lunedì 17 dicembre 2018
L’ANALISI SENSORIALE NEI SECOLI BUI ANALISI SENSORIALE
L’ANALISI
SENSORIALE
NEI SECOLI BUI
ANALISI SENSORIALE frangente – forte, cioè potente, over ardito”.
L’autore è estremamente preciso e chiaro nella descrizione, è innegabile che sarebbe divertente trovare un vino che possa esserne l’icona o valutare l’attendibilità delle parole, ma è molto più interessante interrogarsi circa l’esperienza sensoriale dalla quale scaturiscono.
Da tale descrizione possiamo rilevare le attese sulle qualità dei vini che, in carenza delle moderne conoscenze enologiche, erano sovente preda di patologie generate da microrganismi nefasti, ma anche, mancando di strumenti di misura, delle più banali sofisticazioni. Giovanni ha chiaro questo concetto quando, trattando di un rosso, lo vuole “colorito” e “forte”, non solo perché un simile vino è migliore sotto il profilo sensoriale, ma è anche più serbevole e avulso dall’annacquamento che all’epoca gli osti praticavano con molta frequenza.
Coerentemente al contesto storico, è stato Tommaso d’Aquino (1225 – 1274) ad azzardare una risposta esaustiva, infatti l’autore si è lungamente speso in merito al senso del gusto, indagandone le definizioni rispetto al sapore.
Il filosofo individua il sensorio del gusto come fondamentale per identificare il nutrimento, saporito o gradevole contrapposto a insipido o sgradevole. Il meccanismo sensoriale fa riferimento alla tradizione aristotelica e di conseguenza la convinzione per cui la mente umana prima delle percezioni è una tabula rasa, noi siamo esperienza e quest’ultima è alimentata dalle sensazioni. Partendo da questi presupposti è possibile cogliere a pieno quanto la percezione sensoriale sia determinante per andare a comporre la totalità della realtà, si tratta in un certo qual modo dell’atto di assaggiare nella forma teorica, infatti, quello che si va a disegnare durante una degustazione è propriamente una mappa sensoriale che descrive l’oggetto. Va precisato, che molto spesso quando si procede all’assaggio di un qualcosa di conosciuto non possiamo definirci propriamente una tabula rasa, in quanto l’archetipo e la memoria stessa andranno inizialmente a influire sulla nostra esperienze sensoriale. Oggi, come abbiamo esplicitato più volte, chi compie una valutazione sensoriale è mosso da un’esperienza volta a far imparare i sensi ad analizzare liberi da contaminazioni e influenze, ritornando alla tabula rasa. Quasi mai ci riesce, ma è quanto cerca di fare il panel leader quando conduce il gruppo esortando i giudici a liberarsi dai preconcetti, a non ragionare, a evitare di essere accecati dalle attese. Chi conduce l’analisi sensoriale va oltre e, ancora prima dell’assaggio, interviene attraverso il piano sperimentale, evitando di passare ai giudici la benché minima informazione sui campioni che andranno a valutare in modo che mettano in atto tutta la loro capacità di descrivere e misurare, ma anche cambiando a ognuno l’ordine di presentazione, inserendo delle repliche e via discorrendo. A fronte di queste, che sono regole inderogabili nell’analisi sensoriale scientifica, vi sono casi in cui, persino in eventi di valutazione ufficiale come i concorsi, gli organizzatori forniscono ai giudici il nome del vino, l’annata e financo i dati di analisi chimica. Per non parlare poi di redattori di guide enologiche che valutano il prodotto con la bottiglia davanti o negli stabilimenti dove si produce. Altro che tabula rasa, in questi casi la mente è così satura di informazione che, pur nella più buona fede, la percezione sarà distorta all’inverosimile.
L'ASSAGGIO
ALESSANDRA MANINI
MARIANNA FOSSATI
LUIGI ODELLO
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