“Troppo caro?” Dietro quel piatto al ristorante ci sono stipendi, luce...
e dignità
Dietro ogni piatto ci sono stipendi, affitti, energia e formazione: il food cost pesa solo un terzo del prezzo. Un ristorante non vende ingredienti, ma lavoro, accoglienza e cultura. E un piatto “caro” spesso è solo un piatto onesto. Ecco dove finiscono i soldi che spendiamo a tavola. Un’inchiesta per smontare i falsi miti sul “ricarico” dei ristoranti
Redattore
Il prezzo di un piatto al ristorante viene spesso percepito dal cliente come il semplice costo degli ingredienti moltiplicato per un “ricarico”. In realtà, un locale è un’impresa complessa, con costi fissi e variabili, obblighi fiscali e rischi imprenditoriali che incidono significativamente sul margine netto. Per i professionisti horeca, comprendere la reale composizione di un prezzo non è solo utile: è essenziale per garantire sostenibilità economica, competitività e qualità del servizio. Spesso sui social diventano virali gli scontrini di alcuni ristoranti, ma cosa c'è dietro al prezzo di un piatto? Anche perché un piatto “caro” non è sempre un furto. Spesso è solo un piatto che paga tutte le persone e i servizi che lo rendono possibile.
Il cliente compra un piatto, ma paga
un servizio complesso
Dietro ogni portata che arriva al tavolo c’è un mondo di competenze, organizzazione e responsabilità che raramente emerge sullo scontrino. Quando un cliente ordina un piatto, non sta semplicemente pagando un insieme di ingredienti cucinati: sta sostenendo un intero sistema produttivo e umano. Paga la formazione del personale, la cura di chi ogni giorno studia accostamenti, gestisce ordini e garantisce sicurezza alimentare. Paga il tempo al tavolo, che non è solo servizio, ma accoglienza, ascolto, ritmo del pasto e qualità dell’esperienza. Paga la pulizia, la sanificazione continua di spazi, stoviglie e ambienti, che garantiscono standard igienici e comfort visivo. Paga il comfort della sala, l’aria condizionata d’estate e il riscaldamento d’inverno, l’arredo, la musica di sottofondo, la luce che accompagna un bicchiere di vino. Paga il lavaggio dei piatti, l’energia per i forni, l’acqua per la cucina, i detersivi professionali, i costi di manutenzione delle attrezzature. Paga il vino servito alla giusta temperatura, che richiede celle, frigoriferi, bicchieri puliti e personale formato.
Ogni voce di questo elenco ha un costo, ma genera valore. Non sono “spese accessorie”, ma componenti essenziali dell’esperienza che rendono un pasto al ristorante qualcosa di irripetibile rispetto al semplice “mangiare a casa”. Un ristorante non vende “ingredienti cucinati”, ma esperienze organizzate: un ecosistema economico e sociale che impiega persone, paga fornitori, contribuisce con le tasse, e mantiene vivo il tessuto urbano. Ogni locale che accende le luci di sera sostiene l’artigianato alimentare, il turismo, la filiera del vino, il design, la formazione. Capire questo significa spostare la percezione dal “quanto costa” al “quanto vale”. Il giorno in cui il cliente lo capirà davvero, smetteremo di parlare di “ricarichi” e inizieremo a parlare di sostenibilità economica: quella che permette ai ristoratori di continuare a offrire qualità, occupazione e cultura gastronomica, senza dover sacrificare il valore umano dietro ogni piatto.
La composizione del prezzo: food cost e costi indiretti
Il food cost rappresenta solo una parte del prezzo di vendita. In un ristorante equilibrato, gli ingredienti incidono mediamente tra il 25 e il 35% del prezzo finale, mentre tutto il resto serve a coprire personale, affitti, utenze, energia, manutenzione, servizi accessori, commissioni sui pagamenti elettronici e IVA. Il margine operativo residuo, dopo tutte le spese, è spesso contenuto al 5-7%, dimostrando che il cosiddetto “ricarico del 400%” riguarda solo gli ingredienti e non il profitto reale.
Come sottolinea Luca Marchini, che ha diverse tipologie di locali (oltre al ristorante 1 Stella Michelin L'Erba del Re ha anche una trattoria e una pizzeria) «pesa di più il personale piuttosto che l'energia e si nota una differenza anche in base alla tipologia di offerta o ristorante. Io ho tre tipologie di attività nella stessa piazza, quindi percepisco queste differenze. In tutte le attività, la voce che incide maggiormente sul food cost è sempre il personale, tra il 38 e il 45%, quindi un’entità di costo estremamente importante, soprattutto perché le marginalità nella ristorazione sono sempre relative. Le altre voci a scalare sono energia e affitti, se presenti. In una trattoria, l'incidenza del personale è minore, ma pesano maggiormente le materie prime di qualità».

