Cresce nel mondo
la voglia di Italia
Dal rapporto di Fondazione Symbola,Unioncamere e
Fondazione
Edison risulta che il Bel Paese sa essere innovativo,
versatile, creativo, reattivo, competitivo e vincente.
Uno dei cinque stati
al mondo che vanta un surplus manifatturiero.
C‘è un’Italia di cui spesso non si ha consapevolezza e che fa cose di cui essere orgogliosi.
Il rapporto “I.T.A.L.I.A.– Geografie del nuovo made in
Italy” di Fondazione
Symbola, Unioncamere e Fondazione Edison, nasce per
raccontare questa parte del
Paese. Scorrendo le pagine del rapporto scopriamo che
l’Italia sa essere innovativa,
versatile, creativa, reattiva, competitiva e vincente.
Soprattutto sui mercati globali.
Tanto da esprimere, nonostante i sette anni di crisi,
quasi mille prodotti con saldo
commerciale attivo da record. Un risultato di tutto
riguardo, raggiunto grazie a una
scelta decisa sulla qualità. E in linea con il primato
sul fronte dell’avanzo
commerciale: l’Italia è uno dei soli cinque paesi al
mondo che vanta un surplus
manifatturiero sopra i 100 miliardi di dollari. In
compagnia di grandi potenze industriali
come Cina, Germania, Giappone e Corea. Una leadership
che ci parla di qualità
crescente riconosciuta alla manifattura. Non a caso
dall’introduzione dell’euro l’Italia
ha visto i valori medi unitari dei suoi prodotti
salire del 39%, facendo meglio di Regno
Unito (36%) e Germania (23%).
Dati supportati anche dalle tendenze rilevate da un
recente sondaggio Ipsos secondocui circa l’80% degli statunitensi e dei cinesi
riconosce nel made in Italy un grandevalore. Sia all’estero che in Italia il Made in Italy
è sinonimo di moda, artigianato,
arredamento, design e cibo, e soprattutto di bellezza
e qualità.Due italiani su tre sono disposti a pagare un
sovrapprezzo per avere prodotti 100%italiani. Grazie alla bellezza e alla qualità
connaturata di questi prodotti, poi, l’Italiacontinua a produrre cose che piacciono al mondo e che
sono sempre più desideratesui mercati globali. Come ci dicono i dati relativi
alle ricerche su Google dei prodotti
Made in Italy, cresciute dal 2011 al 2014 di ben il
22%. Specie in Paesi come Giappone, Emirati Arabi, Usa, Russia e Brasile. Del
resto aprirsi ai mercati globali sfruttando anche le possibilità offerte dalle nuove
tecnologie è una risposta concreta,e già praticata da molte imprese, alla contrazione del
mercato interno.

È questo il Paese che emerge dal Rapporto che,
senza
nascondere le difficoltà del
mercato interno, misura la competitività del sistema
produttivo italiano non con
parametri “tradizionali” come la quota di mercato
detenuta sull’export mondiale, ma
con un nuovo indicatore capace di cogliere e leggere
in modo assai più fedele e
puntuale quanto si muove nella economia del paese: la
bilancia commerciale dei
singoli prodotti. Vuol dire che se pensiamo al mercato
globale come a un’olimpiade,
ai prodotti come discipline sportive in cui vince chi
ha un export di gran lunga
superiore all’import, l’Italia arriva a medaglia quasi
mille volte. Fanno meglio solo
Cina, Germania e Stati Uniti.
Le eccellenze competitive italiane
nel commercio con
l’estero
L’Italia vanta un totale di 932 prodotti
classificatisi primi, secondi o terzi al mondo per saldo commerciale attivo con l’estero.
