mercoledì 24 settembre 2025

McDonald’s. Negli Usa chiudono, in Italia aprono:

 

Negli Usa chiudono, 

in Italia aprono: McDonald’s vince 

sulla cucina italiana?

La catena simbolo del fast food arretra negli Stati Uniti ma in Italia continua a crescere: 720 ristoranti, milioni di panini venduti e un delivery capillare. Intanto chiudono migliaia di trattorie e ristoranti popolari. La “vittoria” di McDonald’s non è sul gusto, ma sulla capacità di sostituire, col passare degli anni, la cucina di territorio con format standardizzati

di Nicholas Reitano
Redattore

Negli Usa chiudono, in Italia aprono: McDonald’s vince sulla cucina italiana?

«ACrispy McBaconplease». No, Italia a Tavola non è diventata improvvisamente anglofonaSi tratta, invece, della traduzione letterale di «Cortesementeun Crispy McBacon» pronunciato nello spot nazionale da Achille Lauro, cantante e già protagonista del Festival di Sanremo, per McDonald’sUna frase che, nel contesto della pubblicità, sembra innocuaEppure dietro quella frase si nasconde una contraddizione ben più grande: infatti, mentre i sindacati protestano da anni per la mancanza di un contratto integrativo aziendale accusano McDonald’s di non garantire tutele adeguate ai lavoratorila multinazionale sceglie di continuare a investire milioni di euro in promozioni pubblicitarie - vedi, appunto, quella di Achille Lauro.

Negli Usa chiudono, in Italia aprono: McDonald’s vince sulla cucina italiana?

Un frame della pubblicità di Achille Lauro per McDonald's

Una campagna scintillante, quindi, costruita sull’immagineche stride con le rivendicazioni degli addetti alle cucine e alle casselasciati da anni (la prima richiesta è datata 2023) senza risposteEd è proprio questa contraddizione a rendere ancora più interessante il caso McDonald’s Italiasoprattutto se lo si osserva nel confronto con ciò che sta accadendo - per tornare alla frase in inglese iniziale - negli Stati Uniti, la patria del fast food. Qui, infatti, nei primi tre mesi del 2025la catena a stelle e strisce ha registrato un calo del fatturato del 3,6%, il peggior risultato dai tempi della pandemia. Una flessione che - va sottolineato, e sottolineato ancora - non è soltanto numericabensì simbolicauna flessione che ci racconta come il modello fast food, un tempo motore di crescita senza freni, oggi è in crisi esistenziale.

I fast food e il paradosso italiano

Se in America McDonald’s arrancain Italia continua a crescere. Praticamente ogni mese, di fatto, si cita l’apertura di un nuovo localeda Nord a Sudcon una maggiore concentrazione nelle aree metropolitane e nei centri commercialiPersino in città di provincia ormai non manca almeno un’insegna a stelle e strisce. Una presenza che diventa quasi un segno di “modernità”, anche laddove la cucina locale ha ancora un peso forteNon è un caso che al Meridionedove resiste con più forza la ristorazione familiare e il cibo di stradala diffusione dei fast food sia meno capillare.

Ed è sufficiente guardare ai numeri per capire la portata del fenomeno: 778 ristoranti attivi, di cui 480 McDrive (i punti vendita con corsia drive-in per ordinare e ritirare senza scendere dall’auto) e 610 McCafé (le caffetterie interne che affiancano il menu tradizionale con colazioni e bevande calde), gestiti da una rete di 160 licenziatariOgni anno vengono serviti oltre 340 milioni di panini e più di 34 milioni di caffè e cappucciniIl servizio delivery è disponibile in 660 localiun canale che non solo amplia la capillarità della catenama incide in modo significativo sull’aumento delle venditeportando il fast food direttamente nelle case dei consumatori.

Numeri imponenti (e destinati a crescere, poiché il piano di espansione, ricordiamo, prevede di superare i 900 ristoranti entro il 2027), che raccontano molto più di un successo commercialefotografano un Paese che accoglie senza esitazione un modello alimentare che altrove mostra segni di cedimento. E allora la domanda non può che essere una: perché un sistema in crisi nella sua patria continua a prosperare così facilmente da noi?

Le radici di una contraddizione

Le ragioni, d’altronde, sono moltepliciDa un latoc’è la capacità delle catene di intercettare i bisogni della vita quotidiana: pasti veloci, economici, standardizzati e sempre uguali in ogni città. Dall’altro, c’è il peso della crisi economica che spinge una parte della popolazione a privilegiare la convenienza immediata rispetto alla qualità percepita. Secondo una recente indagine, quasi il 28% delle persone tra i 18 e i 34 anni in Italia consuma junk food almeno una volta a settimana.

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Quasi 3 persone su 10 tra i 18 e i 34 anni in Italia consuma junk food almeno una volta a settimana

Bastano pochi euroun vassoio in mano e un pasto pronto in tre minuti. È il trionfo della praticità, in un’epoca in cui il tempo è percepito come risorsa scarsa e preziosa. Ma è proprio questa dinamica a rivelare il paradossomentre altrove i consumatori prendono le distanze da un modello ormai in declinonoi lo abbracciamo con entusiasmo.

Le ombre sul piccolo ristoratore

Un successo, questo delle catene, che si colloca, però, in un contesto più ampio e drammatico della ristorazionela desertificazione di quella indipendenteNel 2024, va rimembrato, l’Italia ha fatto i conti con oltre 29mila chiusure di attività di ristorazionea fronte di appena 10.700 nuove apertureIl saldo negativo, -19.019 imprese, è stato il peggiore dell’ultimo decennioOggi si contano circa 382.680 imprese registratema quelle realmente operative sono scese a 327.850A soffrire maggiormente sono le attività a conduzione familiare e i locali di fascia medio-bassa: trattorie di quartiere, bar con cucina, ristoranti popolari. Quegli stessi luoghi che, per decenni, hanno rappresentato la gastronomia italiana.

