funzionale: so ma...
non comprendo!
Un libro in difesa della lingua italiana |
È una piaga diffusa in tutto il mondo e colpisce senza distinzione di fascia, ceto e cultura
Si tratta di persone che nonostante siano state istruite non sono più in grado di usare la lettura, la
scrittura e la capacità di calcolo per il proprio sviluppo cognitivo e quello della comunità.
Nonostante l’aumento dell’accesso all’istruzione letteraria e numerica attraverso la scuola per le
persone di tutto il mondo, negli adulti si osserva una crescita di casi di analfabetismo funzionale,
detto anche analfabetismo di ritorno. Con questa espressione si indicano persone che, nonostante
siano state istruite e sappiano leggere e scrivere, non sono più in grado di usare la lettura, la scrittura
e la capacità di calcolo per il proprio sviluppo cognitivo e quello della comunità. La prima
formulazione di questo concetto la dobbiamo all’esercito americano, che nel corso della Seconda
Guerra Mondiale definiva analfabeta “una persona incapace di comprendere quel tipo di istruzioni
scritte che sono necessarie per eseguire funzioni e compiti militari di base”.
Il concetto ebbe poi ampia fortuna nel dopoguerra: in una pubblicazione Unesco del 1956, William S. Gray affermava che è functionally literate “una persona che ha acquisito le conoscenze e le capacità di leggere e scrivere che gli permettono di intraprendere in maniera efficace tutte quelle attività nelle quali l’alfabetismo è normalmente presunto nella sua cultura o nel suo gruppo”.
Nel 1978 la Conferenza Generale dell’Unesco adottò la definizione che usa tuttora: “una persona è alfabetizzata dal punto di vista funzionale quando può intraprendere tutte quelle attività che richiedono l’alfabetizzazione ai fini del funzionamento efficace del suo gruppo o della sua comunità, o che gli permettono di continuare a usare la lettura, la scrittura, e il calcolo per lo sviluppo suo proprio e quello della comunità”, dove la differenza principale rispetto alla definizione precedente è il riferimento allo sviluppo personale.
Secondo la definizione del rapporto PIAAC (Programme for International
Assessment of Adult Competencies), un programma dell’OCSE che valuta le competenze della
popolazione, queste persone non riescono a “comprendere, valutare, usare e farsi coinvolgere con
testi scritti per intervenire attivamente nella società, per raggiungere i propri obiettivi e per
sviluppare le proprie conoscenze e potenzialità”. Analfabeti funzionali si nasce, ma anche si
diventa. Alcuni individui, infatti, possono subire un fenomeno di retrocessione – l’analfabetismo
funzionale di ritorno – per non aver sollecitato a lungo le competenze acquisite in precedenza, come
la lettura, l’informazione, la creatività e lo sviluppo di un pensiero critico generale. Il termine
analfabetismo funzionale indica l’incapacità di un individuo di comprendere, valutare, usare testi
scritti e con essi farsi coinvolgere per intervenire attivamente nella società, raggiungere i propri
obiettivi e sviluppare le proprie conoscenze e le proprie potenzialità. Hanno più di 55 anni, sono
poco istruiti e svolgono professioni non qualificate. Oppure sono giovanissimi che stanno a casa dei
genitori senza lavorare né studiare. O, ancora, provengono da famiglie dove sono presenti meno di
25 libri. Sono i “low skilled” in inglese, quelli che non sono in grado di capire il libretto di
istruzioni di un cellulare o che non sanno risalire a un numero di telefono contenuto in una pagina
web se esso si trova in corrispondenza del link “Contattaci”. Secondo i dati raccolti dall’Unesco nel
2015 (si tratta dei ragazzi che hanno compiuto 18 anni nel 2018) l’85% della popolazione adulta nel
mondo è alfabetizzata. Gli analfabeti attualmente si attestano intorno a 757 milioni di persone,
distribuite per lo più nei paesi in via di sviluppo. In quelli sviluppati, l’analfabetismo resta
prevalentemente funzionale. Secondo uno studio pubblicato su Frontiers in Psychology, solo in
Europa questa categoria di persone ammonterebbe a circa 80 milioni di individui. Secondo
l’Organisation for Economic Co-operation and Development (OECD), che collabora con
l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) risulta che l’Italia (con
circa il 70%), la Spagna e il Messico sono le meno alfabetizzate funzionali al mondo. Seguono
Germania e Francia. Le nazioni che presentano questo fenomeno in modo più marginale sono
Giappone, Olanda, Svezia, Finlandia, Norvegia, Estonia e Australia. La stima è stata compiuta su
una popolazione compresa tra i 16 e i 65 anni. Questi studi hanno messo in luce anche il peso dei
social su questa situazione: è stato rilevato infatti che una parte dei giovani considerati non sono in
grado di interpretare o leggere tra le righe di un testo. Scrivono e sanno usare con abilità i propri
smartphone, ma se si trovano davanti a un evento complesso sono in grado di comprenderne solo
alcuni dettagli, che non gli consentono di avere una visione d’insieme di quanto è accaduto. Questi
strumenti abituano le persone, specialmente nella fascia di età tra i 16 e i 60 anni, a scrivere frasi e
parole abbreviate. Inoltre le emoticon molto spesso sostituiscono la maggior parte delle parole. Di
conseguenza, anche individui che sanno leggere e scrivere correttamente perdono la capacità di una
scrittura più completa. A causa della vita sul Web, inoltre, sempre più persone tendono a prendere
per vere tutte le notizie su Facebook e sul Web in generale, limitando molto il pensiero critico e la
capacità di discernere le fonti e le voci autorevoli e capaci, dal giornalismo delle bufale. Come fare
a porre un freno a questo fenomeno dilagante che vede protagonisti in prima persona adulti e
adolescenti alle prese con il mondo virtuale e non dell’informazione? La soluzione si chiama media
education ed è una disciplina spesso bistrattata ma, ora più che mai, estremamente valida. Il potere
dei media va controllato, non demonizzato, allenando il nostro senso critico e quello dei bambini.
Leggere insieme un quotidiano, commentare una notizia, confrontarsi, lasciare sempre aperto il
dialogo: ecco i pilastri per trasformare la media education in uno strumento di crescita e confronto
per la famiglia partono dal quotidiano. Anche chi ha le competenze minime di lettura e scrittura, se
non le stimola adeguatamente, finisce per perdere la capacità di utilizzarle in maniera costruttiva.
Purtroppo ha delle conseguenze molto preoccupanti: scarsa integrazione nel mondo del lavoro, una
socializzazione più difficile ma anche, una incapacità di vivere a pieno la propria vita.
PANORAMA EDIT
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