«Addio al biologico, scegliamo il buon senso»: il marchese Anselmo racconta
il nuovo San Leonardo
Dalla rinuncia alla certificazione biologica al futuro dei vitigni in purezza, il marchese Anselmo Guerrieri Gonzaga racconta la svolta sostenibile e concreta della Tenuta San Leonardo, tra tradizione, reputazione e nuove sfide agronomiche e di mercato
Redattore

Forse la bellezza non salverà il mondo, ma può certamente renderlo migliore. Soprattutto se abita in una bottiglia di vino. Nella Tenuta San Leonardo, tra i vigneti storici della Vallagarina in Trentino, questa bellezza prende forma ogni giorno. A guidarla è il marchese Anselmo Guerrieri Gonzaga, custode di una tradizione secolare e protagonista di una visione contemporanea, concreta e senza dogmi. In questa intervista esclusiva a Italia a Tavola, l’anima di San Leonardo racconta l’evoluzione della cantina trentina: il peso dei riconoscimenti, il valore della reputazione, le sfide del cambiamento climatico, la svolta nel rifiuto della certificazione biologica, fino ai progetti futuri su Carmenère e Cabernet Franc. Un dialogo lucido e appassionato, tra vigne, mercato e consapevolezza.
San Leonardo, i premi rafforzano la reputazione
La guida Gambero Rosso vi ha incoronato Cantina dell’Anno 2025: questo titolo pesa di più sulla reputazione o sulle vendite? Come misura il suo vero impatto sul bilancio?
La reputazione, senza dubbio. Oggi come oggi credo sia davvero difficile smuovere le vendite, se non attraverso i premi dei grandi critici aziendalisti americani più noti. Se ci sono i 100 punti da ottenere - quelli che riguardano la top 100 di Wine Enthusiast, ad esempio - allora credo che ci sia un'esposizione mediatica significativa e, di conseguenza, un incremento e un'accelerazione delle vendite. I premi ricevuti lo scorso anno, invece, sono premi di reputazione: molto belli, certo, e credo che anche per quanto riguarda i 100 punti, noi abbiamo già un nostro pubblico di riferimento, che probabilmente ci conosce già bene. In fondo, siamo esattamente dove vogliamo essere, e la reputazione rimane sempre la cosa più importante.
Conta già 27 Tre Bicchieri in 37 anni: non teme che il successo diventi abitudine? Quali cambiamenti sta introducendo per restare un passo avanti?
Io e mio padre rappresentiamo una sorta di staffetta nella fondazione di questa azienda. Io ho ancora molta sete di miglioramento e di evoluzione. Credo che nel vino sia difficile sedersi sugli allori. Il vino è una materia viva, e il clima è una sfida costante. Se uno è davvero appassionato al vino e a un certo stile di vino, non si accontenta mai, perché ha un’idea molto chiara in testa da mantenere o da raggiungere. Per me, questo è un po’ il motore: il prodotto finale è lo scopo del nostro lavoro. Proprio ieri riflettevo su alcune tecniche diverse… In vent’anni abbiamo fatto molte evoluzioni, provato tante cose, ma siamo anche tornati indietro quando serviva, per mantenere inalterato lo stile del vino. Ad esempio, abbiamo iniziato a fare selezioni massali, e dall’anno prossimo inizieremo a innestare direttamente in campo sulle barbatelle piantate quest’anno. Credo che l’idea di raggiungere l’optimum del prodotto sia lo stimolo principale. Devi essere appassionato del tuo mestiere. Se perdi la passione, magari ti accontenti e forse godi anche di più - come dice il detto - ma secondo me il vero imprenditore del vino, il produttore, è qualcuno che desidera evolversi continuamente. Perché si evolve con l’età, si evolve il palato. Non si beve solo il vino: il palato si affina anche grazie al cibo, ai viaggi, alle meraviglie che si incontrano lungo il percorso. E così il vino che fai ti sembra sempre più vicino al tuo gusto. Nel mio caso, sì, è il mio gusto - ma sempre nel rispetto dell’identità del sogno che porto avanti. Credo che questa sia la mia chiave, e devo cercare di tenere la barra dritta.
San Leonardo, la sfide del Carmenère
L’assemblaggio Merlot-Carmenère-Cabernet è stato rivoluzionario; oggi però si parla di identità dei vitigni. Sta progettando un vino monovarietale che parli soltanto di Trentino?