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Nel 2024, l’Italia ha registrato oltre 29mila chiusure di attività di ristorazione

Il problema è prima di tutto economicocaro bolletteinflazione alimentare e aumento dei costi operativi... gestire un ristorante indipendente è diventato ormai proibitivoNel triennio 2022-2024 i costi medi sono cresciuti in maniera significativacostringendo i gestori a ritoccare i listinisolo nel 2023 l’aumento medio è stato del +6%con un incremento cumulato del +19% rispetto al 2020. E i clientiSempre più prudentiNel 2023 il reddito disponibile delle famiglie risultava ancora del 7-8% inferiore rispetto al periodo pre-Covid, e l’inflazione tornata a inizio 2025 ha aggravato ulteriormente la situazione. La conseguenza è chiara: si esce meno, si scelgono occasioni con un valore aggiunto, e la cena fuori “senza pretese” diventa un lusso sporadico.

Polarizzazione del mercato

I dati raccontano poi un mercato spaccato in duesecondo l’ultimo rapporto della Fipe (la Federazione italiana pubblici esercizi), i ristoranti in catena hanno raggiunto l’11% delle visite totali nel fuori casagenerando quasi 10 miliardi di euro su un mercato che supera i 90 miliardi complessiviNon è una quota maggioritariama, come detto, è in crescita costante. In parallelo, i ristoranti indipendenti di fascia medio-bassa hanno visto calare le visite del 2%, e quelli ancora più economici hanno subito un crollo del 5%.

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I ristoranti in catena hanno raggiunto l’11% delle visite totali nel fuori casa

All’oppostoi ristoranti premium (i cosiddetti "fine dining") hanno registrato un +6% di clientela. Le pizzerie, spesso considerate un’opzione di qualità a prezzo accessibile, hanno segnato un +2%Il quadro che ne emerge è, in poche parole, quello di un doppio binarioda un lato chi cerca pasti low cost si rivolge sempre più alle catenedall’altro chi esce lo fa per gratificarsiriducendo la frequenza ma scegliendo locali di fascia medio-alta.

Oltre i numeri: resistenze e illusioni

La polarizzazione fotografata dai dati non esaurisce la complessità del fenomenoAnche nel mondo del fast food, infatti, si vedono segnali di adattamentoalcune catene tentano di presentarsi come più attente a qualitàtracciabilitàsostenibilitàOperazioni di immagine più che rivoluzioni, certo, ma utili a capire che il modello non è del tutto monolitico. Allo stesso modo, tra le pieghe delle chiusureemergono esempi di ristoranti indipendenti che provano a reinventarsitrattorie che stringono alleanze con produttori di zonalocali che riducono i menu per contenere i costialtri che sperimentano format ibridi tra tradizione e digitale.


Sono isole di resilienzaesperienze preziose ma ancora troppo marginali per invertire la rottaPerché la verità è che la forza d’urto delle grandi catene sposta comunque gli equilibri generaliSenza un sostegno strutturale o modelli alternativi credibilila rete minuta delle trattorie e dei locali popolari rischia di essere travoltaEd è qui che la questione smette di essere solo economica e diventa culturaleriguarda non più i bilancima l’identità stessa della cucina italiana.

La questione culturale

L’Italia ha infatti costruito la sua reputazione gastronomica sull’artigianalità diffusasulle trattoriesulle ricette tramandatesul calore dell’accoglienza. Ogni città, ogni borgo, ha storicamente custodito un patrimonio che non si esaurisce nel piatto, ma che abbraccia relazioni sociali e identità.

la progressiva scomparsa dei ristoranti indipendenti di fascia media rappresenta, dunque, una perdita incalcolabile. È un patrimonio che rischia di dissolversisostituito da format con menu fotocopia. Dunque, quanto a lungo potrà reggere questo equilibrio instabile?

Quando scoppierà la bolla in Italia?

Insomma, negli Stati Unitila bolla del fast food sembra essere già esplosasegnalando la crisi di un modello che non è più sostenibile né economicamente né culturalmenteIn Italia, al contrario, viviamo in una sorta di illusione collettivainterpretiamo l’espansione delle catene come un segno di modernità e progressoquando in realtà stiamo importando un sistema che altrove mostra già segni evidenti di fallimento. È qui che si apre la contraddizione più profonda. Perché se negli Stati Uniti il crollo dei fast food ha costretto a immaginare alternativenel nostro Paese stiamo vivendo una fase di espansione che rischia di travolgere proprio quel patrimonio che ci ha reso unici.

Negli Usa chiudono, in Italia aprono: McDonald’s vince sulla cucina italiana?

Il boom dei fast food in Italia: una crescita che erode identità

In Italia il fast food cresce, lo abbiamo visto, perché intercetta un bisogno immediato: prezzo, velocità, riconoscibilità. Ma se diventa un modello leaderperdiamo non solo posti di lavoro qualificatima anche una parte essenziale della nostra identità. La sfida non è demonizzare McDonald’sma capire come i ristoranti indipendenti possano tornare competitiviinnovando senza snaturarsi. Altrimenti rischiamo che l’Italia del cibo finisca col parlare più americano che italiano. Speriamo solo che la tutela dell’Unescoin arrivo per la cucina italianaci ridia un po’ di sprint.

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