Snobbato dalle guide e poco apprezzato persino nel suo stesso
territorio,
il Pignoletto era fino a pochi anni fa un personaggio enologico
in cerca d’autore. Un ‘frizzantino’ difficile da trovare persino
nei bar bolognesi all’ora dell’aperitivo. Un quadro aggravato dalla
endemica litigiosità/rivalità dei produttori dei Colli bolognesi, più
impegnati a fare rossi francofoni (merlot, cabernet) che bianchi, e
divisi al loro interno al punto da dar luogo a una scissione all’interno
del Consorzio.
Memorie dal sottosuolo…in pochi anni è cambiato tutto.
Il vitigno tipico delle colline attorno alla città delle
Due Torri ha beneficiato del ritorno sulla scena della moda dei
bianchi e in particolare delle bollicine con un buon rapporto qualità/
prezzo. Ottima base per spumanti metodo Charmat, magari in
abbinata col chardonnay, il Pignoletto si è scoperto vino versatile,
ottimo per aperitivi ma pure da accostare a preparazioni culinarie
anche impegnative (tortellini, lasagne, cotoletta alla petroniana). Il boom del prosecco ha fatto da traino anche per il fratello minore bolognese che ha dalla sua un prezzo più accessibile a parità di
qualità. Sono cominciate a circolare numerose versioni spumantizzate, attirando l’interesse dei grandi produttori di bollicine da Modena
e dalla Romagna, anche con investimenti diretti nel territorio dei Colli. Il primo segnale di una inversione di tendenza fu il primo premio al concorso enologico del Vinitaly a un Pignoletto frizzante targato Cevico proveniente da Imola. Intanto i produttori bolognesi si impegnavano sempre di più sulla qualità anche della versione ferma (il Pignoletto ‘classico’) con la richiesta e l’ottenimento nel
2011 della Docg. Quantità limitate ma di buona espressività territoriale
e così arriva anche il primo 3 bicchieri della storia sui Colli bolognesi a una bottiglia della cantina Orsi San Vito. Siamo ai giorni nostri. Gli interessi sul Pignoletto sono tanti, anche in conflitto fra
loro, anche da fuori regione. Il bianco bolognese può diventare il più importante bianco in una regione dominata
dal dualismo rosso Lambrusco-Sangiovese. Bisogna però non farsi scippare l’origine, trasformare cioè quello che è un vinovitigno,
dunque coltivabile ovunque, in una denominazione legata a un territorio. Si “scopre” - consultando antiche carte e mappe – la località Pignoletto in Comune di Monteveglio e decolla il progetto
delle due denominazioni Pignoletto: la nuova Doc da 8 milioni
di bottiglie che farà riferimento a 5 province (Bologna, Ferrara,
Modena, Reggio e Forlì-Cesena) con la sola limitazione della Docg Pignoletto (oggi limitata al ‘classico’ ma in futuro sarà chiesta anche per la versione frizzante) al territorio dei Colli bolognesi. Blindate le denominazioni, resta il problema di dare spessore e visibilità a un vino che – proprio grazie anche al suo successo di vendite nella Gdo – rischia la banalizzazione. Le denominazioni tutelano il prodotto, ma ora spetta ai Consorzi lavorare con intelligenza su un progetto di promozione per far conoscere il ‘vero’ Pignoletto almeno ai ristoratori italiani. A partire da quelli bolognesi.
Lorenzo Frassoldati
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