Cristina Cerbi dell'Osteria di Fornio di Fidenza (Pr), aggiunge: «La voce che incide di più è sicuramente il personale, soprattutto per garantire turni adeguati e premiare il lavoro nei weekend e nei giorni festivi. L'affitto incide meno nel nostro caso perché siamo un locale storico». Massimo De Matteis chef che nell'ultima stagione estiva ha lavorato al Robinson Club Apulia in Salento, evidenzia: «Durante la mia ultima esperienza, il food cost era fondamentale per mantenere un servizio ottimo. La voce principale era riferito alle materie prime, soprattutto pesce e molluschi come cozze e vongole, che hanno subito aumenti significativi. Il personale ha inciso, ma molto meno rispetto agli aumenti delle materie prime». Massimiliano Masuelli, dell'omonima trattoria di Milano, completa la visione: «Le voci principali che incidono sul prezzo di un piatto sono personale ed energia. Il resto, come digitalizzazione e sistemi di prenotazione, incide solo sulla marginalità e non sul costo diretto. La bravura del ristoratore è far quadrare conti e qualità».
Marginalità, stagionalità e utile netto
La marginalità reale dipende da fatturato, stagionalità e gestione dei costi. Marchini chiarisce: «Un utile netto del 5-7% è ancora realistico, ma dipende dalle attività, dal flusso di fatturato e dalla stagionalità. Affitti e utenze non cambiano con la stagione, quindi la media varia molto. In città come Modena, il costo degli affitti può influire sulla fattibilità di un'attività». Per Masuelli «rimanere nel 5-7% di utile netto è possibile ma difficile», mentre De Matteis rimarca: «Ottenere un utile netto del 5-7% oggi è più complicato, ma rimane il minimo necessario per sopravvivere in modo tranquillo e legale».
Rotazione dei piatti e gestione della marginalità
La gestione dei piatti e la loro rotazione è uno degli strumenti chiave per ottimizzare costi e margini. Luca Marchini sottolinea come «il concetto di piatto ad alta marginalità è spesso la soluzione migliore, perché permette di avere un costo della materia prima molto basso o una lavorazione ridotta, quindi meno impegno in termini di risorse umane. Tuttavia, a volte non è fattibile, e bisogna bilanciare qualità, costi e marginalità». Cristina Cerbi aggiunge che «con pochi posti, è utile bilanciare piatti ad alta marginalità e rotazione più veloce nello stesso menù, così da attirare diversi tipi di clienti», evidenziando l’importanza di un’offerta versatile anche in spazi ridotti.

De Matteis osserva che, nel particolare contesto dei villaggi vacanze, «si tende a mantenere un volume medio-alto di produzione e a comunicare ai clienti che gli aumenti dei prezzi servono a mantenere qualità e standard, soprattutto quando le materie prime aumentano», sottolineando come la rotazione e il volume siano strumenti per sostenere la qualità senza sacrificare il margine. Masuelli conclude: «Preferisco puntare sulla qualità e non sui volumi maggiori. La marginalità deriva dal food cost e dalla capacità di sviluppare bene il piatto senza gravare sul cliente».
Food cost: un’analisi per categorie
Analizzare il food cost in maniera dettagliata permette di capire dove intervenire per migliorare la redditività senza compromettere la qualità. Le carni e il pesce incidono maggiormente su piatti complessi e variano molto in base a stagionalità e mercato. Le verdure e gli ortaggi sono più stabili, ma soggetti a stagionalità e scarti. Pane, pasta e farine hanno costi relativamente bassi, ma è necessario considerare perdite e sprechi. Anche vino e bevande, pur avendo un costo diretto contenuto, incidono indirettamente attraverso rotture e gestione del servizio.
Il personale è la voce più significativa e può rappresentare tra il 30 e il 40% del fatturato. Con il nuovo contratto nazionale dei pubblici esercizi 2024-2027, il costo azienda tra salari e contributi è aumentato ulteriormente. Oltre al costo diretto, occorre considerare la formazione, la gestione dei turni e il turnover, che comporta costi aggiuntivi per selezione, formazione e riduzione temporanea della produttività. Investire nella gestione del personale e nella fidelizzazione interna non è solo un costo, ma un elemento strategico che migliora il servizio e riduce spese nascoste.
Differenze tra format: ristoranti, bistrot e pizzerie
Non tutti i locali operano con lo stesso modello economico. I ristoranti tradizionali hanno costi fissi elevati, menu più articolati e margini più bassi per piatto. Bistrot e locali informali possono proporre menu snelli, minori costi fissi e margini più alti su piatti semplici. Le pizzerie, invece, hanno margini unitari bassi, ma il volume elevato e il turnover rapido compensano il costo per unità. Capire il proprio format è fondamentale per pianificare prezzo medio, scontrino e strategia di vendita.
Menu planning e valore del piatto
La pianificazione del menu e la gestione della stagionalità sono strumenti chiave per ottimizzare costi e margini. L’uso di ingredienti stagionali più economici e freschi aiuta a ridurre sprechi. L’analisi dei piatti più redditizi e richiesti (menu engineering) e il calcolo del contributo lordo per piatto permettono di identificare quali piatti finanziano il margine complessivo. È fondamentale far percepire al cliente la qualità del servizio e il costo reale di ogni piatto. Marchini sintetizza: «Comunicare il perché del costo di un piatto è difficile. Chi è attento percepisce subito il valore, basato su materie prime, lavoro, affitti e struttura, mentre molti clienti si concentrano solo sulla cifra finale. È come comprare automobili: una BMW ha un valore diverso da una marca più economica».

