«Anche quest’anno, come ogni anno, è l’evento più atteso, imperdibile» ha sottolineato Federico Bricolo, presidente di Veronafiere che, tra applausi e commozione per il successo della 57ª edizione del Vinitaly, ha aperto Grand Tasting “I diversamente autoctoni. Quando la scienza e la passione riscrivono le regole”. Siamo al piano meno 1, nella prestigiosa Sala Argento del PalaExpo, dove si è svolta una delle più importanti degustazioni che ha portato “in bicchiere” le eccellenze dei vini italiani celebrando le realtà capaci di riscrivere le regole dell’enologia, portando alla ribalta terroir considerati “minori” o inusuali, dove vitigni italiani o internazionali hanno trovato nuove espressioni. E dimostrando che l’eccellenza può nascere anche dove meno te lo aspetti.
Vitigni autoctoni, cosa significa
«Che significa autoctono?» È stato il quesito provocatorio, in apertura lavori, di Riccardo Cotarella, presidente Assoenologi, che, insieme con Luciano Ferraro, vicedirettore del Corriere della Sera, ha condotto la serata. «Più o meno, la parola autoctono, letteralmente, potrebbe rappresentare un vitigno che per un certo numero di anni produce in un territorio. Facendone quindi una questione di tempo - ha continuato Cotarella - Io però non sono d’accordo. Per me autoctono è un’altra cosa: autoctono è quel vitigno che riesce a esprimere nel migliore dei modi un territorio. A prescindere da quando è stato introdotto».
Per chiarire meglio il concetto, Cotarella, ha citato un esempio classico, quello di Bolgheri, oggi uno dei territori del vino più rinomati al mondo, grazie anche allo spirito avventuriero di Giacomo Tachis che ha introdotto, nel nostro Paese, varietà di uve internazionali come Cabernet Sauvignon e Chardonnay e che ha avuto certamente un ruolo fondamentale nella rivoluzione del vino italiano, contribuendo ad elevarne qualità e reputazione a livello mondiale. Così il re degli enologi ha aperto i lavori e ha dato inizio a Grand Tasting, uno degli eventi più prestigiosi del Vinitaly 2025, il cui obiettivo è stato quello di esprimere il concetto di “diversamente autoctno” ma soprattutto quello di esprimere la qualità dei vini in degustazione che il presidente di Assoenologi ha definito straordinari.
Ca’ del Bosco, innovare con buon senso
Ca’ del Bosco ha aperto la degustazione con Franciacorta Vintage Collection Dosage Ze´ro 2015, uno dei primi vini introdotti sul mercato, nel 1978, senza utilizzo dello sciroppo di dosaggio. Presentato da Maurizio Zanella come massima espressione del territorio franciacortino, ispirato dalle grandi maison della Champagne. Uno spumante che racconta purezza, precisione e un terroir unico.
«Ca’ del Bosco è un’azienda relativamente giovane - ha raccontato il vicepresidente - nasce negli anni ’70 e oggi dispone di un patrimonio viticolo di oltre 280 ettari gestiti tutti in certificazione organica e sulla viticoltura e sulla parte viticola, ha investito molto in termini di posizionamento di tutte le vigne cercando sempre delle posizioni privilegiate del nostro territorio. In termini enologici abbiamo agito in modo non convenzionale, innovando e facendo delle cose che spesso sono state discusse. La prima, forse quella che ha fatto più rumore, è stata quella di lavare l’uva per togliere i residui dei trattamenti organici, quindi appunto il rame, per avere dei grappoli più integri possibile». È dunque un’azienda che vuole raggiungere dei traguardi sempre più importanti e che cerca sempre di innovare con buon senso.
Ferrari, quando lo Chardonnay diventa un diversamente autoctono
Dalla cantina Ferrari, Marcello Lunelli ha raccontato come lo Chardonnay si sia affermato in Trentino, regalando al Trentodoc caratteristiche di finezza, struttura e longevita`, grazie a un microclima ideale e a una visione produttiva costante nel tempo. «Se lo Chardonnay è diventato un diversamente autoctono nel nostro Trentino - ha sottolineato il vicepesidente di Ferrari F.lli Lunelli S.p.A - lo dobbiamo a Giulio Ferrari che ha fondato la nostra azienda nel 1902 piantando dello Chardonnay che aveva osservato e apprezzato dai nostri vicini d’Oltralpe durante uno stage a fine ‘800. È diventato, dopo centoventi anni, una varietà che si contraddistingue per valorizzare le nostre bollicine che definiamo di montagna».
