Pesto alla genovese: basta imitazioni,
serve l’Igp per difendere la ricetta e la Liguria
Alessandro Dentone, presidente Fic Liguria, evidenzia perché il pesto alla genovese, pur con il basilico Dop dal 2008, non ha ancora ricevuto almeno una Igp. Tra campanilismo, realtà industriali e mancanza di disciplinari, emergono dati forti: +5,5% vendite, 330 milioni di fatturato, record all’estero. È tempo di una tutela che garantisca origine e identità, per difendere il pesto dalle imitazioni
Redattore
Il pesto alla genovese è molto più di una salsa: è il distintivo della Liguria, un’eredità che resiste tra sapori autentici e prodotti impersonali. Nonostante il basilico genovese sia Dop dal 2008, la salsa in sé resta sprovvista di Igp o di certificazione collettiva che ne tuteli qualità, origine e ricetta. I numeri parlano chiaro: secondo dati Nielsen, le vendite del pesto alla genovese sono aumentate del 5,5% rispetto al 2022, per un giro d’affari di circa 330 milioni di euro a livello nazionale e 26 milioni di chilogrammi prodotti in Italia.
Inoltre, nel 2024 il pesto genovese ha superato nelle vendite in Francia anche il ragù alla bolognese, diventando il condimento più venduto nei supermercati transalpini. Questi dati confermano che i tempi sono maturi perché il pesto ottenga una forma di tutela ufficiale: l’IGP, che potrebbe garantire la sua reputazione, valorizzare i produttori liguri e difendere il prodotto dalle imitazioni che minacciano la sua identità.
«Serve un marchio collettivo: il pesto alla genovese merita una vera tutela. In Liguria abbiamo un problema di campanilismo: è la terra dei campanili, e mettere tutti d’accordo è sempre complicato» esordisce Alessandro Dentone, genovese doc e presidente della Federazione Italiana Cuochi Liguria, mentre parla di uno dei temi più dibattuti: la mancanza di un consorzio di tutela del pesto alla genovese, mentre esiste già un Consorzio del Pesto Genovese.
Perché il pesto non ha ancora una Dop o Igp
Il basilico Genovese DOP è riconosciuto dal 2008, ma il pesto, seconda salsa più consumata al mondo dopo il sugo al pomodoro, non ha né Dop né Igp. Perché? Per Alessandro Dentone. «Sarebbe una bellissima idea. Oggi i tempi sono più maturi: le aziende che producono pesto sono sempre più numerose e molte lavorano in modo quasi artigianale, pur restando su scala industriale. Ma creare un consorzio non è facile: in Liguria c’è una mentalità del “mani in mano”, del “io faccio a modo mio”, e questo rende tutto più lento».
Multinazionali e disciplinare: i nodi da sciogliere
Dentone non nasconde che il nodo più grande siano le multinazionali: «Il pesto lo fanno tutti, nel mondo. Se nascesse una Dop vincolante, molte grandi aziende dovrebbero adeguarsi, e non è semplice. Una dop per una salsa è quasi impossibile, ma una Igp o un marchio collettivo sarebbero possibili e auspicabili. Servirebbe però un disciplinare chiaro, ad esempio sugli ingredienti: dal formaggio (Parmigiano Reggiano, Pecorino, Fiore Sardo) fino alle proporzioni, tenendo conto anche delle esigenze di stabilità e conservazione».
Un’occasione economica e turistica enorme
Sul fronte economico, i vantaggi sarebbero enormi: «Parliamo della seconda salsa più consumata al mondo. Nel 2024 la ricetta del pesto è stata la più ricercata sul web e le esportazioni hanno toccato record storici. Un consorzio porterebbe turismo enogastronomico e darebbe finalmente a Genova e alla Liguria il ruolo che meritano, non più il “fanalino di coda del Nord”».
Dal basilico di Pra’ alla filiera ligure
Dentone ricorda il lavoro già svolto dal Consorzio del Basilico Genovese DOP, che ha contribuito a dare identità a tutta la filiera, estendendo la denominazione oltre la sola zona di Pra’: «Oggi esistono realtà imprenditoriali importanti nella coltivazione e nella trasformazione del basilico. Serve però una maggiore protezione della ricetta, perché le imitazioni internazionali sono in crescita».