Più nel dettaglio, il Paese vanta 235 prodotti
medaglia d’oro a livello mondiale per saldo commerciale, eccellenze che ci fanno guadagnare
56 miliardi di dollari. I prodotti che si classificano al secondo posto nel mondo per
saldo commerciale sono invece 37 e fruttano 68 miliardi di dollari. Le medaglie di
bronzo dell’export italiano sono invece 321 prodotti e valgono un saldo commerciale
complessivo di 53 miliardi. Nell’insieme questi campioni dell’export fanno conquistare al Paese
un surplus commerciale di 177
miliardi di dollari. E poi ci sono altri 500 prodotti
in cui l’Italia si è
classificata quarta o quinta per saldo commerciale mondiale e che hanno
aggiunto alla
bilancia commerciale altri 40 miliardi di dollari.
Industria, i settori competitivi
e la forza dei
distretti
Oltre ai numeri, sono significativi anche i settori
che generano questo surplus. La
maggior parte delle eccellenze manifatturiere
non
proviene solo da settori
tradizionali, quali potrebbero essere il tessile o le
calzature, ma arriva dalla
meccanica e dai mezzi di trasporto, dalle tecnologie
del caldo e del freddo, dalle
macchine per lavorare legno e pietre ornamentali, tubi
e profilati cavi, dagli strumenti
per la navigazione aerea e spaziale. Ai quali si
affianca il presidio di quei settori in cui
il made in Italy è forte per tradizione, come il
design o il lusso.
Andando ad analizzare i 235 prodotti medaglia d’oro,
emerge infatti che 25,6 dei 56
miliardi di surplus generati dalle nostre eccellenze
provengono da beni del settore
dell’automazione meccanica, della gomma e della
plastica; altri 18,4 miliardi si
devono ai beni dell’abbigliamento e della moda, 7,3
miliardi da beni alimentari e vini;
0,4 dai beni per la persona e la casa; mentre 4
miliardi derivano da altri prodotti, tra
cui quelli dell’industria della carta, del vetro e
della chimica. Tra i prodotti secondi
posti per saldo commerciale hanno particolare
rilevanza rubinetteria e valvolame, che
portano al Paese un bottino di 4,9 miliardi di
dollari. Segue il settore di vini e
spumanti con 4,5 miliardi di dollari, i mobili in
legno e parti di essi, lavori in ferro e
acciaio, i trattori agricoli, le piastrelle e
ceramiche per l’arredo, le parti di turbine a
gas, macchine per riempire e imbottigliare ed
etichettare, lavori in alluminio, parti di
macchine e apparecchi meccanici, barche e panfili da
diporto.
Quanto alle medaglie di bronzo per saldo commerciale
mondiale, vanno citati gli
oggetti di gioielleria, le parti e gli accessori per
trattori e autoveicoli, piastrelle e lastra
da pavimentazione o rivestimento, macchine e
apparecchi meccanici, prodotti di
materie plastiche, ingranaggi e ruote di frizione per
macchine, pompe e compressori
per aria, divani, poltrone, freni e servofreni, ponti
con differenziale per autoveicoli,
costruzioni di ghisa, ferro e acciaio.
Turismo, agroalimenatre
... e sussidiarietà
Una menzione a sé merita anche il turismo: non avremo
mai un ritratto fedele delle
performance del settore fino a quando verrà usato come
indicatore il numero di arrivi.
Al contrario, guardando ai pernottamenti, a fronte
della sofferenza del mercato
domestico, si evidenzia il primato italiano
nell’Eurozona per pernottamenti di turisti
extra Ue. Nel 2013, infatti, con 56 milioni di notti
all’attivo l’Italia si è classificata
prima nella zona euro per numero complessivo di
pernottamenti di turisti extra-Ue.
Come dire che nel Vecchio Continente siamo la meta
preferita di americani, giapponesi,
cinesi, australiani, canadesi, brasiliani, sudcoreani,
turchi, ucraini e sudafricani. E il
contributo diretto del turismo al Pil nel 2014 è stato
del 4,1%, per un valore di 66
miliardi di euro.
