia:
il “turismo del selfie” svuota ristoranti
e botteghe
Strade intasate, piazze piene, ma ristoranti e botteghe vuote. Firenze è assediata da un turismo “usa e getta” che consuma senza fermarsi, attraversa senza vivere. Da Aldo Cursano (Fipe) la denuncia: «Il centro è saturo, ma svuotato di valore. Così la città perde identità». E torna sul tavolo l'ipotesi del ticket d'ingresso
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AFirenze, ormai, non si cammina più. Si scorre, lentamente, come dentro un'autostrada turistica: un flusso continuo di persone, corpi in movimento, code ai musei, ai bagni, ai marciapiedi. Ovunque. Eppure, quando cala la sera, i ristoranti restano semivuoti e le botteghe - come sta accadendo a Venezia - faticano a vendere. Una contraddizione che esaspera chi lavora in città e che racconta con chiarezza la condizione attuale: Firenze è sempre più vittima di un turismo che la attraversa senza viverla. Un turismo che consuma senza fruire, che affolla ma non si ferma: il turismo mordi e fuggi.
Il fenomeno è noto, ma da mesi si è, purtroppo, trasformato in emergenza quotidiana. E chi lo vive ogni giorno - tra un tavolo da sparecchiare e una strada da liberare - ora alza la voce. Come, ad esempio, Aldo Cursano, vicepresidente vicario nazionale di Fipe (Federazione italiana pubblici esercizi) e ristoratore storico fiorentino, che sintetizza così, in un'intervista a Italia a Tavola, la situazione: «Le strade sono piene, le piazze pure, poi ci sono botteghe, negozi e ristoranti che restano semi vuoti. Per dirla in poche parole, tanto fumo e poco arrosto».
Il turismo del selfie svuota il centro storico
Una frase che è anche una fotografia. Il cuore della città, il centro, è saturo di visitatori, ma svuotato di valore. «Questo è il turismo del selfie - continua Cursano - e sta creando dei problemi enormi a Firenze. I turisti arrivano in città in bus organizzati da tour operator, ci stanno due o tre ore, si fanno un paio di foto, magari un panino preso al volo o una spesa al supermercato, e poi se ne vanno. Nessun contributo all'economia dei servizi. Nessuna esperienza vissuta».
E così Firenze si trova intrappolata in un paradosso sempre più ingestibile. Nonostante gli sforzi per incentivare una forma di turismo più consapevole, i numeri del mordi e fuggi crescono. Le comitive organizzate invadono il centro con ritmi serrati e tappe preconfezionate, vanificando qualunque tentativo di distribuzione dei flussi. La città sta barcollando. Perché quando l'80% dei turisti dormiva in hotel o b&b e solo il 20% era giornaliero, si riusciva ancora a gestire. Ora, spiega Cursano, «la proporzione si è rovesciata: il 70% è mordi e fuggi, e solo il 30% alloggia davvero in città. È un modello insostenibile».
Come un ristorante: una città ha una capienza da rispettare
Oltre all'affollamento, poi, è una questione anche di identità. Una città che si fonda sulla bellezza diffusa, sull'accoglienza dei servizi e sulla cultura artigianale, rischia infatti di essere banalizzata, svuotata, omologata. «Sempre più aziende di qualità sono in difficoltà o costrette a modificare la loro offerta in chiave turistica - avverte Cursano. Questo vuol dire banalizzare. Vuol dire adeguarsi al ribasso. Vuol dire smettere di essere Firenze». Ecco allora che torna a circolare l'idea di un ticket d'ingresso, una misura che, da sola, probabilmente non basta, ma che può rappresentare - come già a Venezia - un segnale politico, culturale, simbolico. «È un tema caldissimo - spiega. Io dico: vuoi venire? Prenota. E se siamo pieni, vieni domani, o in bassa stagione. La capienza è quella, e la devi rispettare».
Il nodo vero non è dunque il prezzo, ma la regola, l'idea che non tutto sia disponibile, illimitato, accessibile in qualunque momento e a qualsiasi condizione. È qui che si gioca la vera partita: nel passaggio da una logica di consumo istantaneo a un modello basato sulla qualità dell'esperienza. «Le città funzionano come i ristoranti, gli hotel: se ho 80 posti e li ho riempiti, non invento letti a castello. Devo dire: mi dispiace, riprovi domani». Ecco allora che la questione del ticket, della prenotazione, del limite, non diventa solo una risposta al caos, ma una forma di tutela. Per i residenti, per i lavoratori, per i servizi, ma anche per il turista stesso. Perché quando l'esperienza diventa ingestibile, si perde il senso del viaggio. E ciò che doveva essere un sogno si trasforma in un incubo.
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Cursano non fa giri di parole: «Sia chiaro, non si tratta di scegliere tra ricchi e poveri, la città deve essere aperta a tutti. Ma ogni cosa deve avere un ordine. Non puoi far entrare mille bus e poi sorprenderti se la città scoppia». Il concetto è quello della capienza turistica, da stabilire e difendere, come si farebbe per un luogo qualsiasi con dei limiti strutturali, di sicurezza, di vivibilità. Il modello che oggi sta saltando, e che Firenze non può più permettersi, è quello del “tutti insieme, sempre, ovunque”. Un'idea malsana di libertà, secondo cui tutto è concesso, a chiunque, in ogni momento. Ma «la sostenibilità», ricorda Cursano, «non è solo ambientale. È anche sociale, economica, umana - sottolinea. Se non la garantisci, la bellezza diventa ingovernabile».
Il punto, in fondo, è proprio questo. Firenze - come Venezia, forse ancora più di Venezia - non può più aspettare. Il tempo dei dibattiti sta ormai scadendo e la questione non è più se reagire, ma come. Governare i flussi, ridurre l'impatto, restituire senso al viaggio, valore all'esperienza, dignità a chi lavora e vive nei centri storici. Perché quella città, che ogni giorno viene attraversata, è ancora - come dice Cursano - «la città dei giganti, la terra calpestata da Michelangelo, da Raffaello, da Brunelleschi». E chi ci mette piede, deve sapere dove si trova. O almeno comportarsi come se lo sapesse.
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