C'è fermento nei mercati delle materie prime alimentari, e due protagonisti stanno facendo parlare di sé in maniera piuttosto evidente: il burro e l'olio di cocco. Secondo i dati diffusi da Aretè, punto di riferimento in Italia per chi si occupa di analisi dei mercati agrifood, le ultime settimane hanno visto dinamiche completamente diverse per queste due commodity: da una parte il burro europeo che frena dopo mesi di prezzi elevati, dall'altra l'olio di cocco che corre veloce, spinto da una scarsità di offerta che fa lievitare le quotazioni.
Partiamo dal burro, che in Europa sembra aver cambiato rotta. Le quotazioni a Kempten, uno dei mercati di riferimento, hanno registrato un calo del 14% da dicembre 2024, scendendo ai livelli più bassi dall'agosto dello stesso anno. Una boccata d'aria fresca dopo l'inflazione record del 2024, che ha messo in difficoltà tutto il comparto. Come spiegano da Aretè, il burro sta "beneficiando" di una maggiore remuneratività rispetto al mix formaggio-siero, proprio in un momento in cui la domanda è in calo per ragioni stagionali e i prezzi europei non sono più così competitivi rispetto a quelli di Usa e Oceania.
Sul fronte opposto, invece, l'olio di cocco è protagonista di un'impennata decisa, accompagnata da una volatilità che sta facendo drizzare le antenne a chi lavora nel comparto. A Rotterdam, nei primi venti giorni di febbraio, le quotazioni sono già salite del 4%, trascinando con sé anche l'olio di palmisto (+5%) e l'olio di palma, che ha visto un vero e proprio balzo del 30%. Numeri impressionanti, che trovano una spiegazione chiara nella scarsità di offerta. Dietro a questa tensione ci sono problemi produttivi importanti, soprattutto nelle Filippine, uno dei principali produttori mondiali. A gennaio 2025, le esportazioni filippine sono calate del 10% rispetto allo stesso mese dell'anno precedente, segnando anche un rallentamento rispetto ai mesi precedenti.
E meno prodotto disponibile significa, inevitabilmente, prezzi alle stelle. Come se non bastasse, a complicare ulteriormente le cose ci pensa la logistica. Nonostante la tregua tra Palestina e Israele abbia portato a una sospensione degli attacchi alle navi da parte dei ribelli Houthi, il traffico attraverso il Canale di Suez resta molto limitato. E quando le rotte commerciali si bloccano, i prezzi non possono fare altro che salire, tra costi di spedizione che aumentano e ritardi nelle consegne.
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