A Torino polemiche
per il bar
con consumazione
a tempo. Ma cosa dice
la legge?
A Torino un cartello del Bar Novanta che fissa i minuti concessi per caffè e aperitivi ha acceso il dibattito tra diritto, buonsenso e ospitalità. L’esperto legale Alessandro Klun spiega che la pratica è legittima solo se comunicata con chiarezza, mentre il maestro di bon ton Antonio Presutti invita a non perdere di vista il piacere dell’accoglienza
Quindici minuti per un caffè, 20 per la colazione, 45 per il pranzo e un’ora per l’aperitivo. È bastato un foglio A4, incorniciato e poggiato sul bancone, per scatenare una tempesta di commenti. È successo a Torino, al Bar Pasticceria Novanta di corso Duca degli Abruzzi, dove un cartello con i “tempi di permanenza al tavolo” è diventato virale nel giro di poche ore. «Grazie clientela, vi informiamo sui tempi di permanenza al tavolo. Grazie per la collaborazione e la comprensione» recita il messaggio. Un invito cortese nella forma, ma per molti dal tono discutibile.
In città e sui social la discussione si è accesa in fretta. C’è chi ha ironizzato sulla “tariffa a tempo” e chi ha parlato di “cronometro al cappuccino”, ma anche chi ha difeso la scelta, ricordando che nei bar di quartiere, fra studenti, freelance e riunioni improvvisate, i tavolini finiscono spesso per trasformarsi in postazioni permanenti. E così, da un caffè, si passa a un pomeriggio intero. Il locale, che ha replicato spiegando che la decisione serve solo a garantire il ricambio e l’equilibrio tra i clienti, è diventato il simbolo di un tema più grande: dove finisce il diritto di sostare e dove comincia quello di chi gestisce un’attività con ritmi serrati e margini ridotti?
Cosa dice la legge: il tempo al tavolo può diventare un contratto
Per capire meglio il nodo legale della vicenda, abbiamo chiesto un parere ad Alessandro Klun, collaboratore di Italia a Tavola e autore del libro "A cena con diritto", che da anni si occupa di questioni giuridiche legate alla ristorazione. Klun chiarisce che «in Italia non esiste una legge che stabilisca un tempo massimo per la consumazione in un bar o ristorante». Il titolare, però, può «imporre un limite di tempo, purché sia comunicato in modo chiaro al cliente prima della consumazione - per esempio indicandolo nel menu, all’ingresso o al momento dell’ordine». Come fatto, d’altronde, al Novanta.

La regola, spiega l’esperto, diventa così parte di un accordo tra le due parti: l’esercente offre il servizio, il cliente accetta anche la condizione temporale. In questi casi non si parla di abuso, ma di contratto.
«Ciò che non è ammissibile - aggiunge Klun - è imporre retroattivamente un limite a chi è già seduto, pretendendo che lasci il tavolo senza averlo avvertito. E serve anche buon senso: chi consuma solo un caffè non può trattenersi per due ore».
Bon ton e accoglienza: l’equilibrio tra rispetto e piacere
Il tema, però, non si esaurisce nelle regole. C’è anche una questione di stile, di accoglienza e di misura. Ne abbiamo parlato con Alberto Presutti, maestro di bon ton dell’ospitalità, che guarda la vicenda da un’altra angolazione: quella del piacere di stare a tavola, o meglio, al tavolino. «Sicuramente è un modo imperativo e poco rispettoso delle esigenze dell’ospite - osserva. In un bar o in una pasticceria, il momento del caffè dovrebbe essere un piccolo spazio di piacere e relax. Se diventa cronometrato, si perde il senso stesso dell’esperienza: non ci si gode più la fragranza di una brioche o l’aroma del caffè, ma si finisce per controllare l’orologio. È un po’ come i doppi turni nei ristoranti, che spesso creano più tensione che organizzazione».

Presutti invita però - come fatto anche da Klun - a un equilibrio reciproco, perché anche il cliente ha un ruolo nel rispetto dei tempi di un locale. «Se si prende un tavolino per un caffè e si resta seduti per ore, è evidente che qualcosa non funziona. Ci vuole sintonia tra chi serve e chi viene servito: può bastare un richiamo gentile del personale, magari facendo presente che ci sono altre persone in attesa. Non serve un cartello, basta il buon senso e un tono cortese».
Un caffè, un tavolo, un equilibrio da ritrovare
Alla fine, la storia del Bar Novanta è solo l’ultima fotografia di come stiano cambiando le abitudini nei luoghi della socialità quotidiana. Fra smart working, connessioni Wi-Fi e pause dilatate, i bar sono diventati spazi ibridi, a metà tra casa e ufficio. Ma restano, in fondo, luoghi di ospitalità: e quella, che si tratti di un pranzo o di un espresso, richiede sempre equilibrio, misura e un pizzico di umanità.

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