Coppo, Haas e Conte Vistarino: i volti del Pinot Nero
Giuditta Soldadino, per Coppo, ha evidenziato come Chardonnay e Pinot Nero, presenti in Piemonte da oltre un secolo, siano ormai parte del patrimonio locale: varieta` “importate” ma perfettamente radicate, capaci di grandi interpretazioni nei cru del Monferrato.
La cantina Franz Haas, con vigneti tra i 350 e i 900 metri di altitudine, ha puntato sul Pinot Nero, sfidando i limiti naturali della zona con un’agricoltura in alta collina, alla ricerca della massima espressione aromatica e complessita`. Conte Vistarino, storica azienda dell’Oltrepo` Pavese, ha ribadito il proprio ruolo nella nascita del Pinot Nero vinificato in rosso in Italia. Un’identita` forte, radicata nella storia, che guarda oggi a una nuova consapevolezza territoriale.
Valle Isarco, Poderi del Nespoli, Tenuta di Artimino Castello della Sala e Donnafugata: tra bianchi e rossi
Armin Gratl, direttore della Cantina Valle Isarco, ha portato in degustazione un Kerner, vitigno a bacca bianca di origine austriaca che trova nelle pendenze estreme dell’Alto Adige un habitat ideale. Un esempio emblematico di viticoltura eroica e cooperativa giovane ma ambiziosa. Dalla Valle del Bidente, nel primo Distretto Bio-Simbiotico d’Italia, Poderi dal Nespoli ha mostrato come le condizioni pedoclimatiche favorevoli possano garantire vini di grande qualita` in un contesto meno noto. Una viticoltura che coniuga sostenibilita`, innovazione e valorizzazione del territorio. Il Cervaro della Sala 2019 del Castello della Sala ha raccontato l’intuizione di creare un grande bianco da affinamento. Nasce cosi` il blend tra Chardonnay e Grechetto, frutto di approfondite conoscenze enologiche e sperimentazioni pionieristiche.
Con il Poggipie´, la Tenuta di Artimino ha presentato un Cabernet Franc coltivato da oltre tre secoli sui terreni della campagna toscana. Un vino che testimonia la lunga presenza di varieta` internazionali nella regione, adattatesi perfettamente nei secoli. Donnafugata ha proposto Tancredi 2014, blend di Cabernet Sauvignon, Nero d’Avola e Tannat. Un vino che incarna la forza del Nero d’Avola siciliano e l’eleganza delle varieta` internazionali, in un abbraccio armonico e potente.
Vergaia, Il Palagio, Duemani e San Guido: sfumature di Toscana
La giovane Tenuta Vergaia, fondata nel 2017 da Philipp Hildebrand, ha portato un progetto ambizioso e moderno. Situata vicino al Mar Tirreno, gode di un terroir variegato, influenzato dalle brezze marine e da un clima temperato ideale per una viticoltura di precisione. In Toscana, la Tenuta Il Palagio ha mostrato il potenziale del Valdarno, un territorio storicamente umido oggi rivalutato dal cambiamento climatico. Un’area che sta emergendo per eleganza e originalita` produttiva.
Ancora Toscana con Duemani, tra Riparbella e Castellina Marittima, che ha presentato Duemani, Cabernet Franc in purezza. Un vino potente e profondo, espressione di un equilibrio perfetto tra varieta` e territorio.
A chiudere, il mito: Sassicaia 2018 di Tenuta San Guido, il vino che ha cambiato la storia dell’enologia italiana. Nata dal sogno visionario di Mario Incisa della Rocchetta, l’etichetta e` oggi sinonimo di eleganza, longevita` e rispetto della terra.
Vitigni autoctoni, una degustazione lontano
dai luoghi comuni
Una degustazione che ha dimostrato come, anche lontano dai luoghi comuni del vino, si possano trovare emozioni autentiche, grandi storie e un’idea di futuro fondata sulla scienza, sulla passione e sulla capacita` di visione.
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