Schiavitù a tavola? Perché la cucina italiana rischia di perdere i suoi cuochi
Turni massacranti, straordinari fantasma e alloggi fatiscenti: Carlo Pierato (Cast Alimenti) lancia l’allarme e propone soluzioni concrete per salvare il mestiere e restituire dignità a chi lavora in sala e cucina. Tra i suggerimenti, contratti percentuali, più pratica nelle scuole e una formazione aziendale continua per motivare e proteggere il personale

L’inchiesta di Italia a Tavola sulla «schiavitù sottopagata» nella ristorazione italiana mette in luce turni massacranti, straordinari non pagati e contratti poco trasparenti. Su questo scenario si innesta la testimonianza di Carlo Pierato, docente e formatore di Cast Alimenti, che ogni giorno accompagna i giovani cuochi e operatori di sala verso il lavoro. Un punto di vista centrato obiettivo da parte di chi immette nuova forza lavoro in questo ambito, preparandolo alle sfide, sì, ma anche alle inevitabili difficoltà che il mondo della ristorazione porta con sè.
Pierato descrive un settore dove il confine tra passione e sfruttamento è sottile: da un lato la necessità di garantire un’adeguata formazione pratica, dall’altro l’urgenza di tutelare diritti, orari e retribuzioni. La sua visione aderisce in diversi punti ai temi della denuncia: mancano strumenti di monitoraggio, la contrattazione è spesso debole e i lavoratori si ritrovano senza voce. Ma per Pierato la risposta non è solo normativa: occorrono contratti percentuali, formazione interna continua e un approccio “on the job” che restituisca dignità e prospettiva a chi sceglie la cucina come mestiere, evitando derive di sfruttamento.
Tracciamento e straordinari
L'analisi parte dalla questione orari di lavoro, come questi debbano essere venire tracciati correttamente, qualcosa che nel percorso di formazione scuola-lavoro che sovraintende esiste già: «Il registro digitale obbligatorio per i tirocini curricolari esiste già ed è operativo», spiega Pierato. «Viene compilato dagli studenti che devono segnare data, orario di ingresso e uscita, attività svolte, con firma propria e del tutor». Ma fuori dai tirocini? «Per i professionisti, soprattutto nelle piccole e medie imprese, spesso non c’è una tracciatura dell’orario di lavoro. Nelle grandi catene si timbra il cartellino, ma nella ristorazione indipendente il controllo è meno diffuso».
Serve un sistema di rilevazione obbligatoria per limitare abusi e straordinari non pagati? Pierato è cauto: «Non possiamo generalizzare. In alcune strutture ci sono picchi di lavoro alternati a periodi più tranquilli, e il datore di lavoro e il professionista possono concordare un forfait più vantaggioso della normale busta paga». Il problema, sottolinea, «nasce quando il forfait diventa pretesto per sfruttamento, o quando le ore extra non trovano compensazione. È qui che bisognerebbe intervenire, perché il dipendente deve avere l’autorevolezza di segnalare situazioni scorrette e, se necessario, di cambiare azienda. È una scelta democratica: nessuno ti obbliga a restare in un contesto non conforme».
Crescita professionale e libera scelta
Per Pierato la libera scelta è centrale: «Un buon manager deve valutare ogni persona e chiedere disponibilità solo quando c’è un evento o un’esigenza straordinaria. Ho lavorato con capi reparto che mi facevano notare cinque minuti di ritardo, ma che sapevano anche proporre opportunità per crescere». «Chi ha passione spesso dedica tempo ed energia per imparare più velocemente. È un impegno non regolamentato, ma che porta a una crescita reale. Il problema sorge quando l’imposizione diventa la norma».
Settimana corta e modelli retributivi
Sul tema della settimana corta Pierato resta pragmatico: «Dipende dalla sostenibilità aziendale. Se un’impresa può garantire le buste paga con quattro giorni di lavoro, ben venga. Ma molte realtà faticano a coprire i costi».
Propone però modelli alternativi: «Mi ispira il sistema americano, con una base salariale più bassa e una percentuale di servizio (10-15%) distribuita tra i dipendenti. In Inghilterra ho guadagnato più con questo schema che con una busta paga fissa: se lavori di più, guadagni di più. Così l’imprenditore può assumere più personale e i carichi di lavoro vengono ricompensati equamente».
Formazione e apprendistato duale
Il discorso torna sulla formazione, cuore di Cast Alimenti. «L’apprendistato duale permette allo studente di frequentare l’università e lavorare in azienda, applicando subito ciò che impara. Con la nostra laurea triennale, gli studenti possono scegliere il ritmo di lavoro e sperimentare più reparti: cucina, pasticceria, panificazione, sala, sommelier».
