Ad Alba sulle tracce
del tartufo bianco,
il profumo che...
si mangia
Gli indirizzi giusti per soggiornare e per godere delle migliori tavole langarole, ma anche le esperienze da non perdere, tra avveniristici musei del vino e la fiera dedicata al tubero più prezioso al mondo. Alba e le Langhe sono una destinazione perfetta per tutto l'anno. I colori della stagione fredda le rendono però ancor più affascinanti
Carta d’identità: il più prezioso alimento in commercio. Prezzo base 2022: 6000 euro al chilo, che poi, calato nel piatto, significa 60 euro per impreziosire una portata della tradizione langarola. Nei ristoranti si pesa e si prezza “a parte”, per evitare equivoci con la clientela. Viene proprio da dire: questo è il tartufo bianco bellezza! E per le nostre tasche l’anno passato non andava tanto meglio, mentre il prossimo sarà certamente peggio.
Ma questo è anche il più originale ed esclusivo ingrediente della gastronomia internazionale, non solo il più costoso in assoluto. Persino Alain Ducasse – lo chef mito della nostra epoca, colui che ha collezionato più stelle della bandiera americana – alla mia domanda “monsieur, qual è il prodotto che ama più di ogni altro”, rispose, senza alcun dubbio: “il tartufo bianco di Alba, è unico, non c’è nulla che possa competere”.
Il tartufo bianco, tesoro delle Langhe
Il cambiamento climatico minaccia il tartufo
La stagione del tartufo nelle Langhe
Il tartufo da Enrico Crippa a Piazza Duomo
Come acquistare e conservare il tartufo
Itinerario autunnale nelle Langhe
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2 - Il bus a tappe
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Il tartufo bianco, tesoro delle Langhe
Per capire il suo fascino, e prima di aggirarsi nelle Langhe per incontrarlo, è indispensabile comprendere di cosa si tratta. Il suo nome scientifico è Tuber Magnatum Pico, ed è il corpo fruttifero di un fungo. Contrariamente alla più parte degli alimenti non si cucina, ma si aggiunge, affettato in sottilissime lamelle, ad alcuni piatti base, volutamente semplici, per non alterarne quella sottile alchimia tra profumo e sapore che ne garantisce il risultato memorabile. Perciò il tartufo bianco va ad impreziosire sostanzialmente quattro portate: il tajarin (finissimo tagliolino all’uovo), l’uovo strapazzato al burro, i formaggi freschi della tradizione piemontese, la carne cruda (solo molto leggermente condita) battuta al coltello. E basta, a casa come al ristorante. Chi sbaglia è un parvenu, o meglio uno zotico.
Ed il rito che lo accompagna ha qualcosa di fanciullesco e ancestrale: sniff sniff, gnam gnam. Come fanno i bambini, come fanno gli eroi dei bambini nei fumetti… Il tartufo incanta l’uomo dal 1600 a.C. (ai tempi dei Sumeri e del patriarca Giacobbe), proprio per questa irresistibile – e quasi infantile – accoppiata. Si annusa, piace, si mangia. E poi si ‘mangia il profumo’, perché il tartufo ha proprietà organolettiche e proteiche fondamentalmente pari allo zero.
Tartufo bianco d'Alba (foto Francesca Fumagalli)Il cambiamento climatico minaccia il tartufo
Questo assai volubile signore della cucina si fece definire il “Sancta Santorum della tavola” da Alexandre Dumas, mentre Lord Byron lo teneva sulla scrivania perché “quel profumo” ne stimolava la creatività. Sono leggende e glorie alimentari dure a morire, almeno si spera. Perché la crescita verticale dei prezzi potrebbe non arrestarsi. Così c’è qualcuno che ipotizza l’estinzione del tartufo bianco intorno al 2035. Quando un ristoratore di Alba (chissà quale?) proporrà “l’ultimo piatto col Tuber magnatum Pico”. Il cliente? Un americano, un indiano, al limite un tedesco, il prezzo dipenderà dall’Asta del tartufo, che vivrà la sua edizione definitiva… Da preoccuparsi? Certo si. Da piangere? Ancora no, perché la storia – come nella metafora della farfalla che batte le ali in Cina e crea un terremoto a Boston – prende corsi anche imprevisti, qualche volta salvifichi. Così la battaglia tra chi scomparirà prima – la copia cartacea del New York Time o il Tartufo bianco di Alba – attende ancora un vincitore, che potrebbe non arrivare mai.
