Pam e i tre licenziamenti
per il test del finto cliente:
cos’è e cosa dice la legge
Un ispettore ha nascosto piccoli prodotti tra la spesa per verificare l’attenzione dei cassieri. Il controllo ha portato al licenziamento di tre persone, aprendo un confronto su limiti, metodi e legalità di queste verifiche
Tre cassieri della catena Pam, uno a Siena e due a Livorno, sono stati licenziati dopo un controllo a sorpresa in cui un ispettore ha nascosto piccoli prodotti tra la spesa, arrivando persino a infilare un rossetto in una confezione di uova. È il cosiddetto test del “finto cliente”, uno strumento usato per verificare l’attenzione degli addetti in cassa e che in questo caso ha scatenato una protesta sindacale, aprendo una discussione più ampia sul modo in cui la grande distribuzione controlla il lavoro
Cos’è e come funziona il test del finto cliente
Per capire il contesto bisogna vedere da vicino come funziona questo meccanismo. Il mistery shopping, o test del cliente misterioso, è una pratica già diffusa in vari settori: un incaricato entra in negozio come un cliente qualsiasi, osserva come lavora il personale, valuta tempi, disponibilità, competenze, e alla fine consegna un report. Nella maggior parte dei casi è uno strumento di monitoraggio interno che serve a capire dove migliorare e a individuare eventuali criticità. Talvolta può emergere una violazione seria, ma il suo scopo non è quello di portare automaticamente a un licenziamento. L’idea, almeno teoricamente, è avere un quadro realistico del servizio offerto.
Il caso Pam e le critiche dei sindacati
Nel caso Pam, però, il test si è mosso su un terreno più insidioso. Secondo i sindacati, gli ispettori avrebbero infatti nascosto prodotti minuscoli in angoli paraticamente quasi impossibili da individuare: «Si parla ad esempio di rossetti o mascara nascosti in confezioni di uova, o merce infilata dentro cartoni del latte» spiegano da Filcams Cgil. Se il prodotto passava alla cassa senza essere rilevato, scattava la segnalazione dell’errore, che poi diventava la base del procedimento disciplinare.

Una pratica contestata non solo per la severità del risultato, ma anche per l’innaturalità del test: i ritmi di cassa sono sempre più veloci, i clienti chiedono rapidità e file più corte, e controllare ogni angolo del carrello in modo maniacale allungherebbe tempi che già oggi sono difficili da gestire.
Cosa dice la legge
A quel punto è sorta una domanda inevitabile: cosa permette davvero la legge in casi come questo? L’avvocato del lavoro Cesare Pozzoli, partner dello studio Chiello & Pozzoli, intervistato dal Corriere della Sera, richiama lo Statuto dei lavoratori e le norme del Tulps che regolano il ruolo di investigatori privati e vigilanza interna. «Il datore di lavoro può impiegare guardie giurate, ma la legge stabilisce che le guardie e gli investigatori non possono controllare occultamente fatti o comportamenti dei lavoratori se non per la tutela del patrimonio aziendale» ricorda.
Esiste quindi un margine quando si tratta di evitare furti, mentre questo margine non comprende il controllo nascosto della prestazione. «Il personale di vigilanza interno invece non può controllare i lavoratori in modo occulto. Ciò vuol dire che non è consentito controllare di nascosto la prestazione lavorativa dei singoli dipendenti: se rispettano l’orario di lavoro, quanto sono produttivi, e così via».
L’analisi giuridica sul caso Pam
Il caso Pam si colloca quindi in una zona grigia. Il confine tra controllo sui furti e controllo sulla produttività è sottile e può diventare oggetto di contenzioso. «Una volta ingaggiato un soggetto per controllare la prestazione di uno specifico lavoratore a fronte di un fondato sospetto, se questo venisse colto in flagrante a rubare beni aziendali ci sarebbero pochi dubbi: c’è infatti la tutela del patrimonio - argomenta. Ma il gesto di nascondere piccoli oggetti per verificare l’attenzione del dipendente fa del soggetto controllore un “agente provocatore”: in questo caso la legittimità del controllo è più dubbia».

Il primo nodo sarà stabilire se la prova su cui si basano i licenziamenti è utilizzabile o meno. Se non lo fosse, l’intero impianto disciplinare cadrebbe. Se lo fosse, il giudice dovrebbe passare alla valutazione successiva: la proporzione fra errore e sanzione. Conta la dimensione degli oggetti, conta il ritmo reale del lavoro in cassa, contano i turni e le condizioni pratiche del servizio. «Guardandola dal punto di vista della negligenza, il giudice può contestare la dimensione degli oggetti nascosti - continua Pozzoli -: se il cassiere non avesse notato il furto di prodotti di medio-grandi dimensioni si tratterebbe di una disattenzione molto più grave, rispetto alla “svista” su confezioni molto piccole». Peserà anche l’eventuale recidiva: ciò che è accaduto nei due anni precedenti, eventuali sanzioni passate, il comportamento complessivo.
Un caso che apre una questione più ampia
La vicenda, intanto, continua a far discutere perché mette a nudo una tensione che nella grande distribuzione esiste da tempo: si chiede velocità, precisione, controllo costante, mentre il tempo per fare tutto si assottiglia. Un rossetto nascosto nelle uova sembra un dettaglio da cronaca, e invece è diventato un caso nazionale che riporta al centro il tema del confine tra controllo e abuso. Una discussione destinata a crescere ben oltre le casse di Siena e Livorno.


Nessun commento:
Posta un commento