lunedì 17 novembre 2025

L'Irpinia? Una nuova Borgogna

 

Ecco il laboratorio 

del vino italiano 

che in Irpinia sfida clima, mercato e identità

L’Irpinia vive una trasformazione profonda: vendemmie anticipate, manualità in crisi, costi in salita, nuovi modelli di accoglienza e un’identità che vuole imporsi nel mondo. Capaldo (Feudi di San Gregorio) racconta la terra che potrebbe diventare la “nuova Borgogna” d’Italia. L'azienda punta su qualità, enoturismo e una cantina tra gli scavi di Pompei, trasformando difficoltà e diversità in valore e identità

Ecco il laboratorio del vino italiano che in Irpinia sfida clima, mercato e identità

LIrpinia oggi è molto più di un territorio di vini iconici: è un campo prova del futuro del vino italiano. Qui clima, agricoltura, mercato e identità non convivono, si scontrano. E proprio da questo attrito nasce un modello che nessun’altra zona del Paese può replicare. Altitudine, manualità eroica, vitigni che non assomigliano a nulla, vendemmie stravolte dal nuovo clima e una pressione economica che picchia più forte del sole d’agosto. A fare il punto è Antonio Capaldo, presidente di Feudi di San Gregorio, voce lucida in un momento in cui la viticoltura nazionale sembra spesso navigare a vista. Il suo racconto è quello di una terra complessa e spigolosa, ma capace di un’autenticità che diventa vantaggio competitivo.

Una terra di paradossi climatici

Quello irpino è un laboratorio del vino costruito anche attraverso alcun paradossi. Il primo è climatico. Da un lato il riscaldamento globale è una minaccia evidente; dall’altro, negli ultimi dieci anni, ha portato benefici inaspettati. «Noi siamo un territorio che pochi sanno che in realtà è un territorio di montagna, pur essendo nel Sud», spiega Capaldo, ricordando che le altitudini irpine hanno attenuato gli effetti più estremi del caldo. L’evoluzione climatica ha modificato radicalmente il calendario delle maturazioni: «Le vendemmie si sono anticipate, le stagioni autunnali sono più calde, e questo a noi ha portato vendemmie più facili». L’Aglianico - storicamente raccolto tra fine ottobre e inizio novembre - oggi raggiunge maturità fenoliche migliori già ai primi di ottobre: «Arrivare a una maturazione corretta delle uve era più difficile… ora abbiamo tannini più soffici e vini più pronti»

Ecco il laboratorio del vino italiano che in Irpinia sfida clima, mercato e identità

Quello irpino è un laboratorio del vino

La stessa dinamica ha interessato i bianchi. Greco e Fiano mantengono acidità elevate, ma con maggiore equilibrio: «Erano vini difficili nei primi mesi, oggi hanno ancora tanta freschezza ma una morbidezza diversa». Tuttavia la questione non si esaurisce qui. Se nel breve periodo la montagna irpina ha tratto vantaggi, nel lungo periodo le incognite restano: «Facevamo vendemmie a novembre, ora raccogliamo l’Aglianico l’8 ottobre: nel lungo periodo questo spaventa». Il problema vero, però, sono gli eventi estremi. La peronospora del 2022-2023 è stata una ferita profonda: «Piogge continue a maggio… non fanno parte della nostra storia». Il Greco, in particolare, ha sofferto condizioni mai viste. Nonostante tutto, la vendemmia 2025 è stata un segnale positivo.

Feudi di San Gregorio, una vendemmia bellissima

Capaldo si mostra particolarmente entusiasta della vendemmia 2025. «Bellissima la vendemmia di quest’anno. Il 2025 secondo me sarà un’annata memorabile per i vini della nostra terra, soprattutto per i bianchi. Non ricordo un’annata con la freschezza giusta: siamo arrivati a una maturità dell’uva perfetta. I vini sono ancora in fase di lavorazione, ma ho assaggiato dei campioni non chiarificati, le prime bozze, e mi colpiscono molto. È stata veramente una vendemmia di grande qualità».