Noi abbiamo un Carmenère monovarietale che ho vinificato per la prima volta con l’annata 2007. È un vitigno che utilizziamo fin da subito dopo la Seconda Guerra Mondiale, quindi per noi non è una novità. Mio padre, però, non aveva mai voluto fare troppi vini. Io invece - forse anche perché desideravo lasciare una mia impronta e confrontarmi con qualcosa di esclusivamente mio - ho deciso di farlo. Non posso dire che sia il mio Carmenère, perché in azienda in tanti se ne sono occupati nel tempo, quindi non è una sfida solo mia. Però è una sfida che ho voluto raccogliere, dandogli dignità, una sua dimensione, una sua identità distinta dal San Leonardo. È un vino che è venuto davvero molto, molto bene: interessante, di grande eleganza. Questa energia del Carmenère ha permesso anche di proteggere e mantenere l’identità del San Leonardo. È proprio grazie a questo vino che abbiamo iniziato a fare le selezioni massali, anche con l’obiettivo di conservare intatto lo “spirito del tempo”. Poi, sto ragionando su un nuovo progetto: credo che tra due o tre anni, forse nel 2026 o 2027, usciremo con un Cabernet Franc in purezza. È un’idea su cui stiamo lavorando da tempo, con una produzione molto limitata - parliamo di due o tre migliaia di bottiglie al massimo. Abbiamo selezionato le vigne migliori: le barbatelle di Cabernet Franc sono state piantate all’inizio della nostra fase di rinnovamento, tra il 1990 e il 1991. Oggi hanno raggiunto un livello qualitativo tale da permettermi di seguirne l’evoluzione in autonomia.
Il riscaldamento della Vallagarina è evidente: quali scelte agronomiche ha già programmato per preservare freschezza e acidità nei prossimi dieci anni?
È assolutamente evidente anche da noi il cambiamento climatico. Però le dirò la verità: da noi, in un certo senso, il cambiamento climatico è quasi venuto in soccorso. Ci troviamo in una valle molto stretta, larga appena 800 metri, posizionata in direzione nord-sud. I vigneti sono situati sul versante idrografico sinistro, quindi sul lato sinistro del fiume, seguendo il suo corso da nord verso sud. L’altitudine della valle varia tra i 120 e i 300 metri. Rispetto a zone che si trovano solo 15 o 20 chilometri più a sud - come la pianura o la Valpolicella - riceviamo circa 3 ore e mezza, 3 ore e 40 minuti in meno di luce solare al giorno. La nostra è una delle zone più ombreggiate del Trentino, e questo ha contribuito a proteggerci.
Può fare un esempio?
Per fare un esempio: il San Leonardo 2020, uscito quest’anno sul mercato, ha 12,5 gradi alcolici. È quasi un miracolo, considerando l’andamento climatico degli ultimi anni. Questo risultato è stato possibile anche grazie al ritorno alla pergola trentina, che stiamo recuperando sempre di più, ovviamente adattandola con sistemi di potatura mirati alla qualità e a rese contenute. Mio padre, già alla fine degli anni ’90, aveva eliminato la sfogliatura perché si era reso conto che il sole stava diventando troppo aggressivo: non voleva che ci fossero scottature, nemmeno sulle foglie. Sempre negli stessi anni, abbiamo eliminato anche i diradamenti e introdotto un sistema di potatura diverso, con potatori esperti e tecniche che ci hanno aiutato a ritrovare un nuovo equilibrio in tutta l’azienda.
San Leonardo, addio al biologico
rispettando il territorio
C’è stato poi il passaggio al biologico nel 2015.
Un altro passo importante. Non tanto per una questione di rame e zolfo - che pure utilizziamo - ma anche per una diversa gestione dell’ambiente in generale. Mio padre, per esempio, voleva che l’intera azienda fosse sempre perfettamente rasata, come un prato all’inglese. Oggi invece abbiamo adottato un sistema di alternanza: un filare alto e uno basso, per dare riparo agli insetti utili, trattenere più umidità nel terreno e mantenere freschezza. Anche noi, dunque, ci stiamo adattando con molte tecniche, ma alla fine è il contesto di San Leonardo che fa la differenza, l’integrazione.
Oggi state pensando di spingervi verso la biodinamica con un ente terzo o il gioco non vale la candela?
