senza tante parole
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senza dover utilizzare un preciso codice di terminologie. Il vino buono è quello che piace al consumatore
Non ho nulla contro i sommelier che talvolta “sdottoreggiano” troppo dall’alto di una scienza infusa. Il giudizio sul vino, però - penso io, da letterato - non è una scienza esatta e tutti possono dire la loro, senza dover confrontarsi con un preciso codice di terminologie. Il giudizio può variare all’infinito. Come ha dimostrato un produttore americano che ha fatto assaggiare per tre volte lo stesso vino, in modo anonimo ovviamente, a diversi esperti, in momenti diversi: nessuno degli “esperti” ha confermato il giudizio precedente, sempre un nuovo punteggio, più alto o più basso. Anche i degustatori professionisti sbagliano...
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Resta poi vero che un vino cambia all’assaggio sulla base di come è conservato, della occasione in cui si apre la bottiglia, della compagnia con cui si è (ma anche gustato da soli può dare molta soddisfazione).
Conclusione: il vino è quella bevanda che più di altre si può presentare in tante maniere diverse, quindi - ripeto - non esiste il “Verbo”, non cediamo a lunghi pistolotti descrittivi, non sentiamoci inferiori perché non riconosciamo la punta di liquirizia “calabra”, il sentore della mela “caduta dall’albero” o della sella di cavallo “bagnata”. L’importante è che piaccia a noi e siccome la scelta, nei ristoranti, è sempre più ampia, largo alle scelte anche coraggiose, perché il vino non finisce mai di stupire.
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