Cena con delitto:
lo smartphone ha ucciso il piacere di mangiare
al ristorante
Una volta al ristorante si parlava, ora si posta. Lo smartphone è diventato il vero protagonista del pasto, tra foto, like e recensioni. Ma chef e locali “no phone” mostrano che resistere è possibile. Anche per difendere gusto, tempo e reputazione
direttore
Una volta - nemmeno tanto tempo fa - il cellulare si lasciava in tasca. Ora è il nuovo coltello da pesce quasi scomparso nelle mise en place. Lo si appoggia con disinvoltura accanto al bicchiere, si consulta tra una portata e l'altra, si impugna come una posata per fotografare ogni piatto, meglio se dall'alto. Il ristorante, da luogo di relazione e scoperta, è diventato teatro di scatti compulsivi, stories e messaggi. Non importa se si è in coppia, con amici o a un pranzo di lavoro: lo smartphone è ormai il terzo (o quarto, o quinto) incomodo a tavola.
Il cellulare è la nuova posata. Ma in sala
il gusto resta dietro lo schermo
Eppure, qualcosa sembra muoversi. I dati più recenti segnalerebbero un'inversione di tendenza: meno italiani sembrano usare il cellulare al ristorante rispetto all'anno scorso. Una buona notizia? Forse. Ma la battaglia è tutt'altro che vinta. Anche perché, mentre cala l'uso diretto, sui social aumentano le foto di piatti, crescono le recensioni improvvisate e il food porn digitale spadroneggia contribuendo al problema delle recensioni fasulle. La domanda resta: è ancora possibile gustarsi un pasto senza doverlo prima postare?
Uno su due a tavola fotografa i piatti
Ma vediamo qualche numero: “solo” un italiano su quattro userebbe spesso il cellulare al ristorante. Lo sostiene TheFork, piattaforma per prenotazioni online legata a TripAdvisor, che a febbraio ha diffuso uno studio dal titolo "La distrazione a tavola". Un'indagine che, più che fotografare fedelmente l'impatto del fenomeno, sembra strizzare l'occhio a un tentativo di recupero reputazionale da parte della casa madre. TripAdvisor è infatti finita nel mirino delle autorità già a partire dal 2014, quando l'Antitrust italiana la multò per 500mila euro per pratiche scorrette nella gestione delle recensioni.
E secondo uno studio del Mit, oltre il 16% delle recensioni nel settore food & hospitality risulterebbe potenzialmente falsa, soprattutto su piattaforme aperte come quella americana, su Yelp e su Amazon. In questo contesto, i dati proposti da TheFork risultano poco convincenti, anche perché - sempre secondo lo stesso studio - a fotografare i piatti sarebbe un italiano su due. Difficile allora credere che davvero solo uno su quattro usi il cellulare a tavola con una certa frequenza.
I ristoranti diventano set fotografici
La verità è che il boom delle foto di piatti ha trasformato molti ristoranti in set fotografici, spingendo cuochi e clienti a inseguire “like” invece che occuparsi del gusto reale, facendo del cellulare la nuova posata che non può mancare in tavola. La sala diventa teatro, ma il palato rischia di rimanere dietro le quinte o di raffreddarsi, con clienti delusi che condividono le prime impressioni negative online, allungando la lista delle recensioni inattendibili. Il risultato è spesso un'esperienza sfasata tra immagine e sostanza che mette in secondo piano il perché si è a tavola (piacere e socialità) e può danneggiare la reputazione di un locale per recensioni critiche che magari evidenziano discrepanze tra foto perfette e sapori deludenti, aggravando gli errori di quanti in cucina curano magari più il food design che la qualità del gusto.
La smania dell'inquadratura perfetta:
i numeri che contano, tra like e scetticismo
Il #foodporn è un fenomeno globale: si contano oltre 180 milioni di foto con #food su Instagram e 90 nuove immagini al minuto, al punto che si sprecano ormai le ricerche e si aprono confronti, a volte anche pesanti, fra addetti ai lavori e clienti. Carlo Pierato, maitre con esperienze di molti ristoranti stellati ed oggi consulente di Cast, la scuola di formazione di alta cucina di Brescia, sintetizza così il fenomeno: «Scattare le foto ai piatti durante una cena, specialmente in locali rinomati, è sicuramente un modo per condividere le immagini a posteriori con i propri cari ed amici, oltre che sui social per sfoggiare la propria presenza».