Molto probabilmente usciremo dalla certificazione biologica. Secondo me, oggi come oggi, non è più sostenibile. Non solo dal punto di vista finanziario, ma anche e soprattutto dal punto di vista ambientale e sociale. Le ore che un trattore deve passare nei campi per rispettare il protocollo biologico sono tantissime, e questo ha un impatto importante sull’ambiente stesso. Quindi, paradossalmente, non credo che il biologico, alla lunga, sia davvero sostenibile. Non torneremo certo all’agricoltura di vent’anni fa, con gli erbicidi e le pratiche invasive - per carità. Continueremo ad adottare un protocollo biologico per il 95%, ma senza rigidità ideologica. È un po’ come con l’omeopatia: mettiamo che lei ci creda e voglia curarsi solo così, e va benissimo. Ma se poi le viene una broncopolmonite, e per curarsi dovrebbe prendere 400 gocce di rimedi omeopatici al giorno nella speranza di guarire… forse, in quel caso, è meglio prendere un antibiotico, risolversi il problema, e poi tornare all’omeopatia. Ecco, per me l’approccio all’agricoltura biologica è simile: ci vuole buonsenso. Il biologico funziona benissimo in certe aree, come in Sicilia o in Calabria, dove il clima lo consente. Ma qui al Nord, con le nostre condizioni, non è attuabile in modo davvero sostenibile - né finanziariamente, né ambientalmente, né socialmente. E non trovo neanche giusto che si debba vivere su un trattore, ogni settimana, per fare trattamenti continui. Alla fine, anche quello ha un costo ambientale che non possiamo ignorare.
San Leonardo, un vino accessibile
Le vendite all’estero sono decisive: con i dazi che vanno e vengono come proteggete i margini senza snaturare i prezzi in Italia?
Sicuramente non è un anno facile. Noi esportiamo circa il 50% del nostro vino. In termini di fatturato, però, è un po’ meno - attorno al 40% - perché, all’estero, i prezzi medi sono leggermente inferiori rispetto al mercato italiano. In Italia, infatti, distribuiamo direttamente tramite la nostra rete di agenti, quindi dobbiamo considerare anche i costi dei servizi, della logistica e, ovviamente, i margini più alti che restano in casa. Tutto questo incide sul risultato complessivo. Detto ciò, il mercato italiano per noi ha chiuso il trimestre con un bel segno positivo: +7, +8%. Mentre l’estero è in forte sofferenza. Abbiamo chiuso con un -12, -14, in certi casi anche -15%. È un momento decisamente più complesso sui mercati internazionali, anche se io credo che si riequilibrerà. Il punto non è tanto il nostro vino in sé, quanto il contesto. Gli importatori oggi sono molto cauti, hanno l’ansia di smaltire gli stock accumulati - anche di altre cantine - quindi stanno frenando. È un rallentamento generale, e tutti sono estremamente prudenti nel ricaricare le scorte. E poi in questo momento sono i vini bianchi e gli spumanti a trainare il mercato, molto più dei vini rossi. Secondo me c’è proprio la necessità, da parte di molti operatori, di esaurire le giacenze. Non è un problema specifico nostro, perché gli stock dei nostri importatori sono in realtà molto bassi. Ma ognuno sta adottando politiche di alleggerimento, e questo si riflette su tutti, anche su di noi.
Le sue etichette di punta superano i 100 euro sugli scaffali: come risponde a chi dice che San Leonardo è ormai “vino per pochi”?
In azienda ho una tabella dove elenco 20-30 vini che ritengo paragonabili a San Leonardo in termini di qualità. La parola chiave, in inglese, è consistency: cioè la capacità di mantenere alta la qualità anno dopo anno, ottenendo riconoscimenti, premi, continuità nelle produzioni. Non voglio sembrare presuntuoso - anzi, tutt’altro. So bene quanto sia difficile costruire e mantenere un’identità. Ma posso dire con convinzione che San Leonardo può essere messo accanto a vini come Solaia, Tignanello, piuttosto che ai piemontesi o ad altri toscani come Brunelli o Chianti e non è affatto più caro. San Leonardo, a mio parere, rimane ancora oggi molto accessibile. È un vino che può essere scelto sia dal grande appassionato - magari in due o tre persone per concedersi una bottiglia importante da bere con attenzione - sia da chi vuole una bottiglia d’immagine da portare a tavola, senza sentirsi fuori luogo o in soggezione. Non credo che San Leonardo sia un vino “per pochi”. Anche il nostro “Terre di San Leonardo”, ad esempio, ha un prezzo più contenuto rispetto alla maggior parte dei grandi vini italiani, proprio perché vogliamo offrire un punto d’accesso all’esperienza e all’eleganza di San Leonardo. Certo, San Leonardo ha un suo prezzo - e non potrebbe essere altrimenti. Il costo di produzione è elevato: parliamo di vigneti con piante che arrivano anche a 75-80 anni. È un vino raro, complesso, e produrlo richiede molta attenzione e risorse.
