Ristorazione stellata
in crisi? Le “chiusure” del Noma ed ElBulli segnano un cambio
di rotta
Per René Redzepi la motivazione è la difficoltà nella sostenibilità dell’impresa stessa, tra costi di gestione e del personale. Così come forse accaduto a Ferran Adrià. Che sia davvero insostenibile oggi una cucina così creativa? E in Italia? Anche per molti ristoranti i conti non tornano
Responsabile scientifico
Superato il momento del rumore dell’intervista di René Redzepi al New York Times, in cui dichiara la volontà e la scelta di chiudere il suo ristorante Noma a Copenaghen, riprendiamo la notizia su cui tutto lo spoil-system del settore ha cominciato a riflettere. Il Noma è un ristorante premiato negli ultimi anni, tra o, forse, uno dei migliori al mondo, 3 stelle Michelin, che sicuramente chiude, o probabilmente continuerà l’esperienza gastronomica sulla scia di quanto ha fatto già, Ferran Adrià con il suo ElBulli in Spagna. La motivazione resa pubblica di questa scelta è una difficoltà nella sostenibilità dell’impresa stessa. Frase a nostro giudizio che può nascondere diverse sfaccettature della situazione. Ma prima di affrontare e analizzare cosa può aver contribuito alla scelta di René, diamo un’occhiata al comparto in Italia.
La cucina “super” stellata è in crisi?
Una ristorazione di qualità spesso identificata con il termine “stellata”, che forse valorizza a parole una ristorazione un po’ lontana dalla realtà. Un’analisi molto corretta interpretata anche da Paolo Massobrio su Avvenire, che condividiamo, recita più o meno: i ristoranti super stellati sono in crisi. Noi tiriamo dentro questa storia anche la Michelin, la guida che naturalmente premia e rilascia le famose stelle. Forse l’enfasi di tutto questo eccesso di visibilità di cuochi e ristoranti è arrivato al capolinea? La cucina stellata è la fotografia e rappresenta la tradizione del nostro paese? Qualche crepa si intravede, tutto il sistema mediatico della ristorazione mostra qualche cedimento. Le polemiche di qualche giorno fa trapelare in capo alla trasmissione Masterchef, in cui un concorrente ha esternato delle critiche sul metodo di conduzione della gara stessa. Gara su cui, e non solo oggi, denunciamo una distanza anche qui con la realtà e con il mondo del lavoro.
Gli stessi giudici in alcuni passaggi lo sottolineano, anzi sottolineano quasi a discolpa che è tutto un gioco, aggiungiamo noi, e magari sfugge ai più, che programmi televisivi meno complessi ma molto seguiti, tipo 4 Ristoranti di Alessandro Borghese sono la rappresentazione in gara di una buona ristorazione lontana dai riflettori “stellati”, questo successo qualcosa forse vorrà dire, un buon fritto misto vince sul sifone o sull’uso eccessivo della bassa temperatura.
René Redzepi con la sua brigata al Noma
Al di là della tv il ristorante è un’impresa complessa
Un ristorante è un’impresa complessa, spesso appiattita sulla figura dello chef, ma in realtà al suo interno ha altrettante figure importanti per il buon funzionamento dell’impresa stessa: la sala con i suoi interpreti, gli addetti, il sommelier, il maître, o comunque chi governa la sala, chi fa gli acquisti delle bevande (soprattutto il vino), la cucina con la sua brigata e le figure essenziali come gli addetti alle pulizie e lavaggio. Ma anche chi fa i conti, oggi con l’aggiunta di competenze fiscali quali fatture e complessi terminali in collegamento con l’agenzia delle entrate a cui si aggiungono i rapporti con le piattaforme di prenotazioni e non ultimo anche chi si occupa delle relazioni con i social e con i siti di recensioni: insomma un’organizzazione complessa spesso sottovalutata.
Tra “nero” e stagisti fruttati
La realtà è aggravata ancor di più da una serie di adempimenti fiscali unita a un costo del lavoro molto elevati nel nostro paese, che incoraggia modalità di comportamenti di lavoro in “nero” o come nel caso dello stesso Noma, ma con rumor anche qui nel nostro paese, che denunciano comportamenti poco corretti, tipo stagisti sfruttati o apprendisti non pagati in quanto appunto occupati presso ristoranti importanti.
