Gordon Ramsay,
“fottutamente cuoco”:
L'esperienza
più bella è...
il journey back
Solare come in tv, non rude e aggressivo ma energico e appassionato: il giudice Masterchef per eccellenza si racconta, dal primo amore per la cucina a quell'esperienza straordinaria che è per lui il journey back, quel momento in cui «commetti i tuoi errori, ma riparti da lì senza mandarli in tavola», come fossero piatti.
L'occasione è stata la Gordon Ramsay & Friends, cena di beneficenza organizzata nella splendida cornice del Forte Village (bene ricordare che qui Ramsay ha uno dei suoi due ristoranti in Italia - 23 in tutto quelli nel mondo, un numero degno di un vero cuoco-imprenditore), insieme agli amici e colleghi Giuseppe Mancino**, Massimiliano Mascia** e Carlo Cracco*.
Gordon Ramsay
La sua stanza è nell'Hotel Castello, uno dei tanti complessi all'interno del resort. 5° piano: entriamo e rimaniamo folgorati dal mare tutto di fronte, come disegnato sulle immense vetrate della suite. Gordon ci fa accomodare. Tutt'altro che rude, decisamente disponibile e con la battuta sempre pronta, scambiamo quattro chiacchiere come parlassimo con un amico d'infanzia.
Gordon, partiamo dall'inizio. Riesci a ricercare il momento preciso in cui hai sentito la passione per la cucina crescerti dentro?
Avevo 22 anni, era la mia prima settimana a Parigi. Dopo sei giorni ininterrotti in cucina, di domenica, decisi di andare in uno dei mercati più belli della città, nel 17° arrondissement. Lì rimasi folgorato, ingredienti ottimi, tanto buoni quanto lo erano quelli che proponevamo nel nostro ristorante. Ho pensato "Wow, e questo è cibo di strada?". Il lunedì mattina poi il mio chef mi disse di recarmi proprio in quel mercato per comprargli degli asparagi, e così feci: gli standard qualitativi di ciò che comprai erano talmente alti da farmi desiderare, ancora lo ricordo, di esser nato francese.
E da lì?
Tutto è cominciato da lì. Nel mio giorno libero ho inziato a mettermi alla prova anche in una piccola brasserie. Per tre anni ho lavorato ininterrottamente, non tornavo mai a casa, non avevo soldi per permettermi un volo. Così mi immersi completamente nella Francia gastronomica, cominciai a passare da un ristorante all'altro, partire dal fondo per arrivare in alto. È incredibile quanto apprendi di più stando al seguito di qualcuno piuttosto che al top. È stata un'esperienza davvero fantastica, non sarei quello che sono se non ci fossi passato. Una sorta di "foundation", che mi ha dato quella conoscenza che non puoi comprare, ma che devi vivere, facendo esperienza. Come in Francia, mi comportai anche in Giappone, a Kyoto, dove mi isolai per giorni in una famiglia del posto cercando di capire quale religione e quali tradizioni si nascondessero dietro la cucina giapponese. Era importante scoprire la loro cultura tanto quanto la loro cucina.
Qual è una cosa che ami della Cucina italiana?
La semplicità dei piatti, la qualità degli ingredienti, ma soprattutto la tendenza a non sprecare mai nulla.
E una che odi?
Com'è possibile che noi Britannici non siamo in grado di realizzare una Ferrari? Sono stato a Maranello, un'esperienza incredibile. Mi sono innamorato in particolare dell'attitude dello staff, sembrava davvero un'unica famiglia lì unita a lavorare in un'industria. Ma la mia domanda comunque rimane: perché voi sì e noi no?
C'è un piatto o un cibo in giro per il mondo che non assaggeresti mai?
Assolutamente no. Io sono l'uomo con le palle più grosse al mondo! Scherzi a parte, uno chef deve assaggiare tutto, perché se non sai assaggiare non puoi cucinare. È dagli assaggi che nascono piatti, gusti e abbinamenti. Ecco perché io ai miei cuochi insegno prima ad assaggiare, chi non lo fa cucina come un robot.
Cosa dici a te stesso quando sei in difficoltà e pensi di non farcela più?
Mi fermo, faccio un respiro e penso agli errori che ho fatto, quelli che mi hanno reso la persona che sono. Tutti facciamo degli errori ma, dal punto di vista di uno chef, l'importante è non mandarli fuori su un piatto, mi spiego? Facciamo errori ma non li mandiamo in tavola, ci guardiamo indietro piuttosto: ecco, questa è l'esperienza più straordinaria, ogni volta. Il journey back, il mio viaggio indietro, capace di mostrarti non solo dove hai sbagliato ma anche che tipo di persona sei.
Tanti ti considerano rude e aggressivo nel tuo lavoro...
Se decidi di arrivare al top, c'è un prezzo da pagare, ci sono sacrifici da fare e non c'è alcun libretto di istruzioni. Quando io sembro rude, in realtà dico solo la verità. E quando un mio sous chef arriva convinto e mi dice in faccia "Hai torto" senza timore, io ne sono felice, ha capito il significato di quello che faccio e soprattutto la cosa più importante di questo mestiere: cucinare, e non parlare. Se qualcuno vuole giudicare, lo faccia pure, ma parlando dei miei piatti, non di quello che dico.
di Marco Di Giovanni
www.gordonramsay.com
www.fortevillageresort.com
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