Secondo Pierato, «questa è una formazione on the job di altissimo valore. Alla fine il giovane non solo conosce la teoria, ma ha vissuto i ritmi reali della cucina e sa cosa chiedere al team quando ricoprirà ruoli manageriali. La pratica conferma e completa la teoria, e solo così si formano veri professionisti dell’alta cucina».
L’alloggio e la logistica: un nodo cruciale
Il lavoro nella ristorazione turistica ha un problema evidente: alloggi e trasporti. «Chi lavora in zone a forte vocazione turistica, magari in Sicilia da marzo a settembre, deve per forza affrontare il tema di dove vivere», spiega Pierato. «L’azienda può scegliere: o offre un compenso più alto, specificando che una parte serve per sostenersi nell’affitto, oppure garantisce un contratto con vitto e alloggio. La vera questione è la qualità di questi alloggi».
Pierato sottolinea che ci sono «aziende che investono molto in welfare e qualità della vita dei dipendenti» e altre che non lo fanno, creando turnover e costi maggiori nel lungo periodo.
Cosa cambiare subito
Alla domanda su cosa cambierebbe «da domani», Pierato è netto: «Introdurrei contratti più legati a una formula percentuale, come succede nel modello americano, dove una percentuale del 10/12% della paga del dipendente è legato al fatturato dell'esercizio, che premi quindi il risultato. Cambierei anche il sistema scolastico. Nelle scuole alberghiere oggi si fanno pochissime ore di pratica, a volte tre a settimana: in cinque anni non si formano professionisti pronti. Bisognerebbe tornare a un equilibrio 50 e 50 tra teoria e pratica, perché siamo un popolo di artigiani: serve mettere le mani in pasta».
Non solo colpa delle aziende
Parlando di sfruttamento, Pierato mette in guardia da generalizzazioni: «Non è sempre l’azienda a creare condizioni estreme. A volte sono i manager o i capo reparto, in cucina o in sala, a imporre ritmi inutilmente pesanti per puro ego. Le aziende serie, quando se ne accorgono, intervengono con richiami ufficiali».
Formazione e tutela dei diritti
Cast Alimenti lavora anche su consapevolezza contrattuale: «Abbiamo moduli specifici di due ore con esperti di HR che spiegano le formule dei contratti e i diritti dei lavoratori. Inoltre selezioniamo le aziende per i tirocini, indirizzando gli studenti verso realtà che garantiscono almeno rimborso spese e, quando possibile, alloggio». Pierato cita grandi gruppi con sedi a Firenze o Milano che «hanno già capito l’importanza di offrire alloggi vicini al posto di lavoro», mentre altre aziende «rischiano di restare indietro e poi si lamentano di non trovare personale».
Educazione economica e negoziazione
Cast Alimenti offre anche strumenti per capire il food cost e i margini di un ristorante: «Non è qualcosa che uno studente può usare subito in trattativa, ma è un focus importante. Se so, per esempio, che una brioche surgelata costa più di una fatta in casa, posso proporre un ciclo produttivo interno che migliora qualità e margini. Dopo aver dimostrato risultati, lo studente potrà tornare a negoziare con l’azienda per una promozione o un aumento di responsabilità».
Monitoraggio continuo
Il controllo sui tirocini è costante: «Ogni studente compila un registro e riceve valutazioni reciproche con l’azienda. Abbiamo figure dedicate al placement e interveniamo se emergono problemi, anche spostando il ragazzo in un’altra struttura. Ma serve attenzione: basta un cambio di tutor perché le condizioni interne mutino, quindi monitoriamo continuamente».
Gestione della brigata e lavoro di squadra
Gli studenti imparano anche la gestione delle brigate: «Nei nostri corsi di alta formazione in pasticceria e cucina si parte da basi comuni, poi si lavora su progetti autonomi. Negli ultimi mesi si lavora in gruppo, con ruoli come chef di partita, per capire che la cucina è un lavoro di squadra e non un percorso individuale».
Il mito della cucina da spettacolo
Pierato lancia poi un monito sulle illusioni mediatiche: «La televisione crea un’immagine glamour, ma la realtà è diversa. Noi spieghiamo che il lavoro in pasticceria o ristorazione significa anche pulire forni, scaricare sacchi di farina, lavare teglie. Lo diciamo già negli Open Day: meglio essere chiari subito che far sprecare tempo e soldi a chi si avvicina con aspettative da show televisivo».
Formazione e prime perplessità delle famiglie
Spesso le famiglie stesse, soprattutto quelle che non hanno mai lavorato nella ristorazione, si pongono dubbi quando i figli decidono di intraprendere questo percorso: «Per molti genitori è un mondo nuovo, a volte lontano dalla loro esperienza. Le domande che ci rivolgono nascono da una naturale distanza da questo settore».
