mercoledì 25 ottobre 2017

Social eating vs ristoranti La concorrenza c’è, eccome

Social eating 

vs ristoranti
La concorrenza 

c’è, eccome

Stando ai dati Coldiretti-Censis, sono oltre 3 milioni gli italiani che fanno concorrenza alla ristorazione tradizionale attraverso la formula degli home restaurant: cuochi improvvisati senza obblighi fiscali né sanitari


Gli italiani mangiano sempre più fuori casa, e oltre a farlo al ristorante (nelle sue diverse tipologie, dalla trattoria alla tavola calda, dal locale stellato all’agriturismo), sempre più frequentano anche gli home restaurant, la formula nata sul web e che non è stata ancora definita a livello di normative. Sta di fatto che in modo spontaneo quanto un po’ anarchico, a mangiare in casa di privati, improvvisati cuochi anche se senza preparazione per lavorare col pubblico, sono ormai in 3,3 milioni di italiani. A segnalarlo è la ricerca di Coldiretti-Censis che analizza le nuove frontiere del settore, a partire dalla food sharing economy che rappresenta un nuovo di stare insieme fra estranei per mangiare.

(Social eating vs ristoranti La concorrenza c’è, eccome)

Secondo la ricerca, sarebbero 3,1 milioni i privati che organizzano in casa propria pranzi o cene come fossero ristoranti. Ed altri 6 milioni lo farebbero di tanto in tanto. Se questo è davvero il peso (enorme) del fenomeno che si definisce social eating, ci sarebbe da chiedersi come mai lo studio del Censis, pure così attento a stimare il peso economico della ristorazione regolare, non dia almeno qualche indicazione di cosa c’è in ballo.

Al di là della mancanza di requisiti e garanzie a livello igienico sanitario (salvo i pochi che hanno almeno seguito un corso sull’Haccp), la gran parte di questi cuochi improvvisati (che magari cucinano benissimo) non è nemmeno in regola con gli aspetti fiscali. Non dimentichiamo infatti che siamo in presenza di un pagamento a cui corrisponde una somministrazione di cibo. Come dire che c’è un’attività economica che, al di là delle “libertà” di Intenet (luogo su cui avvengono prenotazioni e a volte i pagamenti), sfugge ad ogni controllo.

Che poi Coldiretti e Censis scrivano che questa novità degli home restaurant ha «ampliato la gamma delle opportunità senza entrare in conflitto diretto, almeno per ora, con le forme più tradizionali del mangiare fuori casa» è una cosa che fa un po’ sorridere, perché siamo in presenza di oltre 3 milioni di italiani che fanno concorrenza pura alla ristorazione. Almeno su questo non ci dovrebbero essere finzioni.

E non si può certo associare questo fenomeno a quello della cosiddetta “ristorazione digitale”, l’abitudine cioè crescente degli italiani di ordinare al telefono o sul web piatti e pizze che poi vengono portati a domicilio. In questo caso il cibo non viene servito in un locale, ma viene comunque preparato in un esercizio pubblico (che deve rispettare le relative regole sanitarie) e viene regolarmente venduto con ricevuta o fattura.

Forse un po’ meno confusione su questi temi che attengono non solo a mode o tendenze, ma anche alla nostra salute e alla regolarità fiscale, non guasterebbe certo.
di Alberto Lupini
direttore

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