Non sprecare cibo si può,
ma serve una legge ad hoc (chiara)
Le mense scolastiche scarterebbero circa il 50% del cibo prodotto giornalmente
e quantitativi importanti finiscono nei rifiuti anche nei bar e nei ristoranti. E in generale lo spreco alimentare sarebbe almeno analogo fra pubblici esercizi e famiglie. Un motivo più che sufficiente per spingere la Fipe a chiedere nuove norme che ne facilitino un recupero per destinarlo a scopi sociali. Stiamo parlando di alimenti freschi, non confezionati e deperibili che, pur essendo ancora in buono stato e fruibili, non sono più adatti per essere serviti alla clientela del fuori casa, ma che potrebbero invece essere facilmente consegnati ad associazioni del terzo settore, enti caritatevoli, mense, comunità assistite e persone in condizioni disagiate.
In verità molti ristoratori già si muovono in questa direzione e consegnano giornalmente cibo invenduto a istituzioni benefiche, anziché distruggerlo. Ma questo oggi avviene su basi volontarie e in presenza di una normativa che, visto che siamo in Italia, potrebbe anche fare scattare delle sanzioni. Da qui la necessità di una legge ad hoc che semplifichi un passaggio che per molti sembra scontato e banale, ma che purtroppo così non è. Senza contare il forte impatto etico, oltre che economico.
Sprecare non è mai bello e in tempi di ristrettezze economiche lo è ancora di meno. Se poi, invece che buttare via del cibo non consumato, lo si destina a chi ne ha veramente bisogno, si dovrebbe fare una corsia di urgenza per questa decisione in parlamento. Non possiamo quindi che auspicare che l’iniziativa di Fipe abbia successo.
Ci permettiamo solo di consigliare perché qualcuno vigili, affinché la norma oltre a giusti sgravi fiscali, preveda anche sanzioni pesantissime a chi dovesse speculare su questi trasferimenti di cibo. Purtroppo siamo in Italia e considerando che un esercizio pubblico su dieci farebbe capo oggi alla criminalità (che nell’agroalimentare si sta espandendo a macchia d‘olio), cerchiamo di evitare nuovi illeciti su una questione come questa.
e quantitativi importanti finiscono nei rifiuti anche nei bar e nei ristoranti. E in generale lo spreco alimentare sarebbe almeno analogo fra pubblici esercizi e famiglie. Un motivo più che sufficiente per spingere la Fipe a chiedere nuove norme che ne facilitino un recupero per destinarlo a scopi sociali. Stiamo parlando di alimenti freschi, non confezionati e deperibili che, pur essendo ancora in buono stato e fruibili, non sono più adatti per essere serviti alla clientela del fuori casa, ma che potrebbero invece essere facilmente consegnati ad associazioni del terzo settore, enti caritatevoli, mense, comunità assistite e persone in condizioni disagiate.
In verità molti ristoratori già si muovono in questa direzione e consegnano giornalmente cibo invenduto a istituzioni benefiche, anziché distruggerlo. Ma questo oggi avviene su basi volontarie e in presenza di una normativa che, visto che siamo in Italia, potrebbe anche fare scattare delle sanzioni. Da qui la necessità di una legge ad hoc che semplifichi un passaggio che per molti sembra scontato e banale, ma che purtroppo così non è. Senza contare il forte impatto etico, oltre che economico.
Sprecare non è mai bello e in tempi di ristrettezze economiche lo è ancora di meno. Se poi, invece che buttare via del cibo non consumato, lo si destina a chi ne ha veramente bisogno, si dovrebbe fare una corsia di urgenza per questa decisione in parlamento. Non possiamo quindi che auspicare che l’iniziativa di Fipe abbia successo.
Ci permettiamo solo di consigliare perché qualcuno vigili, affinché la norma oltre a giusti sgravi fiscali, preveda anche sanzioni pesantissime a chi dovesse speculare su questi trasferimenti di cibo. Purtroppo siamo in Italia e considerando che un esercizio pubblico su dieci farebbe capo oggi alla criminalità (che nell’agroalimentare si sta espandendo a macchia d‘olio), cerchiamo di evitare nuovi illeciti su una questione come questa.
Aberto Lupini direttore
ITALIAATAVOLA
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