In un contesto di mercato complesso e caratterizzato da un’offerta italiana estremamente ampia, Capaldo sottolinea l’importanza di valorizzare al meglio una vendemmia eccezionale. «Dobbiamo fare in modo di non "svinificarla": è inevitabile che dovremo cercare di venderla, ma non dobbiamo comprometterne la qualità perché è una vendemmia magica, anche in altre zone importanti del vino italiano, e a Taurasi si potrà fare un’annata 2025 davvero memorabile».

Irpinia, un territorio che vive in salita

Per rispondere alla variabilità crescente, Feudi ha intensificato gli studi agronomici in collaborazione con Università di Milano e Napoli. «Abbiamo lavorato molto sulle chiome, sulla protezione del frutto, soprattutto nel Greco», un vitigno dalla buccia sottile, sensibile sia all’irraggiamento diretto sia all’umidità. Da qui la scelta di valorizzare sistemi di allevamento tradizionali: «Il Guyot si sta un po’ remixando con la pergola bassa, per prendere il meglio dei due mondi». La ragione è tecnica ma anche pratica: l’orografia irpina non permette la meccanizzazione diffusa. «Da noi il Guyot non ha tutto questo senso… una pergola adattata è quella che protegge meglio anche dagli eventi estremi». Il ritorno alle forme antiche non è nostalgico, ma strategico. In un territorio dove ogni annata è diversa dall’altra, la resilienza delle strutture tradizionali rappresenta una risorsa. 

 

L’Irpinia è un territorio che vive in salita. La bellezza delle colline è la stessa che rende il lavoro agricolo complesso e poco replicabile. «Non abbiamo pianura, siamo completamente collinari, e questo comporta tanta manualità». Una manualità sempre più difficile da reperire: «La vendemmia 2025 è stata perfetta, ma con una difficoltà enorme a trovare persone nei giorni che servivano». I costi sono il problema più grande. «I costi dell’agricoltura aumentano più velocemente dei prezzi del vino: energia, lavoro, vetro, trasporti…». Il mercato italiano non segue la dinamica francese, dove i vini fermi vedono crescere i prezzi in modo costante. In più, la variabilità delle annate impedisce protocolli ripetibili. «Non esiste una vendemmia uguale alla precedente», sottolinea Capaldo. Le aziende devono costruire scorte, modulare le produzioni, compensare annate magre: «Magari in un anno produci il 30% in meno, ma devi sostenere comunque la struttura». È una viticoltura artigianale, fisica, eroica, e la sua sopravvivenza dipende sempre più dalle persone. Ma questa unione tra suolo, manualità e varietà di uve fa sì che l'Irpinia sia a tutti gli effetti un laboratorio del vino in Italia.

Feudi di San Gregorio, anima italiana, 

sguardo internazionale

A livello di numeri, Antonio Capaldo spiega che Feudi di San Gregorio realizza un fatturato annuo di circa 26-27 milioni di euro, di cui il 73% viene generato sul mercato italiano e il 27% all’estero. Di questo 27%, più di un terzo è destinato agli Stati Uniti. «Quindi gli Stati Uniti non rappresentano un mercato del 40% come per alcuni miei colleghi, però costituiscono un terzo dell’export, il 10% dell’azienda e comprendono anche bottiglie di particolare rilevanza,» puntualizza. Il numero totale di bottiglie prodotte si aggira intorno ai 3,2 milioni di media annua.