Il modello ideale di formazione
Alla domanda su quale sia il modello di formazione professionale più efficace per prevenire sfruttamento e insoddisfazione, Pierato è chiaro: «La formazione interna all’azienda è fondamentale. Deve diventare parte integrante delle attività quotidiane: solo così si può costruire una trasformazione mirata, cucita sul format specifico della struttura. Ogni ristorante o servizio di sala è diverso, quindi serve una formazione continua, che motivi il personale e lo faccia crescere».
Il docente immagina un percorso strutturato: «Ogni mese si stabilisce un obiettivo da migliorare, si misura il progresso, si prova insieme. Il mese successivo si valuta a che punto si è arrivati e si fissa un nuovo traguardo. Così lo staff si sente seguito e valorizzato, e questo evita frustrazione e turnover».
Formazione come spazio di gruppo
Per Pierato la formazione non è solo tecnica: «È un momento dedicato al gruppo. Quando si interrompe la routine e ci si confronta, anche le preoccupazioni diventano condivise e quindi più leggere. Capisci che il problema è sotto l’attenzione di tutti e può trovare una soluzione». Capita però che emergano critiche: «Molti studenti raccontano esperienze negative, e quando spieghi come dovrebbero andare le cose dicono: “Ma dove lavoro io non è così”. Sono corde delicate da toccare, ma il confronto è indispensabile».
Affrontare le brutte esperienze
Pierato sottolinea che anche le esperienze negative hanno un valore: «Servono a capire i propri limiti. È la persona che deve porsi e dire: questa situazione non la accetto, quindi o la risolvo o me ne vado. Non ci sono molte alternative».
Prevenire disagio e sfruttamento
«Una formazione corretta può davvero prevenire situazioni di disagio e sfruttamento», ribadisce Pierato. «Durante un corso ci si ferma dalla routine, ci si confronta con i colleghi e si dedica tempo alla crescita del gruppo. È un’occasione per rinnovare motivazione e senso di appartenenza».
Agenzia nazionale per la ristorazione?
Quando gli si chiede se servirebbe un’agenzia nazionale per la ristorazione e l’accoglienza, Pierato risponde che il nodo principale resta economico: «Le regole ci sono, ma vanno applicate. Bisogna trovare il modo di abbassare il carico fiscale e alzare gli stipendi. Come detto, guarderei a un modello americano, basato su percentuali di servizio. Nel mondo della ristorazione i costi sono aumentati, dal vino al caffè, e non credo che un 10% in più a carico dell’ospite sia un problema se garantisce servizio di qualità e personale soddisfatto».
Un lavoro usurante
Pierato evidenzia il peso fisico ed emotivo di questo mestiere: «Il cuoco rientra nelle professioni usuranti, ma anche il personale di sala affronta un impegno enorme. Chi lavora in accoglienza si espone continuamente, ascolta i clienti, anticipa i loro bisogni, cerca di renderli felici. È un dispendio di energie notevole. Le giornate di riposo devono servire a ricaricare mente e corpo, altrimenti si rischia di non avere più una vita privata: non basta un giorno libero passato a dormire sul divano».
«Spesso non si calcola il peso dello stress», avverte Pierato. «Lavoriamo in un ambiente che appare bello e allegro, ma dietro c’è fatica. Bisogna dare il giusto riconoscimento a chi resta sempre gentile, e permettere che abbia tempo per i figli e per sé stesso».
Il ruolo di Cast Alimenti
Pierato si definisce «docente e formatore», non solo insegnante ma anche mediatore con le aziende: «Mi occupo della relazione tra scuola e mondo del lavoro, gestendo i tirocini e supportando chi cerca un impiego. Se uno studente, dopo il corso, preferisce un posto di lavoro immediato al tirocinio, noi ci attiviamo anche per questo. Il nostro compito è accompagnare i ragazzi nella crescita professionale e personale, non solo istruirli».
Verso una ristorazione etica e sostenibile
Le parole di Carlo Pierato offrono una prospettiva concreta su come arginare gli abusi nel settore della ristorazione: più formazione pratica, contratti legati a percentuali di servizio, monitoraggio costante dei tirocini e un equilibrio tra vita privata e lavoro. Il docente sottolinea che il problema non è solo economico ma culturale: serve consapevolezza da parte dei lavoratori e responsabilità da parte delle imprese. Un percorso che unisce scuole, aziende e istituzioni può garantire dignità professionale, attrarre nuove generazioni e restituire credibilità a un mestiere che è patrimonio della gastronomia italiana.
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