La vera ricetta del pesto secondo Dentone
E sulla preparazione tradizionale, Dentone, con ironia, è netto: «Basta con le “minchiate” come bollire il basilico o metterlo nel ghiaccio. Se usi basilico genovese di qualità, non serve niente di tutto questo. Il pesto va rispettato, sia che lo si faccia al mortaio sia che si usi il frullatore, purché con gli ingredienti giusti».
Un futuro di aggregazione e tutela
Guardando al futuro, il presidente Fic Liguria rilancia: «Oggi c’è più voglia di aggregazione: nascono consorzi di albergatori, ristoratori, produttori. Anche noi come Unione Cuochi siamo cresciuti. Se ci si mette insieme si è forti; da soli si resta in una nicchia. Per questo una Igp per il pesto non è solo auspicabile: è il passo necessario per proteggere un prodotto straordinario, simbolo della nostra identità e della nostra economia. Un consorzio forte potrebbe portare un vantaggio enorme, soprattutto in termini di comunicazione globale e di riconoscimento».
Dentoni ricorda un episodio emblematico: «Anni fa, ospite di un’amica sull’Adriatico, mi disse: “Stasera ti faccio il pesto”. Aprì un vasetto di una grande marca nazionale… Beh, era tutt’altra cosa. C’è ancora troppa robaccia in giro».
Secondo lui il lavoro del consorzio è «una goccia nel mare»: «Bisognerebbe introdurre regole più restrittive, senza penalizzare chi ha già fatto grossi investimenti. In Liguria tutti lavorano bene: anche il peggior pesto locale è “più che mangiabile”. È una questione di ingredienti: se fai una salsa di pomodoro con pomodori cinesi avrà un gusto, con il San Marzano un altro. Questa è la forza della biodiversità italiana».
Il disciplinare perfetto: basilico e prodotti nazionali
Quali criteri servono per un vero disciplinare? «Al primo posto il basilico - non se ne parla. Poi l’aglio, almeno nazionale. Io adoro l’aglio di Vessalico, una nicchia straordinaria: delicato, mai invasivo, perfetto per il pesto. I sette ingredienti devono sentirsi tutti. Serve pecorino sardo, Parmigiano Reggiano, sale grosso, pinoli e olio, rigorosamente ligure Dop. E, soprattutto, serve l’uso di prodotti nazionali, meglio ancora Dop».
Sul basilico non transige: «Assolutamente basilico genovese. Purtroppo anche in Liguria alcuni ristoranti, per risparmiare, usano basilico di altre zone: va bene per l’insalata o la pizza, ma per il pesto è imbarazzante».
Pesto genovese o “alla genovese”? Serve l’Igp
La vera criticità è l’ambiguità fra pesto genovese e pesto alla genovese: «L’Igp aiuterebbe a togliere questo equivoco. Oggi trovi barattolini “alla genovese” a 3,50 euro fuori frigo: basta leggere l’etichetta per scoprire che contengono di tutto - basilico estero, olio non ligure, formaggi non Dop, persino anacardi. Un marchio serio eviterebbe di chiamare questi prodotti “pesto”».
Mortaio e tradizione
Anche la preparazione conta: «Il mortaio è uno strumento imprescindibile. Grazie al Campionato Mondiale del Pesto al Mortaio di Roberto Panizza, è tornato nelle cucine di casa. Certo, in un ristorante non puoi fare tutto a mano».
«Il segreto del pesto è anche nella sua consistenza. Se usi frullatori a velocità molto basse, ottieni un prodotto che non diventa un omogeneizzato. Deve rimanere un po’ ruvido, con il pinolo che si vede e la fogliolina di basilico riconoscibile. Anche alcuni pesti industriali di qualità mantengono questa caratteristica grazie a macchinari che lavorano lentamente. Quando è troppo fine, significa che il processo ha emulsionato troppo, anche se magari gli ingredienti sono buoni».