Una sorta di smania di apparire confermata da un ricordo: «Ho assistito ad una scena dove un ragazzo ha chiesto la mano alla sua compagna inginocchiandosi davanti a lei aprendo la scatola con l'anello di fidanzamento. La sua compagna gli ha chiesto nell'immediato di ripetere la scena perché voleva filmarla e postarla. Mezz'ora dopo erano a tavola con i cellulari in mano per vedere quanti like avrebbero ottenuto»…
Il No di Oldani e il Si di Apreda
Una situazione che da tempo ha fatto scendere in campo uno chef star come Davide Oldani, ristorante Do, 2 stelle Michelin, il re della cucina pop e presidente de Le Soste, che vieta foto ai foodblogger nel suo ristorante, ritenendo che il food porn possa essere controproducente.
Un parere peraltro non condiviso da molti colleghi. Francesco Apreda, chef stellato romano (Idylio) non è infatti contrario alle foto e ritiene che in fondo «oggi il mondo gira attorno alle immagini e quindi se si fotografano i piatti vuol dire che “girano” e danno la possibilità a molti locali di farsi conoscere e quindi portare gente al ristorante».
Un dato di fatto è che l'88% dei consumatori (lo rileva la Fipe) si fida delle recensioni online. ll 74% sceglie il ristorante tramite social e anche se il 45% resta scettico di fronte a post troppo patinati, le foto contano… eccome. Il 40% delle persone visita un nuovo ristorante dopo aver visto foto di cibo online.
Stop allo smartphone: esempi nel mondo reale
C'è comunque chi alla nuova posata in tavola si oppone decisamente e già cominciano a vedersi anche gruppi organizzati che chiedono più rispetto per la tavola. Negli ultimi anni ci sono locali - in Italia e nel mondo - che hanno adottato la politica “no smartphone” a tavola. Il primo, davvero un antesignano, fu l'Osteria di Rubbiara (Nonantola, Modena) che già del '91 faceva lasciare i cellulari ai clienti in un armadietto chiuso per apprezzare meglio i piatti. A Roma, più recentemente, il ristorante italo francese Casa Coppelle aveva invitato i commensali (su base volontaria) a depositare lo smartphone alla cassa in cambio di un libro di poesie. A Verona, il ristorante Al Condominio richiede ai clienti di riporre il telefono in una “cassettina della posta” e poi regala loro una bottiglia di benvenuto. Proibite (ovviamente solo in modo virtuale) anche le recensioni online: solo commenti su carta. Come sottolinea La Repubblica, i clienti «convivono con il personale e compagni di tavolo senza distrazioni digitali».
In giro per il mondo si possono citare, in Francia, in Alsazia, il Petits Plats de Mamama che vieta l'uso dei cellulari durante il pasto; i dessert ordinati sono aumentati del 30?% da quando hanno introdotto la policy. Per Olivier Holtzmann, proprietario, «le persone parlano di più, e anche lo stesso divieto diventa un argomento di conversazione». Un concetto su cui torneremo. C'è poi il bistrot Petit Jardin a Saint-Guilhem-le-Désert (Francia), che include il telefono tra i divieti (insieme a ketchup, Coca-Cola ecc.) e fa fischiare i clienti colti sul fatto come ricorda Eater.com. Che dire poi del Casinò di Royat-Chamalières? Chi lascia il telefono - come ha scritto Cookist - riceve crediti gioco pari al 30% del conto.
A New York all'Hearth (nell'East Village) lo chef Marco Canora invita a riporre i telefonini in scatole colorate per cenare “tech free”: nessun divieto forzato ma incoraggiamento cortese. I più rigidi sembrano comunque essere in Giappone, come il Debu chan di Tokyo dove è vietato usare il telefono durante il pasto per non raffreddare il ramen. Il proprietario Kota Kai ha spiegato a Reporter Gourmet di aver introdotto il divieto soprattutto per motivi pratici: di fatto i clienti restavano a fissare lo schermo invece di mangiare, facendo raffreddare i ramen che, con noodles molto sottili, «si allungano e si deteriorano» se non consumati subito. Kai permette comunque di fotografare il piatto appena servito, ma chiede di riporre il telefono fino al termine del pasto. Sempre Kai, per COOK, pensa che vieterà «di mangiare ramen mentre si guardano video su YouTube… il ramen - dice - è un cibo per persone impazienti».
In vari luoghi del mondo esistono tante iniziative simili. Ad Halifax, in Canada, ad esempio già nel 2017 un ristorante invitava i clienti a socializzare “non chattando online” e spegnendo i dispositivi. Persino grandi catene come Le Pain Quotidien a New York hanno promosso campagne “Disconnect to Reconnect”, con portatelefoni comuni e dessert gratis in cambio di dispositivi riposti. Anche la catena di fastfood McDonald's a Singapore - come scrive eater.com - ha sperimentato cassette deposito, segno che il tema è global. Oltre alla Francia citata, anche nel resto d'Europa, in Lussemburgo, Germania e Paesi Bassi circolano locali “no-phone” o club offline (es. Café Brecht ad Amsterdam) in cui i clienti si impegnano a non usare il proprio dispositivo.