Ecco il laboratorio del vino italiano che in Irpinia sfida clima, mercato e identità

Feudi di San Gregorio: la cantina

«Il cliente italiano è diverso - spiega -: conosce i vini, conosce le marche, li apprezza, ma spesso non si mette in gioco e non cerca novità». All’estero, invece, la dinamica cambia. «Prima di tutto si assaggia, e bisogna rimettersi in discussione ogni volta. C’è apertura verso il nuovo, ma lo spazio commerciale è limitato. Negli Stati Uniti, ad esempio, una Falanghina al bicchiere la trovi su forse cinquecento locali», osserva Capaldo. L’incertezza internazionale ha segnato l’inizio dell’anno. «Per chi lavora su cicli lunghi come noi è complicato», spiega. «I partner anglosassoni ne hanno sofferto più di noi. Ora però, dopo l’estate, le relazioni si sono ristabilite e si lavora insieme per recuperare le posizioni di mercato». Preoccupano soprattutto l’appiattimento dei consumi e i prezzi elevati. «Dopo il Covid abbiamo alzato i prezzi per trasmettere qualità, ma oggi bisogna riflettere su ricarichi e alleanze. Alla fine conta che il cliente finale non si scoraggi davanti a un bicchiere di vino».

Quanto vale davvero un premio

Sul tema dei premi e dei riconoscimenti internazionali, Capaldo evidenzia l’importanza di questi strumenti, pur precisando che il loro impatto commerciale è subordinato a una strategia complessiva. «Io sono dell’idea che aiutino tutto, questa è la risposta generale. Poi è chiaro che oggi dobbiamo fare impresa, quindi c’è anche tanta soddisfazione personale nel riceverli,» afferma. Tuttavia, sottolinea che la conversione dei premi in vendite concrete è relativa e funziona solo se accompagnata da una strategia solida: un posizionamento di prezzo adeguato, una rete commerciale preparata e una distribuzione capillare. «Oggi il premio da solo non ha alcun effetto. È un elemento di racconto aggiuntivo. C’è stata una proliferazione, per cui restano due o tre riconoscimenti veramente importanti. Vent’anni fa da soli facevano molto, oggi da soli incidono poco, ma è chiaro che tutto il resto, cioè l’impresa, il radicamento commerciale, la qualità, deve essere realizzato comunque».

I premi, secondo Capaldo, svolgono anche una funzione motivazionale: «Chiaramente danno soddisfazione e incoraggiano, perché nel mondo del vino i cicli sono lunghi. Per fare un vino, per costruire una vigna, per definire un’impostazione produttiva, questo tipo di riconoscimento, anche se un po’ autocelebrativo in un contesto piccolo come il nostro, fa piacere perché è un incoraggiamento a continuare. Dici: stai facendo la cosa giusta. Io li vivo così, in maniera molto sportiva. A volte li prendi, a volte no, ma  le vendite non cambiano. Tuttavia se li prendi è un valore in più da raccontare e dà soddisfazione».

Investire (davvero) sull'enoturismo

Feudi di San Gregorio ha sottoscritto recentemente un bond da 5 milioni di euro. Un finanziamento che segue due direttrici, la prima delle quali porta direttamente all'enoturismo. «Abbiamo sempre avuto un ristorante e la cantina è sempre stata aperta 365 giorni all’anno, con percorsi di visita diversificati. Negli ultimi anni abbiamo aggiunto stanze da letto e potenziato lo staff. Crediamo sia un vettore importante di sviluppo».

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Feudi di San Gregorio punta sull'enoturismo

Il turismo del vino è una frontiera ancora aperta. Negli ultimi dieci anni sono stati fatti passi enormi, ma non basta. «Chi viene in Irpinia deve avere pazienza: non è un territorio immediato. Devi arrivarci apposta». E chi arriva resta stupito: «Non trovano la Campania che immaginavano: trovano montagne, boschi, castagneti, un clima fresco». Un’immagine alternativa che affascina, ma che richiede infrastrutture per diventare sistema. «Servono strade pubbliche, segnaletica, treni, collegamenti. Serve la politica», ribadisce Capaldo. Alcune aziende hanno investito molto in accoglienza di qualità, ma da sole non possono cambiare il destino di un territorio.

Pompei: il progetto archeologico e vitivinicolo

L’altro progetto significativo è la creazione di una cantina all’interno del Parco Archeologico di Pompei«Abbiamo vinto il bando e l’investimento sarà di circa due milioni di euro. Pianteremo buona parte dei vigneti già a gennaio, mentre continuiamo a definire la collocazione della cantina».  Un progetto che unisce agricoltura, archeologia e identità culturale. «È una grande opportunità perché ci permette di valorizzare i vitigni autoctoni - come Aglianico, Piedirosso, Greco e Fiano - e di esporre il nostro marchio in un luogo con milioni di visitatori», sottolinea Capaldo.

