domenica 1 aprile 2018

A RISCHIO LE SCADENZE DA CONSUMARSI PREFERIBILMENTE


 A RISCHIO 

LE SCADENZE

DA CONSUMARSI 
PREFERIBILMENTE






Una proposta del consiglio dei Ministri dell’agricoltura (2014) a Bruxelles punta a eliminare le date da alcuni alimenti per ridurre gli sprechi. Ma questa non è la reale soluzione per il consumatore, che ha informazioni in meno


Quando si parla delle date di scadenza, si tende a fare spesso confusione. A rendere le cose più complicate, durante l’ultimo consiglio dei Ministri dell’agricoltura a Bruxelles si è discussa la proposta avanzata da Olanda e Svezia di eliminare il termine minimo di conservazione (quello che viene indicato come “da consumarsi preferibilmente entro”) da alcuni cibi come pasta, riso, infusi, alimenti in scatola, conserve di pesce, ma anche formaggi stagionati come il pecorino. Sostenuta anche da Austria, Danimarca, Germania e Lussemburgo, la proposta avrebbe l’obiettivo di ridurre gli sprechi.
Ma è davvero così?
Secondo alcune stime, solo il 40% dello spreco alimentare in Europa avviene per mano dei rivenditori e dei consumatori. Questo significa che il 60% del cibo viene sprecato di gran lunga prima che raggiunga gli scaffali dei supermercati. Inoltre è stato dimostrato che quasi l’80% del cibo che viene buttato appartiene al reparto degli alimenti freschi come frutta e verdura, carne e latte: tutti cibi che non contengono l’indicazione “preferibilmente entro” nella data di scadenza, oppure hanno quella “entro”. Questo significa che eliminare l’indicazione “da consumarsi preferibilmente entro” non garantirebbe una soluzione al problema. Per cercare di ovviare al problema, si dovrebbe cercare di educare i consumatori a distinguere in primis le differenze tra gli alimenti “da consumare entro” e quelli che suggeriscono l’indicazione “preferibilmente”. Inoltre, il problema dello spreco alimentare dovrebbe interessare e riguardare tutta la filiera di produzione, non solo l’ultimo anello della catena.
«Preferibilmente» o «entro»: cosa cambia
La presenza o meno dell’avverbio “preferibilmente” cambia le cose e di grosso. Se c’è significa che dopo quella data l’alimento è ancora commestibile, in alcuni casi anche per mesi, e mangiandolo non si rischia alcun mal di pancia. Certo ne risentirà in termini di gusto, aroma, colore e consistenza, e non avrà lo stesso apporto di nutrimenti, ma rimane sicuro. Quanto in là possiamo spingerci rispetto a quanto indicato in etichetta? Dipende dai casi ma, in linea di massima, più lungo è il termine minimo di conservazione previsto per un determinato alimento e maggiore sarà il margine di tolleranza. Per intenderci: il tonno in scatola, che dura anni, se assunto tre mesi dopo la data indicata non avrà differenze significative. Se abbiamo dubbi, comunque, prima di buttare, apriamo, odoriamo, assaggiamo e decidiamo. Più attenzione richiedono gli alimenti maggiormente deperibili (latte fresco, uova, yogurt, ricotta, pasta fresca...) che prevedono l’indicazione “da consumarsi entro”: il termine è rigido, perché c’è in gioco la salute. Questo non significa che dopo questa data scatta un meccanismo di autodistruzione immediato: in alcuni casi è possibile una certa tolleranza, sempre che il prodotto sia stato conservato correttamente.

Le multinazionali del settore si accordano
Partendo dal presupposto che modalità differenti per indicare le date di scadenza dell’alimento possano generare confusione e portare il consumatore, in alcuni casi, a gettare nella spazzatura cibo ancora buono e sicuro da mangiare, arriva dal Consumer Goods Forum, un gruppo di 400 aziende internazionali, l’idea di rivedere alcuni aspetti delle etichette alimentari in modo da renderle più chiare e fare in modo che si evitino sprechi alimentari inutili (le ultime stime parlano di circa 1,3 miliardi di tonnellate di alimenti che si gettano via ogni anno nel mondo). Insieme a Champions 12.3 (coalizione costituita da governi, imprese, organizzazioni internazionali, istituti di ricerca e società civile per il raggiungimento dell’obiettivo SDG 12.3 sul cibo delle Nazioni Unite), il gruppo ha approvato una “Call to Action” per standardizzare le etichette dei prodotti alimentari entro il 2020.

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