Per una buona memoria
Secondo due scienziati canadesi non è un fallimento del meccanismo ma, anzi, un ingranaggio fondamentale
per il suo corretto funzionamento
Siamo fatti, anche, per dimenticare. Quindi non preoccupatevi se non ricordate dove avete parcheggiato, il posto in cui avete lasciato le chiavi e persino il nome dei ragazzi/e con cui uscite. Una smemoratezza che, a volte, vi ha fatto sentire stupidi. A lungo avete cercato consolazione nella biografia di Albert Einstein, premio Nobel per la fisica nonché sbadato patologico, tanto che un amico di famiglia predisse: “Codesto giovanotto non combinerà mai grandi cose perché non riesce a ricordare nulla”. Sapere invece che - contrariamente al pronostico - ha segnato la storia, non vi è bastato. Ebbene c’è una buona notizia: a quanto pare non siete poco intelligenti, affatto. E la dimostrazione arriva dalla scienza.
Siamo fatti, anche, per dimenticare. Quindi non preoccupatevi se non ricordate dove avete parcheggiato, il posto in cui avete lasciato le chiavi e persino il nome dei ragazzi/e con cui uscite. Una smemoratezza che, a volte, vi ha fatto sentire stupidi. A lungo avete cercato consolazione nella biografia di Albert Einstein, premio Nobel per la fisica nonché sbadato patologico, tanto che un amico di famiglia predisse: “Codesto giovanotto non combinerà mai grandi cose perché non riesce a ricordare nulla”. Sapere invece che - contrariamente al pronostico - ha segnato la storia, non vi è bastato. Ebbene c’è una buona notizia: a quanto pare non siete poco intelligenti, affatto. E la dimostrazione arriva dalla scienza.
Lo
studio
Perché, secondo un nuovo studio pubblicato sulla
rivista scientifica Neuron, il nostro cervello sembra proprio lavorare apposta
(pure) per questo. Attraverso una serie di meccanismi che servirebbero a
guidare e ottimizzare i processi decisionali, permettendoci di valutare solo le
informazioni preziose. “È importante che il cervello dimentichi i dettagli
irrilevanti e si concentri su ciò che serve a prendere decisioni nel mondo
reale”, spiega Blake Richards, ricercatore dell’Università di Toronto e uno
degli autori del report insieme al collega Paul Frankland.
La
memoria
La ricerca è partita da un presupposto: gli studi
neurobiologici condotti sulla memoria fino a oggi si sono concentrati
soprattutto sui meccanismi di memorizzazione. Ma un numero crescente di analisi
recenti ha fatto luce sull’esistenza di differenti processi cerebrali che,
viceversa, spingono all’oblio. Ed è su di loro che il duo ha deciso di
concentrarsi. Uno di questi processi è l’indebolimento o l’eliminazione di
connessioni sinaptiche tra i neuroni in cui vengono codificati i ricordi. Un
altro, dimostrato dal laboratorio dello stesso Frankland, è la generazione di
nuovi neuroni da parte delle cellule staminali. Quando questi neuroni si
integrano nell’ippocampo,
le nuove connessioni create rimodellano i suoi circuiti scrivendo sopra le memorie che qui sono conservate e rendendo più difficile accedervi. Un sistema che potrebbe spiegare perché i bambini, il cui ippocampo produce molti più neuroni, dimenticano così tante informazioni.
le nuove connessioni create rimodellano i suoi circuiti scrivendo sopra le memorie che qui sono conservate e rendendo più difficile accedervi. Un sistema che potrebbe spiegare perché i bambini, il cui ippocampo produce molti più neuroni, dimenticano così tante informazioni.
Se ci pensate bene, Sherlock Holmes era arrivato da tempo a questa
conclusione: il suo essere espertissimo in alcune materie, in grado di
memorizzare dettagli e informazioni incredibili, derivava dal fatto che
volutamente si disinteressasse o dimenticasse subito tutte le informazioni non
rilevanti al suo modo di operare proprio perché impossibile immagazzinare tutti
i ricordi e le informazioni. Il nostro cervello deve quindi operare una
selezione, che spesso si basa sull’utilità dei ricordi a seconda delle
situazioni che viviamo.
Le
scelte più intelligenti
L’équipe di studiosi si è, poi, spinta più in là.
Con l’obiettivo di capire come mai il cervello dedichi così tanta energia a
dimenticare, visto che sembra controintuitivo. Per dare una risposta al loro
quesito, hanno fatto un’analogia tra i meccanismi cerebrali degli esseri umani
e i principi d’apprendimento che sono alla base dell’intelligenza artificiale.
Così sono giunti alla conclusione che l’oblio è importante al pari della
memorizzazione nei sistemi mnemonici. Perché l’obiettivo ultimo della nostra
memoria non è ricordare di per sé, ma ottimizzare i processi decisionali. E
l’interazione tra i due meccanismi ci consente di fare scelte più intelligenti.
Lo facciamo in due modi, sostengono i ricercatori. Il primo: aiutandoci ad
adattarci a nuove situazioni, facendo scivolar via dalla nostra mente vecchie
informazioni potenzialmente ingannevoli che non ci aiuterebbero ad affrontare i
cambiamenti. Il secondo è permettendoci di generalizzare. In pratica: nel
momento in cui rammentiamo un incontro nel complesso, e non i suoi dettagli,
creiamo delle memorie semplici e più efficaci a predire nuove esperienze. “Se stai cercando di orientarti nel mondo, un
cervello costantemente oberato di ricordi conflittuali, e magari alterati nel
tempo, farà molta più fatica a prendere decisioni sulla base di informazioni
corrette”, spiega Richards. Ed è, dunque, solo dimenticando che la memoria può
tenersi “aggiornata” ad informazioni utili, che ci sono fondamentali nelle
scelte quotidiane, sia intellettive che affettive.
C’è anche da specificare che questi meccanismi sono modellati dalla nostra
routine. Per esempio, un commerciante che ogni giorno viene a contatto con
decine di persone, ricorderà i nomi dei clienti per un breve periodo di tempo.
A differenza di chi ha a che fare sempre con gli stessi volti. Quest’ultima non
è del tutto una novità, dato che altri studi hanno evidenziato che scordiamo
avvenimenti episodici della nostra vita più facilmente della conoscenza
generale a cui attingiamo quotidianamente. Insomma, la memoria non ci
servirebbe a trasmettere le informazioni più accurate, ma piuttosto le più
utili, in modo che possiamo prendere decisioni adattandoci all’ambiente e alle
circostanze.
Un po’ frustrante, vero.
Ma sapere che in un certo senso ci rende più intelligenti ci fa sentire meglio.
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