Marchi e turismo: l’esempio di “Liguria Gourmet”
Dentoni cita il lavoro delle Camere di Commercio: «Hanno creato il marchio Liguria Gourmet, che certifica i ristoranti con prodotti dop e vini locali. Quando c’è un evento come il Salone Nautico, i catering associati servono solo eccellenze: salame di Sant’Olcese, olio ligure, pesto. È un modo concreto di fare turismo enogastronomico e identità».
Il ruolo della Fic Liguria
Qual'è il compito di Fic Liguria in questa partita. «Abbiamo firmato un protocollo d’intesa con il Consorzio del Basilico Genovese e con quello dell’Olio Riviera Ligure» racconta Dentoni. «Vogliamo valorizzare i prodotti e spiegare ai colleghi cuochi che è meglio usare il nostro basilico piuttosto che uno qualsiasi. Non è affatto scontato che, andando in un ristorante ligure, tu trovi sul tavolo una bottiglia di olio Dop: capita di trovare grandi marchi nazionali. Per noi è fondamentale educare: partiamo dai ragazzi delle scuole alberghiere fino ai professionisti con i capelli bianchi. Certo, il “cassetto” - il guadagno - conta, ma serve anche un’etica. Dietro a quei prodotti ci sono persone che lavorano e fanno fatica, perché la Liguria agricola è una terra dura».
Dentoni vede il suo ruolo e quello dei colleghi come quello di veri «ambasciatori» dei sapori liguri: «Raccontiamo le storie dietro ogni prodotto, dallo storytelling del pomodorino alla melanzana, perché siamo conosciuti solo per pesto e focaccia, e a volte nemmeno per il pesce. Le acciughe forse ci salvano un po’. Abbiamo portato questi temi anche a livello nazionale: una grande azienda di pesto ligure è diventata sponsor nazionale Fic, così a tutti i nostri eventi ci sono sempre basilico e pesto ligure».
Verso un Igp del pesto
Ma quindi, chi deve muovere i primi passi per ottenere una Igp ufficiale del pesto alla genovese? «Bisogna che si siedano allo stesso tavolo i produttori, i consorzi di olio e basilico, le associazioni di categoria dell’agricoltura e del commercio, e naturalmente la politica» risponde Dentoni. «In Liguria abbiamo un assessore molto bravo, Alessandro Piana, che viene dal mondo agricolo e conosce le difficoltà della terra. Ha già lavorato, ad esempio, per ottenere la certificazione Igp dell’oliva taggiasca. È l’interlocutore giusto per dare valore ai nostri prodotti».
Festa Fic e Campionato mondiale: Genova capitale del pesto
Infine, parliamo della Festa Nazionale della Federazione Italiana Cuochi, che quest’anno approda a Genova. «Sarà dall’11 al 14 ottobre, quattro giorni - sabato, domenica, lunedì e martedì» annuncia Dentoni. «Dal 1968 la FIC non aveva mai organizzato la festa a Genova o in Liguria. Ci ho lavorato due anni: l’idea è partita dal mio predecessore Stefano Beltrame, con l’aiuto dell’ex assessore all’agricoltura Stefano Mai, che ci ha spinti a portare questo evento qui».
È una vera festa nazionale del cuoco, non solo un’assemblea: «L’assemblea è riservata ai delegati, ma la festa è aperta a tutti. Si svolge sempre nella settimana di San Francesco Caracciolo, patrono dei cuochi, il 13 o 14 ottobre. È una ricorrenza che unisce tradizione laica e sacra».
Un programma che cresce
«È la prima volta che la Festa del Cuoco dura quattro giorni invece di due - spiega Dentoni -. Abbiamo voluto aggiungere il sabato e la domenica anche se molti colleghi lavorano in quei giorni. Ci saranno comunque tante adesioni da diverse regioni».
Il cuore dell’evento sarà al Porto Antico di Genova, «una zona turistica perfetta per ospitare il nostro street food. Ci saranno stand, degustazioni continue e un palco animato con show cooking, presentazioni di prodotti e attività legate ai prodotti liguri e non solo».