Le ragioni del divieto: gusto, socialità, economia
Migliorare la conversazione, consumazione più rapida e atmosfera rilassata sono gli obiettivi che si pongono un po' tutti questi divieti, con l'evidente volontà di rimettere il gusto e il piacere al centro dell'attenzione. Vietare lo smartphone spinge i commensali a parlare e godersi il pasto senza distrazioni. Secondo il Corriere, numerosi ristoratori riferiscono che i clienti «sono stimolati a condividere e relazionarsi di più» quando lasciano il telefono da parte. Uno studio dei mesi scorsi della Fipe sullo stato della ristorazione in Italia sottolinea che, aspetto non certo secondario, l'uso del telefono abbrevia i tempi di permanenza al tavolo. E quindi, si girano più posti e si fanno piùcoperti…
Ridurre il tempo “perso” sui device permette quindi di servire più tavoli nella stessa serata e di aumentare il fatturato senza aumentare i costi fissi. Ma non solo, senza distrazioni digitali, i clienti tendono a gustare di più e ordinare più portate. Più in generale molti gestori raccontano che il divieto porta i commensali a “gustare di più il cibo” e alla fine a consumarne di più. In alcuni casi il telefono può inoltre compromettere il piatto: se il ramen, ad esempio, resta fermo mentre il cliente scrolla il feed, i noodles “si allungano e si deteriorano”. Vietare i cellulari aiuta a quindi a consumare i piatti “caldi e appena usciti” dalla cucina. Pensiamo a certi primi italiani, ai soufflé o banalmente a una pizza o comunque a tutte le pietanze calde.
Una questione anche culturale, su cui le istituzioni latitano
In un momento in cui si moltiplicano le campagne per valorizzare la cucina italiana e difendere la nostra tradizione agroalimentare - dal divieto della carne sintetica alle crociate contro la farina di grillo - sorprende che nessuno al ministero dell'Agricoltura, sovranità alimentare e foreste abbia mai pensato a un'azione simbolica contro l'abuso dello smartphone a tavola. Un paradosso, se si considera che proprio il ministro Francesco Lollobrigida si è più volte espresso a favore della “sacralità del cibo italiano” e dell'importanza della convivialità come tratto distintivo della nostra identità.
Eppure, nemmeno una campagna istituzionale di educazione al gusto o uno spot di pubblicità progresso ha mai ricordato che fotografare compulsivamente un piatto non significa assaporarlo, né che un pranzo in compagnia può essere più gustoso di una story ben montata. Il “divieto”, o almeno il consiglio a non usarlo, può anche essere visto come un'opportunità innovativa di “disintossicazione digitale”. In fondo, se il made in Italy si difende anche con i sensi - vista, olfatto, tatto, ma soprattutto gusto - allora forse il cellulare andrebbe lasciato in tasca, e non tra il calice e il coltello. E su questo sarebbe forse bello vedere qualche iniziativa del ministro Lollobrigida. In pratica, si parla spesso di rivivere una tradizione passata in cui il cellulare non era parte integrante del pasto e non ne era la posata più importante, ma dalle istituzioni non ci sono segnali…
Le parole dei protagonisti
Per concludere vogliamo ricordare alcune dichiarazioni rilasciate anche recentemente a Italia a Tavola da alcuni protagonisti della ristorazione. Per lo chef Igles Corelli, ad esempio, «la cucina è diventata instagrammabile, ha perso le temperature, ha perso il sapore… è standardizzata… la gente è innamorata di fare le foto, tuttavia non c'è più la conoscenza del vero cibo». Il re dei critici enogastronomici Edoardo Raspelli denuncia invece una «fantasia scriteriata, linguaggi astrusi … ristoranti carissimi» dove prevale l'estetica su sostanza e il suo supporto è proprio il food porn. Lo stellato Giorgio Locatelli, star di Masterchef conclude invece con questo impegno: «Se mai aprirò un nuovo ristorante, il telefono sarà vietato» perché i social creator commentano senza sapere nulla e la convivialità è mortificata dagli smartphone».
Il cellulare a tavola non è un dettaglio ininfluente
Integrare dati oggettivi offre solidità al ragionamento: non si tratta solo di estetica o filosofia, ma di numeri che misurano fiducia, comportamento e risultati economici. Il cellulare a tavola non è forse un dettaglio frivolo, ma una variabile che influenza tutta la catena: atmosfera, gusto, recensioni e persino ricavi. Il food porn, combinato con smartphone sempre a portata di mano, è un potente motore di scelta, ma può generare aspettative irrealistiche e generare delusione a tavola, traducendosi anche in recensioni negative. E a questo punto non è tanto una questione di bon ton o galateo, quanto di interesse reale di ristoratori e clienti a cui una cena sia un momento piacevole e non uno stress fra fare conto e contare i like…
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