La giacca bianca
che fa la differenza
Al funerale di Paul Bocuse a Lione erano presenti 1.500 cuochi vestiti con giacca bianca e toque; a Milano per Gualtiero Marchesi, invece, solo poche decine hanno voluto esibire con orgoglio la propria divisa
A Lione almeno 1.500 giacche bianche contro la trentina di Milano. I funerali di Bocuse e di Marchesi, scomparsi a neanche un mese l’uno dall’altro, indicano come francesi e italiani vivano in maniera diversa la professione del cuoco. Là contano équipe e unità. Individualismo e supervalutazione del proprio status sono invece spesso le nostre regole.
A Milano solo alcuni cuochi della Fic e un paio di Euro-Toques indossavano la divisa per rispetto al Maestro. I più, magari fra i più noti, erano “in borghese”. Ragionevoli le giustificazioni: per il freddo (quasi che non la si potesse indossare sopra ad un pile) o per timore di apparire (quasi che di solito ci si sottragga alle telecamere...). Ciò che conta, dice chi approva la grisaglia, è la sostanza e non l’apparenza. Sta di fatto che invece di dimostrare compattezza e solidarietà, è apparsa la confusione...
Per qualcuno la colpa è della politica che non ha aiutato a fare squadra: Paul Bocuse era una sorta di eroe nazionale, con Legion d’onore e funerali di Stato. I meriti di Gualtiero Marchesi gli sono stati riconosciuti a parole solo da morto e ancora due anni fa era stato snobbato quando il Governo riceveva per la prima volta una delegazione dei cuochi più noti. Due pesi e due misure fra Parigi e Roma. Ma ai funerali c’erano cuochi, non politici.
Pur col primato di Bocuse, riconosciuto dallo stesso Marchesi, erano due giganti che hanno influenzato il modo di intendere il cibo. La loro eredità non si limita a ricette o tecniche, che anche grazie a loro sono cambiate. Con loro la cultura si è innestata nella Cucina dando ai Cuochi anche un ruolo sociale.
Senza Gualtiero Marchesi e Paul Bocuse, e molti altri della loro generazione, i cuochi sarebbero forse ancora dietro i fornelli, spesso impresentabili e con grembiuloni sporchi. Il rinnovamento della Cucina ha segnato l’epoca del consumismo, ma ha anche introdotto la consapevolezza. Come spesso succede, le loro “rivoluzioni” gli sono in parte sfuggite di mano e i loro successori ne hanno magari distorto alcune impostazioni. Pensiamo all’eccesso di protagonismo di alcuni “Chef” italiani, che si atteggiano a volte a maître à penser, quasi che non basti essere cuochi con uno status riconosciuto dai più. Tv e marketing hanno poi fatto di qualche cuoco il testimonial di se stesso, ma non certo un esempio per la professione.
Secondo Bocuse la Francia doveva temere il giorno in cui i cuochi italiani avessero saputo valorizzare i nostri incredibili prodotti e le nostre tradizioni. In realtà Parigi dovrebbe temere solo cuochi italiani meno individualisti e con più spirito di squadra.
A Milano solo alcuni cuochi della Fic e un paio di Euro-Toques indossavano la divisa per rispetto al Maestro. I più, magari fra i più noti, erano “in borghese”. Ragionevoli le giustificazioni: per il freddo (quasi che non la si potesse indossare sopra ad un pile) o per timore di apparire (quasi che di solito ci si sottragga alle telecamere...). Ciò che conta, dice chi approva la grisaglia, è la sostanza e non l’apparenza. Sta di fatto che invece di dimostrare compattezza e solidarietà, è apparsa la confusione...
Paul Bocuse e Gualtiero Marchesi
Per qualcuno la colpa è della politica che non ha aiutato a fare squadra: Paul Bocuse era una sorta di eroe nazionale, con Legion d’onore e funerali di Stato. I meriti di Gualtiero Marchesi gli sono stati riconosciuti a parole solo da morto e ancora due anni fa era stato snobbato quando il Governo riceveva per la prima volta una delegazione dei cuochi più noti. Due pesi e due misure fra Parigi e Roma. Ma ai funerali c’erano cuochi, non politici.
Pur col primato di Bocuse, riconosciuto dallo stesso Marchesi, erano due giganti che hanno influenzato il modo di intendere il cibo. La loro eredità non si limita a ricette o tecniche, che anche grazie a loro sono cambiate. Con loro la cultura si è innestata nella Cucina dando ai Cuochi anche un ruolo sociale.
Senza Gualtiero Marchesi e Paul Bocuse, e molti altri della loro generazione, i cuochi sarebbero forse ancora dietro i fornelli, spesso impresentabili e con grembiuloni sporchi. Il rinnovamento della Cucina ha segnato l’epoca del consumismo, ma ha anche introdotto la consapevolezza. Come spesso succede, le loro “rivoluzioni” gli sono in parte sfuggite di mano e i loro successori ne hanno magari distorto alcune impostazioni. Pensiamo all’eccesso di protagonismo di alcuni “Chef” italiani, che si atteggiano a volte a maître à penser, quasi che non basti essere cuochi con uno status riconosciuto dai più. Tv e marketing hanno poi fatto di qualche cuoco il testimonial di se stesso, ma non certo un esempio per la professione.
Secondo Bocuse la Francia doveva temere il giorno in cui i cuochi italiani avessero saputo valorizzare i nostri incredibili prodotti e le nostre tradizioni. In realtà Parigi dovrebbe temere solo cuochi italiani meno individualisti e con più spirito di squadra.
Italiaatavola
Alberto Lupini direttore |
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