Giovani talenti e concorsi
Dentoni racconta con orgoglio le iniziative dedicate ai più giovani: «Organizziamo ogni anno il Premio Ferrer Manuelli, in ricordo di uno dei primi cuochi televisivi italiani. La finale si terrà la domenica con tre giovani finalisti».
«Quest’anno - aggiunge - presentiamo anche la nuova Genova Gourmet Cup, evoluzione del trofeo “Miglior Allievo delle Scuole Alberghiere”, realizzato con gli Artigiani in Liguria. La gara vera e propria si svolgerà a gennaio, ma lanceremo il progetto durante la festa».
Basilico, botteghe storiche e grandi chef
I due giorni successivi saranno dedicati agli aspetti più istituzionali: «Il lunedì ci sarà la sfilata dei cuochi e una cena ufficiale, mentre il martedì abbiamo organizzato visite al Consorzio del Basilico a Pra’, oltre a un tour delle botteghe storiche di Genova».
Non mancheranno ospiti illustri: «Avremo Enrico Bartolini, che parteciperà a un convegno sul mestiere del cuoco e poi terrà una lezione-show all’istituto alberghiero Marco Polo di Genova per ringraziare gli studenti che ci aiutano».
Collaborazioni e valorizzazione del pesce locale
La festa coinvolge istituzioni e produttori. «Abbiamo avuto grande sostegno dalla Regione Liguria, dal sindaco Marco Bucci e dalle Camere di Commercio» sottolinea Dentoni. «Durante l’evento firmeremo un protocollo d’intesa con i GAL-Fisheries, che valorizzano il cosiddetto “pesce povero”, che io preferisco chiamare pesce locale. È una risorsa importante, spesso poco conosciuta, che merita più attenzione».
Pesto protagonista assoluto, nel 2026 a Genova torna il mondiale
Impossibile non parlare del grande appuntamento col pesto alla genovese che si terrà la prossima primavera. «Il Campionato Mondiale di Pesto al Mortaio, che di solito si svolge tra marzo e aprile, porta una grande visibilità - ricorda Dentoni -. In quei giorni Genova diventa davvero una città a base di pesto, con tanti eventi collaterali e il celebre Pesto Party». Un campionato che ha cadenza biennale: dall'edizione del 2024 gli organizzatori hanno viaggiato per tutto il mondo per selezionare i migliori artigiani del pesto alla genovese e portarli a Genova
Alla domanda sullo sfruttare la risonanza del mondiale per avanzare nel progetto Igp, Dentoni ammette: «Sarebbe una grande occasione. Il campionato è importante, ma servirebbe prima ancora anche una vera giornata del pesto, che celebri il prodotto oltre la competizione. Il pesto non è solo per la pasta: si può usare su crostini, in abbinamenti creativi, persino sulle patatine».
La ricetta perfetta
E infine, Dentoni non dimentica di spiegare la ricetta tradizionale del pesto al mortaio: «Servono un mortaio di marmo e un pestello di legno per non scaldare gli ingredienti. Si inizia con aglio e pinoli, che vanno pestati e girati fino a ottenere una crema. Poi si aggiungono basilico e sale grosso, lavorando sempre sulle pareti del mortaio. Quando le foglie rilasciano il loro olio essenziale, si incorporano i formaggi: una parte di pecorino e due di parmigiano. Infine si versa l’olio extravergine di oliva della Riviera Ligure. In pochi minuti, il tempo di cottura della pasta, il pesto è pronto».
Verso un marchio collettivo per proteggere il pesto
Alla luce di questi dati, l’intervento di Alessandro Dentone diventa una chiamata urgente all’azione. Un’Igp per il pesto alla genovese non sarebbe solo un marchio, ma un impegno concreto verso trasparenza, qualità e rispetto delle radici. Consentirebbe ai produttori di operare con criteri certi e ai consumatori di scegliere con consapevolezza, riconoscendo gli ingredienti veri e il saper fare ligure. È un’occasione per trasformare una crescita commerciale già avviata in un riconoscimento duraturo, capace di rafforzare la competitività del territorio e di proteggere ciò che rende il pesto un simbolo unico della gastronomia italiana
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