Ma quali sono i pericoli? Il riscaldamento climatico (se fa troppo caldo il tartufo proprio “non esce”), la scarsa piovosità (il tartufo ama l’umido), la riduzione della superficie boschiva (il tartufo cresce selvatico proprio lì). Quindi sempre meno tartufi e prezzi sempre più alti.
Quest’anno poi sono cambiate le dimensioni, ovunque più piccole, quindi meno preziose. Pensate che trent’anni fa nei ristoranti di Alba si lavoravano sei chili per settimana, oggi un chilo e mezzo. E poi ci sono fattori meno appariscenti, ma altrettanto determinanti. Il Tuber Magnatum ha bisogno di un ecosistema ideale intorno a se, segnalandoci se un terreno è buono oppure no, dove ci sono dei problemi non cresce. Poi, per riprodursi, ha bisogno della presenza di volpi, lumache, tassi e topi; gli animali che trasportano le sue spore con le feci. Vi siete sei mai chiesto perché il tartufo profuma? Perché deve farsi trovare dal topo…
E poi il tartufo non si coltiva, ma si va a cercare, e non tutti sono in grado di farlo. Anzi, gli unici depositari della tradizione sono i leggendari trifolau (una sorta di società segreta), accompagnati dai loro indispensabili cani, gli annusatori per eccellenza. Soggetti imprescindibili della filiera, da sempre si aggirano in piazza con fare sospettoso, col prodotto ben nascosto e rivelato solo quando il prezzo diventa interessante. Sono rivali durissimi tra di loro, commercianti senza scrupoli, gelosi di tutto: il cane, le piste, i luoghi giusti. Il tartufo bianco si troverebbe ancora a dicembre inoltrato, ma con la prima neve tutti smettono di cercarlo. Perché? Semplice, sulla neve si vedono le tracce ed i rivali potrebbero seguirti, quindi tutti a casa.
La stagione del tartufo nelle Langhe
La stagione del tartufo bianco inizia ad ottobre per concludersi, a seconda degli anni, la prima o la seconda settimana di dicembre. E si celebra, con pochissime eccezioni limitrofe, nelle Langhe, a cavallo tra la provincia di Asti e quella di Cuneo. Territorio tutelato dall’Unesco occupa circa 1300 chilometri quadrati e rappresenta il comprensorio enogastronomico più ricco d’Italia, tra i maggiori d’Europa. Merito non solo del tartufo bianco ma dei vini Barolo e Barbaresco, i primi ad assicurare notorietà mondiale. Fama storicamente piuttosto recente, fino agli Anni Cinquanta questa era una zona sostanzialmente povera e avara di soddisfazioni per l’agricoltura. Raccontata da Cesare Pavese, in Paesi Tuoi, e da Beppe Fenoglio ne La Malora.
Alba, enogastronomia e arte
Dal vino e dalla cucina un riscatto memorabile, ma il carattere “langhetto” porta ancora tracce di quell’altro mondo, precedente: taciturno, diffidente, non sempre pronto al dialogo, assai oculato nelle scelte economiche, ritroso nei confronti della comunicazione, che affronta con fare circospetto. La storia, e l’economia delle Langhe, cambia con la generazione dei Barolo Boys (da vedere il film del 2014 col medesimo titolo) e col mito da importare – in particolare per Bruno e Marcello Ceretto – della Borgogna Felix.
