del cibo europeo
Olanda e Svezia, con il sostegno di Austria, Germania, Danimarca e Lussemburgo, vogliono chiedere l’esenzione dell'obbligo
di indicare in etichetta il termine minimo di conservazione per prodotti come pasta, riso e caffè
Con l’eliminazione della “data di scadenza” l’Unione europea taglia di fatto la qualità del cibo in vendita in Europa che con il passare del tempo perde le proprie caratteristiche nutrizionali in termini di contenuto in vitamine, antiossisidanti e polifenoli che fanno bene alla salute, ma anche quelle le proprietà organolettiche, di fragranza e sapore dal quale deriva il piacere di stare a tavola. È l’allarme lanciato dalla Coldiretti in riferimento alla riunione di Consiglio agricoltura in cui si affronteranno le proposte delle delegazioni di Olanda e Svezia che con il sostegno dell’Austria, Germania, Danimarca e Lussemburgo chiedono l’esenzione dell'obbligo di indicare in etichetta il termine minimo di conservazione “da consumarsi preferibilmente prima” per prodotti come pasta, riso e caffè, attraverso l’estensione dell’allegato X del regolamento Ue 1169/2011.
Si tratta del solito tentativo dei Paesi del Nord Europa di livellare il cibo sulle tavole europee ad uno standard di qualità inferiore al nostro con la scusa di tagliare gli sprechi alimentari che nell’Unione europea hanno raggiunto il quantitativo record di 89 milioni di tonnellate di cibo.
In realtà con la crisi si è registrata una storica inversione di tendenza e quasi tre italiani su quattro (73%) hanno tagliato gli sprechi a tavola nel 2013, secondo l’indagine Coldiretti/Ixè. Tra questi, l’80% fa la spesa in modo più oculato magari nei mercati degli agricoltori di Campagna Amica dove i prodotti sono più freschi e durano di più, il 37% guarda con più attenzione la data di scadenza e il 26% ha ridotto le dosi acquistate, ma sono il 56% quelli che riutilizzano quello che avanza.
Punton del Sorbo fattoria Mantellassi |
La tentazione di mangiare cibi scaduti per non sprecare non deve andare a scapito della qualità dell’alimentazione in una situazione in cui molti cittadini sono costretti a risparmiare sulla spesa privandosi di alimenti essenziali per la salute o rivolgendosi a prodotti a basso prezzo che non sempre offrono le stesse garanzie qualitative come dimostra il fatto che le vendite dei cibi low cost nei discount alimentari sono le uniche a far segnare un aumento consistente nel commercio al dettaglio in Italia con un +2,9%, secondo le elaborazioni Coldiretti su dati Istat.
Il Termine minimo di conservazione (Tmc) ha un suo significato ed è stato introdotto a garanzia dei consumatori anche se differisce dalla data di scadenza vera e propria. Il Termine Minimo di Conservazione (Tmc) riportato con la dicitura “Da consumarsi preferibilmente entro“ indica la data fino alla quale il prodotto alimentare conserva le sue proprietà specifiche in adeguate condizioni di conservazione. Cioè indica soltanto la finestra temporale entro la quale si conservano le caratteristiche organolettiche e gustative, o nutrizionali, di un alimento, senza con questo comportare rischi per la salute in caso di superamento seppur limitato della stessa. Si sottolinea però che tanto più ci si allontana dalla data di superamento del Tmc, tanto più vengono a mancare i requisiti di qualità del prodotto, quale il sapore, odore, fragranza, ecc.
Differisce quindi dalla data di scadenza vera e propria che è la data entro cui il prodotto deve essere consumato ed anche il termine oltre il quale un alimento non può più essere posto in commercio. Tale data di consumo non deve essere superata altrimenti ci si può esporre a rischi importanti per la salute. Si applica ai prodotti preconfezionati, rapidamente deperibili da un punto di vista microbiologico ed è indicata con il termine “Da consumarsi entro” seguito dal giorno, il mese ed eventualmente l’anno e vale indicativamente per tutti i prodotti con una durabilità non superiore a 30 giorni.
Amarone della Valpolicella delle cantine Tommasi |
Il risultato è ad esempio che per l’olio d’oliva extra vergine alcune aziende consigliano il consumo entro 12 mesi, altre superano i 18, con il rischio di perdere le caratteristiche nutrizionali e di gusto secondo studi del dipartimento di Scienze e tecnologie alimentari e microbiologiche dell’università di Milano. Tali ricerche evidenziano come gli effetti del mancato rispetto dei tempi di scadenza variano da prodotto a prodotto: per lo yogurt, che dura 1 mese, il prolungamento di 10-20 giorni non altera l’alimento, ma riduce il numero dei microrganismi vivi, mentre al contrario per i pomodori pelati quasi tutte le confezioni riportano scadenze di 2 anni anche se la qualità sensoriale è certamente migliore se si consumano prima
Italiaatavola
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