Cerbi sottolinea: «Bisogna far percepire al cliente la qualità e la ricerca dell’esperienza senza sconvolgere il menu tradizionale. La trasparenza sui prezzi e la comunicazione della cura dietro ogni piatto sono fondamentali». De Matteis aggiunge: «Si tende a mantenere un volume medio-alto di produzione e a comunicare ai clienti che gli aumenti dei prezzi servono a mantenere qualità e standard, soprattutto quando le materie prime aumentano».
Quattro piatti, quattro verità
Per capire concretamente il concetto di costi e margini, ecco i valori aggiornati di alcuni piatti tipici:
Come si nota, il margine reale è molto più basso di quanto il cliente possa pensare e dipende dalla copertura dei costi di personale, affitti, utenze e altri servizi.
Affitti, utenze e investimenti strategici
L’equilibrio economico di un ristorante si basa su tre leve principali: personale, affitto e turnazione. In centro città, gli affitti possono arrivare a 200-300 euro per metro quadro annuo, aumentando il punto di pareggio. L’affitto rappresenta una delle voci più rilevanti per l’equilibrio economico di un ristorante, soprattutto in contesti urbani con canoni elevati. Luca Marchini osserva come «in città come Modena, il costo degli affitti può influire sulla fattibilità di un'attività», sottolineando l’impatto diretto sulla marginalità e sul punto di pareggio. Cerbi aggiunge: «L'affitto incide meno nel nostro caso perché siamo un locale storico».«L’affitto è un costo fisso che deve essere ottimizzato ma non può essere trascurato nella pianificazione finanziaria», secondo Masuelli.

Le bollette, soprattutto in locali energivori, restano significative. Investire in impianti efficienti e tecnologie di risparmio energetico riduce i costi nel medio-lungo periodo, ma richiede capitale iniziale e tempi di rientro. Marchini sottolinea ancora: «Gli investimenti sono una voce importante: parte della marginalità deve essere reinvestita per progetti futuri. Io includo sempre questi costi nel mio business plan per tutte le attività».
Pos, Iva e digitalizzazione dei pagamenti
Il dibattito sui costi dei POS è spesso amplificato. In realtà, l’1-2% di commissione incide poco sul totale della spesa, mentre l’IVA del 10% rappresenta un obbligo fiscale che il ristoratore incassa e versa allo Stato. La digitalizzazione dei pagamenti e dei flussi contabili aiuta a monitorare margini, sprechi e performance, diventando uno strumento indispensabile per il controllo gestionale. Un ristorante che incassa 100.000 euro di vendite, in realtà ne trattiene solo 90.000 effettivi, prima di pagare stipendi, bollette e affitti.

Marchini osserva: «Oggi non ci sono solo le commissioni dei Pos, ma anche i sistemi di prenotazione online che incidono discretamente sul costo finale. Questi sistemi tendono però a portare più clientela, aumentando il fatturato». Cerbi aggiunge: «I pagamenti digitali comportano commissioni, talvolta elevate. Questo deve essere considerato nella gestione dei costi».
Un prezzo consapevole, non casuale
Il prezzo di un piatto non è mai casuale. È il risultato di una gestione complessa che coinvolge risorse umane, logistica, investimenti, obblighi fiscali e comunicazione del valore. Comprendere queste dinamiche permette di migliorare la redditività, evitare decisioni basate su percezioni errate e garantire sostenibilità economica nel medio-lungo periodo. Parlare di “ricarichi esagerati” senza considerare costi fissi, personale e Iva distorce la realtà. La sfida è fare impresa con consapevolezza, offrendo al cliente valore reale e servizio di qualità, pur operando in un contesto competitivo e complesso. Un ristorante non vive di ricette, ma di persone. Dietro ogni piatto servito ci sono turni, bollette, affitti, investimenti e vite reali. Parlare di “piatti troppo cari” senza capire questo è come giudicare un libro dal prezzo di copertina. La ristorazione non è un passatempo: è una delle ultime imprese che ancora trasformano lavoro in cultura e cibo in dignità.


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