San Leonardo, una bellezza di futuro
Producete vino da oltre tre secoli: come bilanciate innovazione 2025 e tradizione senza trasformare la tenuta in un museo?
Noi non ci fermiamo. Stiamo investendo molto, per esempio, nell’enoturismo, e abbiamo avviato un progetto artistico molto interessante chiamato “San Leonardo”, che coinvolge opere site-specific e tutte le persone che fanno parte della realtà di San Leonardo. Abbiamo anche voluto certificarci Equalitas, un traguardo importante che ha richiesto un grande impegno a livello di visione, di organizzazione e di gestione. In questo senso, devo riconoscere il lavoro eccezionale del nostro vice direttore Antonio Benvenuti, che è anche responsabile della sostenibilità aziendale. Antonio ha studiato a fondo per portarci al livello che desideravamo e per ottenere questa certificazione. Tutto questo, però, senza mai rinunciare alla nostra tradizione. San Leonardo è ancora prima di tutto una casa, non un semplice business. Avremmo potuto, per esempio, trasformare la corte in un albergo - e sicuramente sarebbe stato un progetto redditizio e di grande richiamo. Ma non vogliamo snaturare questo luogo, che è ancora vissuto e animato da una comunità reale: persone che si aiutano, che si stanno vicine, spesso legate da vincoli familiari - figli, nipoti, cugini - di chi ha già lavorato qui. Una tradizione che si tramanda nel tempo, anche nel lavoro quotidiano. Il nostro museo, per esempio, racconta proprio le storie di alcune di queste famiglie. È una testimonianza del fatto che San Leonardo non è un bene esclusivo dei Guerrieri Gonzaga. Noi ne siamo i custodi, certo, ma la vita dell’azienda è una vita condivisa, portata avanti da tante persone che nel tempo l’hanno resa ciò che è oggi.
Dopo la generazione Guerrieri Gonzaga, che piano di successione ha per evitare il rischio “dinastia stanca”?
Una volta era più semplice mantenere un’attività a conduzione familiare. Oggi è diverso. Il successo di San Leonardo è qualcosa che è stato costruito da mio padre: è un successo enologico, che ha portato l’azienda a posizionarsi tra i grandi vini del mondo. Io rappresento la seconda generazione sotto questo aspetto. Un tempo, San Leonardo non era davvero un’impresa in senso moderno: era un’azienda agricola di famiglia, vissuta con semplicità. Oggi invece è una realtà di alta gamma, con tutte le dinamiche tipiche di un’impresa strutturata: gestione, distribuzione, vendita, comunicazione. È cambiato tutto, è molto diverso. Credo che questa evoluzione sia avvenuta in modo naturale grazie a mio padre, che è un esempio vivente di cosa possa fare la passione vera in un territorio come il nostro. Lui ci ha dedicato anima e corpo per anni. Io lo ricordo bene: da ragazzo non mi interessavo davvero al mestiere, non ci ragionavo su. Ma poi il suo impegno, la sua dedizione, mi hanno trasmesso qualcosa. Mi hanno appassionato. E così sono andato avanti con le mie scelte, ma sempre nel solco della tradizione che lui ha tracciato. Cerchiamo sempre di mantenere una linea coerente, un’identità familiare. Anche oggi, tra i miei parenti, c’è ancora chi conosce bene e condivide profondamente quello spirito originario.
Se avesse risorse illimitate per un progetto “follia controllata” in vigna o in cantina, cosa farebbe e perché?
Mi piacerebbe molto avere qualche ettaro in più e costruire una nuova cantina dedicata esclusivamente ai vini bianchi, che al momento ancora non abbiamo, ma è sicuramente nei progetti futuri. È un desiderio molto forte. Un altro sogno che vorrei realizzare è quello legato ai giardini, perché in famiglia siamo tutti grandi appassionati. Mia nonna è stata una straordinaria giardiniera, mio padre lo è tuttora, e io - anche se non lo sono ancora del tutto - ci sto arrivando, perché il giardino è qualcosa che mi appassiona sempre di più. In questo momento ho in mente l’idea di creare un nuovo giardino. Vedremo, perché il contesto economico non è dei più leggeri, quindi bisogna fare attenzione. Però mio padre ha sempre investito nella bellezza, e la bellezza ha sempre restituito valore: in termini di qualità del vino, certo, ma anche nella professionalità e nel benessere di tutte le persone che lavorano a San Leonardo. Se avessi risorse illimitate, non avrei dubbi: le investirei ancora, e senza esitazione, nella bellezza.
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