A RISCHIO
LE SCADENZE
DA CONSUMARSI
PREFERIBILMENTE
Una
proposta del consiglio dei Ministri dell’agricoltura (2014) a Bruxelles punta a
eliminare le date da alcuni alimenti per ridurre gli sprechi. Ma questa non è
la reale soluzione per il consumatore, che ha informazioni in meno
Quando si parla delle date di
scadenza, si tende a fare spesso confusione. A rendere le cose più complicate,
durante l’ultimo consiglio dei Ministri dell’agricoltura a Bruxelles si è
discussa la proposta avanzata da Olanda e Svezia di eliminare il termine minimo
di conservazione (quello che viene indicato come “da consumarsi preferibilmente
entro”) da alcuni cibi come pasta, riso, infusi, alimenti in scatola, conserve
di pesce, ma anche formaggi stagionati come il pecorino. Sostenuta anche da
Austria, Danimarca, Germania e Lussemburgo, la proposta avrebbe l’obiettivo di
ridurre gli sprechi.
Ma è davvero così?
Secondo alcune stime, solo il 40%
dello spreco alimentare in Europa avviene per mano dei rivenditori e dei
consumatori. Questo significa che il 60% del cibo viene sprecato di gran lunga
prima che raggiunga gli scaffali dei supermercati. Inoltre è stato dimostrato
che quasi l’80% del cibo che viene buttato appartiene al reparto degli alimenti
freschi come frutta e verdura, carne e latte: tutti cibi che non contengono
l’indicazione “preferibilmente entro” nella data di scadenza, oppure hanno
quella “entro”. Questo significa che eliminare l’indicazione “da consumarsi
preferibilmente entro” non garantirebbe una soluzione al problema. Per cercare
di ovviare al problema, si dovrebbe cercare di educare i consumatori a
distinguere in primis le differenze tra gli alimenti “da consumare entro” e
quelli che suggeriscono l’indicazione “preferibilmente”. Inoltre, il problema
dello spreco alimentare dovrebbe interessare e riguardare tutta la filiera di
produzione, non solo l’ultimo anello della catena.
«Preferibilmente» o «entro»: cosa
cambia
La presenza o meno
dell’avverbio “preferibilmente” cambia le cose e di grosso. Se c’è significa
che dopo quella data l’alimento è ancora commestibile, in alcuni casi anche per
mesi, e mangiandolo non si rischia alcun mal di pancia. Certo ne risentirà in
termini di gusto, aroma, colore e consistenza, e non avrà lo stesso apporto di
nutrimenti, ma rimane sicuro. Quanto in là possiamo spingerci rispetto a quanto
indicato in etichetta? Dipende dai casi ma, in linea di massima, più lungo è il
termine minimo di conservazione previsto per un determinato alimento e maggiore
sarà il margine di tolleranza. Per intenderci: il tonno in scatola, che dura
anni, se assunto tre mesi dopo la data indicata non avrà differenze
significative. Se abbiamo dubbi, comunque, prima di buttare, apriamo, odoriamo,
assaggiamo e decidiamo. Più attenzione richiedono gli alimenti maggiormente
deperibili (latte fresco, uova, yogurt, ricotta, pasta fresca...) che prevedono
l’indicazione “da consumarsi entro”: il termine è rigido, perché c’è in gioco
la salute. Questo non significa che dopo questa data scatta un meccanismo di
autodistruzione immediato: in alcuni casi è possibile una certa tolleranza,
sempre che il prodotto sia stato conservato correttamente.
Le multinazionali del settore si
accordano
Partendo
dal presupposto che modalità differenti per indicare le date di scadenza
dell’alimento possano generare confusione e portare il consumatore, in alcuni
casi, a gettare nella spazzatura cibo ancora buono e sicuro da mangiare, arriva
dal Consumer Goods Forum, un gruppo di 400 aziende internazionali, l’idea di
rivedere alcuni aspetti delle etichette alimentari in modo da renderle più
chiare e fare in modo che si evitino sprechi alimentari inutili (le ultime
stime parlano di circa 1,3 miliardi di tonnellate di alimenti che si gettano
via ogni anno nel mondo). Insieme a Champions 12.3 (coalizione costituita da
governi, imprese, organizzazioni internazionali, istituti di ricerca e società
civile per il raggiungimento dell’obiettivo SDG 12.3 sul cibo delle Nazioni
Unite), il gruppo ha approvato una “Call to Action” per standardizzare le
etichette dei prodotti alimentari entro il 2020.
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