Tra i problemi anche caro energia, materie prime e attrezzature obsolete
Le materie prime, quelle buone e, in molti casi, vere eccellenze italiane sono aumentate, ma solo pochi ristoranti sono in grado di trasferire questi aumenti sul conto o, più semplicemente, aumentando i costi dei piatti senza il rischio di perdere clientela.
Gli aumenti dei costi energetici stanno ulteriormente mettendo in difficoltà il comparto, che tra l’altro meriterebbe una specie di sanatoria e di rottamazione tecnologica: alcuni studi recenti della Fipe-Federazione italiana pubblici esercizi fotografano un’anzianità di strumentazione di cucina molto preoccupante, come, ad esempio, lavastoviglie con media di vita di 25 anni, che naturalmente incidono sui costi energetici, ma se rapportate ad altre strumentazioni tipo induzione e forni moderni, limitano le tecniche di cucina e la crescita professionale degli addetti.
Tante le difficoltà oggi per mandare avanti un ristorante
Il nodo cruciale della mancanza di personale
L’altra vera difficoltà del settore è la mancanza di personale: sono mesi che si discute di questo problema, la colpa dicono in tanti è del Covid, che sembra sia intervenuto sulla voglia di lavorare e di mettersi in gioco di molti. Il problema del personale non è solo del comparto della ristorazione, ma coinvolge molti ambiti lavorativi. Tuttavia, nella ristorazione stanno venendo meno, tra gli altri, la cultura, la passione, la curiosità. Un vero e proprio cambiamento generazionale. Un passaggio epocale, dunque, che sta trasformando dalle radici la ristorazione del nostro paese. Da un lato una ristorazione stellata e creativa dall’altro una ristorazione tradizionale e famigliare.
La concorrenza di all you can eat con prezzi “inspiegabilmente” bassi
Ma il racconto di questi ultimi anni sul chilometro zero, sulla stagionalità, sulla sostenibilità forse non interessa più, o forse i clienti sono tesi più a ricercare momenti rilassanti e di spensieratezza quando si va al ristorante, e questo sta facilitando la crescita, in molti casi inspiegabile, di ristoranti etnici, “all you can eat”, con centinaia di posti a sedere che ai margini delle periferie delle nostre città stanno letteralmente invadendo il paesaggio, senza dimenticare, questo ancora sì inspiegabile, con prezzi molto bassi.
Le domande da farci ora per capire il futuro
Bisognerà cambiare il linguaggio e domandarci subito se fra due anni mangeremo realmente insetti e i ristoranti stellati avranno clienti per resistere in un mercato così complesso? Vincerà l’ossobuco o il maiale pata negra? Si riuscirà a soddisfare un cliente sempre più complesso, in apparenza più preparato e curioso, ma che si fa portare a casa pizze, sushi e altri piatti con un delivery e rider così organizzati al limite della vergogna?
Ferran Adrià
L’insostenibile “creatività” delle cucine super stellate
Torniamo al Noma, ma rileggendo la storia di ElBulli di Ferran Adrià. Ristorante nato negli anni 70, ai margini di un piccolo club di golf a Roses in Catalogna, che grazie alla famiglia Schilling crebbe in maniera vorticosa sino alla presenza e acquisizione di Adrià e alla sua bravura (è stato miglior cuoco al mondo per anni). Ma tutto ciò non è bastato. Anche lui ha dovuto affrontare una sostenibilità di costi, di tecniche di cucina innovative, ma che non hanno permesso nel tempo la continuità del suo sogno? Lo stesso percorso di René a Copenaghen? Probabilmente sì. È ciò rischia di provocare frane, più o men grandi, anche nella ristorazione stellata italiana. Sappiamo che i conti dei molti ristoranti di casa nostra non sono buoni. Finanziatori più o meno occulti, grandi firme del vino e della moda sostengono molti dei nostri superchef, imprenditori attratti dallo scintillio di vini e tavole sfarzose, ma inesperti di quanto raccontato agli inizi, che inciampano facilmente sui tanti problemi di una impresa che forse soddisfa qualche peccato di gola, ma che quadra raramente i conti. Italiaatavola
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