Agroalimentare, un settore vocato alla qualità, è un
comparto in cui la vocazione alla
qualità è evidentissima. Non a caso l’Italia ha una
capacità di creare valore aggiunto
pari a quasi 2000 euro per ettaro: più del doppio
della media europea, il triplo del
Regno Unito (614€/ha), il doppio di Spagna (906€/ha),
e Germania (994€/ha), e il
60% in più dei cugini francesi (1.226€/ha). Non solo,
con 273 prodotti registrati tra
Dop, Igp e Stg, 523 tra vini a denominazione di
origine controllata e garantita o a
indicazione geografica tipica e 4698 specialità
tradizionali regionali, vantiamo il
primato prodotti registrati e siamo il primo paese
dell’Ue per numero di imprese
biologici (44 mila). L’agricoltura italiana è tra le
più sostenibili in Europa - emette il
35% di gas serra in meno della media Ue - e fra le più
sicure, con una quota di
prodotti che presentano residui chimici inferiore di
quasi 10 volte rispetto alla media
europea. È anche per questi motivi che l’agricoltura,
nel 2014, riesce a confermare il
suo primato in Europa, insieme alla Francia, per
valore aggiunto (31,6 miliardi di
euro).
Localismo e sussidiarietà: il Terzo Settore. Nella
produzione ed erogazione di servizi il Paese non raggiungerebbe mai l’attuale grado di
welfare se non potesse contare sul contributo della variegata galassia del terzo settore.
Un altro dei primati tricolori: tra i
Big Ue, con il 9,7%, l’Italia è prima per quota di
addetti del Terzo Settore sul totale dell’economia. E queste realtà muovono entrate per 64
miliardi di euro, equivalenti al 3,4% dell’economia nazionale. Una ricchezza che
andrebbe affiancata anche con il risparmio e il benessere sociale derivante dalle ore
di lavoro messe gratuitamente a
disposizione da 4,7 milioni di volontari. Numeri che ci
parlano di un modello che coglie
quell’economia delle responsabilità, della sobrietà e
della condivisione che si fa strada.
Innovazione e ambiente
L’Italia è quarta in Europa ed è uno degli otto Paesi
Ocse ad avere una spesa in
ricerca e sviluppo superiore ai 20 miliardi di
dollari. L’Eurostat ha evidenziato nelle
imprese italiane una spiccata propensione
all’innovazione: con il 42% di imprese
innovatrici, l’Italia si colloca al di sopra della
media Ue (pari al 36%), non ai livelli di
Germania e dei paesi del Baltico, ma meglio di
Francia, Regno Unito e Spagna. Il
nostro sistema produttivo, inoltre, ha incorporato la
green economy come un fattore
competitivo: dall’inizio della crisi, oltre 340mila
aziende (il 22% del totale) hanno
investito in questo senso, e nella manifattura
arriviamo al 33%. Arriviamo così ai
vertici dell’Ue per eco-efficienza, con 104 tonnellate
di CO2 ogni milione di euro
prodotto (la Germania ne immette in atmosfera 143, il
Regno Unito 130) e 41 di rifiuti
(65 la Germania e il Regno Unito, 93 la Francia).
Siamo, poi, campioni europei
nell’industria del riciclo: a fronte di un avvio a
recupero industriale di 163 milioni di
tonnellate di rifiuti su scala europea, nel nostro
Paese ne sono stati recuperati 24,1
milioni, il valore assoluto più elevato tra tutti i
paesi europei (in Germania 22,4
milioni).
Arte e cultura, un settore
strategico e trainante
Fanno parte del sistema produttivo culturale e
creativo (tra industrie culturali propriamente dette, industrie creative - attività
produttive ad alto valore creativo ma ulteriori rispetto alla creazione culturale in quanto
tale - patrimonio storico artistico,
performing arts e arti visive) oltre 443mila imprese,
il 7,3% del totale delle attività economiche nazionali. Danno lavoro a oltre 1,4 milioni
di persone, il 5,9% del totale degli occupati. Creano, direttamente, 78,6 miliardi di
euro di valore aggiunto, che
arrivano ad 84 circa, equivalenti al 5,8%
dell’economia nazionale, se includiamo
anche istituzioni pubbliche e realtà del non profit
attive nel settore della cultura. E ne
attivano nel resto dell’economia altri 143. In tutto
fa 227 miliardi: il 15,6% circa del
totale.
Ardea Velikonja






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