Da più di vent’anni è proprio Casa Ceretto a segnare un passaggio dall’enologia verso altri scenari: ristorazione, arte, cultura, internazionalizzazione. Coi fattori in stretto e costante dialogo. Roberta Ceretto, presidente dell’azienda ci parla di un percorso unico nel panorama nazionale: «Nel corso degli ultimi vent’anni abbiamo intrapreso un viaggio per rendere più sostenibile per l’ambiente la nostra agricoltura, che ci ha portato a ottenere la certificazione biologica nel 2015. Insieme a Enrico Crippa, chef, siamo i soci fondatori del ristorante Piazza Duomo, unico tre stelle Michelin in Piemonte. Siamo mecenati delle arti, produttori di torrone, narratori di storie, venditori di vino. Siamo animati da una curiosità eclettica che non conosce confini. Da questa attitudine abbiamo iniziato ad operare nella cultura, nell’arte e nell’architettura, abbinando prima scrittori e giornalisti ad ogni nuova annata. Nel 1999, per caso come tante belle cose che succedono, nasce la passione e l’interesse per l’arte contemporanea con David Tremlett e Sol LeWitt, coinvolti alla cappella delle Brunate che ora tutti chiamano del Barolo. Negli anni, seguendo questo filone, si sono sviluppati progetti poi concretizzati in mostre di grande valore, che hanno portato artisti internazionali a esporre in una cittadina per loro inusuale come Alba. Protagonisti nel panorama dell'arte contemporanea - Anselm Kiefer, Francesco Clemente, Kiki Smith, Marina Abramovic, Patti Smith... - coi quali la famiglia instaura un sincero rapporto di amicizia che li rende i migliori ambasciatori del nostro territorio».
Enrico Crippa (foto Marina Spironetti)Il tartufo da Enrico Crippa a Piazza Duomo
A Piazza Duomo è iniziata la stagione del tartufo bianco, cosa propone Enrico Crippa?
Per noi si tratta di un momento di straordinaria importanza, dove ci connettiamo col prodotto emblematico del nostro territorio. I nostri due menu – Barolo e Viaggi – sono composti da otto portate e tutte possono essere impreziosite dal tartufo bianco, che viene condotto direttamente al tavolo, dove il cliente, prima del servizio, lo vede e lo sceglie. Il matrimonio tra tartufo bianco e vini di grande eccellenza può offrire momenti straordinari. E noi abbiamo due percorsi di pairing vino e un Nebbiolo Grand Tasting, con cinque referenze selezionate dal nostro sommelier Jacopo.
Ma, nello stesso edificio di Piazza Duomo, nel cuore di Alba, avete anche un locale tradizionale, fieramente ancorato ai sapori della tradizione. Tartufo bianco anche lì?
Assolutamente, ma in questo caso la carta parla del nostro territorio e delle sue ricette più classiche. Che qui proponiamo in un contesto immutabile. Pensa che non cambiamo il menu dal 2005. Vogliamo che i nostri clienti possano sempre trovare i tajarin ed i plin, l’insalata russa, la torta di nocciole e il bunet. Lo chef è Dennis Panzeri, però Enrico Crippa sovraintende a tutte le nostre attività legate al food. Enrico non è un nostro dipendente, ma un socio a tutti gli effetti, membro effettivo del progetto.
Nel percorso artistico e culturale che ruolo hanno i due ristoranti?
La loro è una funzione strettamente sinergica, I grandi nomi che hanno lavorato ed esposto per noi li hanno sempre frequentati, e sono stati coinvolti in serate a tema. Poi ci sono gli interventi mirati degli artisti che hanno arricchito i locali: Francesco Clemente a Piazza Duomo e Kiki Smirh alla Piola, dove ci sono anche dodici diversi piatti d’artista, altra bella connessione tra arte e sapori. I ristoranti sono una fonte di business, com’è logico, ma sono essi stessi strumento della nostra filosofia.
Va ancora ricordato che gli interventi culturali dei Ceretto sul territorio hanno prodotto opere dal segno iconico e contemporaneo. Oltre alla già citata Cappella del Barolo, meritano una visita l’estroso Cubo della Cantina di Bricco Rocche, con vista a 360° sulle vigne, e l’Acino della Tenuta Monsordo, navicella spaziale e panoramico balcone sulle Langhe, luogo deputato all’educazione e alla degustazione vinicola. IAT
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