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Feudi di San Gregorio: il progetto Pompei entra nel vivo

«Oggi molti cercano di inserirsi nei circuiti turistici, ma noi possiamo farlo dove passa davvero la gente, trasformando il progetto in un’occasione per far conoscere i nostri vini su scala globale». «Quest’anno - dice ancora - nei vigneti dentro gli scavi abbiamo raccolto solo 500 kg, quindi poco. Il progetto vero e proprio richiederà 4-5 anni per mostrare risultati concreti, ma i suoli sono vulcanici e praticamente incontaminati da 2.000 anni, quindi di grande qualità».

L'Irpinia? Una nuova Borgogna

«Io credo - rimarca Capaldo - che in questo momento storico e nei prossimi 10-15 anni l’Irpinia abbia una grande opportunità. È una frase che si sente spesso, ma in questo caso è reale: dipende da noi produttori, soprattutto sui vini bianchi, una categoria in crescita e dove la concorrenza, con quella qualità, non è così forte. Possiamo intraprendere un percorso simile a quello della Borgogna, imponendo l’Irpinia come zona di eccellenza non solo per i vini bianchi, ma anche come territorio in cui ogni comune, ogni particella, ogni vigneto produce un vino diverso, grazie alla straordinaria diversità dei suoli».

Ecco il laboratorio del vino italiano che in Irpinia sfida clima, mercato e identità

Antonio Capaldo, presidente di Feudi di San Gregorio

«Oggi possiamo approfittare delle mille forme di comunicazione e della curiosità delle persone nel visitare il territorio per far capire che l’Irpinia non è solo qualità, ma anche varietà. Trenta anni fa questa diversità sarebbe stata considerata un elemento negativo, perché poteva apparire complicata: due varietà, due denominazioni, troppe differenze. Oggi, invece, è un vantaggio: in passato si tendeva a limare le differenze tra i vigneti per semplificare il posizionamento del territorio, mentre ora abbracciare le specificità è un valore aggiunto».

Vino irpino e la sfida del futuro

L’agricoltura globale sta cambiando più velocemente che mai. Tecnologia e clima procedono in direzioni opposte: una aumenta il controllo, l’altro lo sottrae. Capaldo immagina un futuro fatto di dualità: «Sarà un’agricoltura molto più scientifica, basata sui dati, sui sensori… ma allo stesso tempo molto più umana». La strada per il vino italiano, secondo lui, è una sola: specializzazione e identità. «Non possiamo competere con chi fa milioni di bottiglie a basso costo». La forza sta nella storia, nella biodiversità, nelle differenze: l’Irpinia, da questo punto di vista, è un laboratorio naturale. «Altitudine, complessità, biodiversità, clima quasi del Nord… se riusciamo a raccontarla bene, l’Irpinia ha un futuro straordinario davanti».

Ecco il laboratorio del vino italiano che in Irpinia sfida clima, mercato e identità

Quello irpino è un territorio vero, che va valorizzato

Il ritratto che ne esce non è quello di un territorio facile: è un territorio vero. Un luogo che non liscia le complessità ma le rende un punto di forza. Tra clima imprevedibile, costi che mordono e un mercato che cambia umore come il meteo di montagna, l’Irpinia sta costruendo un suo percorso: identitario, scientifico e profondamente umano. E se il vino italiano vuole un futuro che non sia l’ennesima corsa al ribasso, qui c’è una lezione da ascoltare. Perché l’Irpinia non è un marchio: è un metodo. Un metodo che potrebbe davvero diventare la Borgogna italiana - a patto che il sistema sappia finalmente valorizzarla.

Località Cerza Grossa 83050 Sorbo Serpico (Av)
Tel +39 0825 986675

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