Antonio Fiabane
Torna di moda
il binocolo
Se vi dicessi, così, a brutto pelo, Federico Stragà? Se per caso ve lo ricordate,
e non lo confondete con il più noto Tricarico, sicuramente vi torneranno alla mente un paio di hit di inizio anni 2000: L’astronauta e Cigno macigno. Quei pezzi - dài che, se avete più di trent’anni, ora cominciate a canticchiarli- pur caratterizzati da un’indiscutibile impronta pop, erano però toccati da una certa grazia di sbilenca genialità. Bene, l’autore di quelle canzoni è proprio Antonio Fiabane, uno che era partito da lontano, dagli anni ’80: aveva lavorato con Shel Shapiro, aveva visto naufragare un primo album, già quasi pronto, tra i rovesci della discografia e aveva poi vissuto di riflesso la momentanea notorietà di Stragà, interessante personaggio (da riscopire assolutamente il suo Click here) poi bruciato dallo sciagurato duetto sanremese con Anna Tatangelo. Il nostro Fiabane si è poi ritirato momentaneamente dietro le quinte (un po’ di produzione, un po’ di teatro) in attesa di tempi migliori. E’ alla fine i tempi migliori sono arrivati: tre anni dopo il suo non ancora perfettamente a fuoco esordio da solista (Riconosci i tuoi santi, 2012), viene alla luce, sembrerebbe da un altrove spazio-temporale, questo Torna di moda il binocolo, ed è, diciamolo subito, un gioiello.
Per convincervene, non vi resta che prendere il CD (in momentanea alternativa potete trovare l’album disponibile in streaming in rete) e spingere PLAY. PartiràCàtaro, singolo, a dispetto del titolo ostico, molto catchy che flirta con il Fossati a cavallo tra ’80 e ’90 (quello all’altezza di “Vola” per capirsi): ciò nonostante verrete rapiti dalla sua assoluta originalità, da quell’incedere pop dell’arrangiamento, e poi da quelle voci bambine a cui in sostanza è demandato il ritornello, e da un testo che, per allusioni e sottintesi, rimanda a un assoluto bisogno di fuga e purezza.
Otto canzoni (sezione aurea della grande stagione della musica che fu) per un disco che è, nel suo complesso, un atto di fede enorme e commovente, oggidì, verso quella forma d’arte che ci ostiniamo a chiamare “Canzone”, una fede che prescinde da ogni confronto con la scena contemporanea: non è il pop iperprodotto costruito frullando orwellianamente le stesse 60 parole, non è esattamente la canzone d’autore da salotto amata da barbuti nostalgici orfani, pòri lelli, di De Andrè e Guccini, non è certo lo spigliato songwriting indie giovanilista.Torna di moda il binocolo è un disco fuori da questo tempo, un lavoro che ci scaraventa negli anni ’80 (ascoltate per esempio Bellestati), ma non, attenzione!, come sono effettivamente stati - generalmente una ignobile robaccia tasti erosa - piuttosto come avrebbero potuto e dovuto essere quegli anni. E finalmente, dopo le tonnellate di sax patinato che all’epoca ci hanno rovesciato addosso i dischi di Bennato e Venditti, ecco spuntare in questo disco, un sax, quello di Gigi Golfetto, che inaspettatamente ci commuove. Come ci fa commuovereAlbertosi (“E l'alba che si appoggia/ sui pali della porta/ arrivano le bombe/ son sassi dalle fionde/ ma io non schivo: paro”), omaggio a un campione apparentemente minore del calcio d’antan, una delle più belle canzoni dedicate al football dai tempi della “leva calcistica” di degregoriana memoria, con quella polverosa solitudine del portiere che non può che ricordare Umberto Saba.
Otto canzoni, dicevamo, baciate da una miracolosa simbiosi parole/musica/arrangiamento. Tra tutte, impossibile non citare ancora la malinconica Estate 1993 (i Baustelle, ricorderete, hanno invece cantato “L’estate dell’83”: magico richiamo delle tronche?), Amatori (“Vabbè l’età, l’età/ quanta fatica fa/ a farsene un’età/ la gioventù”), la disillusa La moda del binocolo (“Prendevo la corriera/ il treno e la corriera/ per venire a vederti vivere”).
Va detto infine che un ruolo assolutamente prezioso nella resa di questo disco l’ha avuta la coproduzione artistica (e il grande gusto da musicista) di Fabio De Min dei Non voglio che Clara, gruppo che fin dagli esordi non ha mai fatto mistero della sua retromania. Basculando tra storie d’amore e solitudine, Antonio Fiabane corre all’indietro, guarda alla vita da entrambi i lati di un binocolo che avvicina le cose lontane e allontana quelle vicine, in un tabucchiano gioco del rovescio. Torna di moda il binocolo è un meraviglioso LP da portare con noi a lungo, da far ascoltare agli amici, da mettere nell’autoradio nei tramonti estivi, quando il sole basso arrossa i nostri specchietti e i nostri cuori.
Foto di Adriano Barioli
e non lo confondete con il più noto Tricarico, sicuramente vi torneranno alla mente un paio di hit di inizio anni 2000: L’astronauta e Cigno macigno. Quei pezzi - dài che, se avete più di trent’anni, ora cominciate a canticchiarli- pur caratterizzati da un’indiscutibile impronta pop, erano però toccati da una certa grazia di sbilenca genialità. Bene, l’autore di quelle canzoni è proprio Antonio Fiabane, uno che era partito da lontano, dagli anni ’80: aveva lavorato con Shel Shapiro, aveva visto naufragare un primo album, già quasi pronto, tra i rovesci della discografia e aveva poi vissuto di riflesso la momentanea notorietà di Stragà, interessante personaggio (da riscopire assolutamente il suo Click here) poi bruciato dallo sciagurato duetto sanremese con Anna Tatangelo. Il nostro Fiabane si è poi ritirato momentaneamente dietro le quinte (un po’ di produzione, un po’ di teatro) in attesa di tempi migliori. E’ alla fine i tempi migliori sono arrivati: tre anni dopo il suo non ancora perfettamente a fuoco esordio da solista (Riconosci i tuoi santi, 2012), viene alla luce, sembrerebbe da un altrove spazio-temporale, questo Torna di moda il binocolo, ed è, diciamolo subito, un gioiello.
Per convincervene, non vi resta che prendere il CD (in momentanea alternativa potete trovare l’album disponibile in streaming in rete) e spingere PLAY. PartiràCàtaro, singolo, a dispetto del titolo ostico, molto catchy che flirta con il Fossati a cavallo tra ’80 e ’90 (quello all’altezza di “Vola” per capirsi): ciò nonostante verrete rapiti dalla sua assoluta originalità, da quell’incedere pop dell’arrangiamento, e poi da quelle voci bambine a cui in sostanza è demandato il ritornello, e da un testo che, per allusioni e sottintesi, rimanda a un assoluto bisogno di fuga e purezza.
Otto canzoni (sezione aurea della grande stagione della musica che fu) per un disco che è, nel suo complesso, un atto di fede enorme e commovente, oggidì, verso quella forma d’arte che ci ostiniamo a chiamare “Canzone”, una fede che prescinde da ogni confronto con la scena contemporanea: non è il pop iperprodotto costruito frullando orwellianamente le stesse 60 parole, non è esattamente la canzone d’autore da salotto amata da barbuti nostalgici orfani, pòri lelli, di De Andrè e Guccini, non è certo lo spigliato songwriting indie giovanilista.Torna di moda il binocolo è un disco fuori da questo tempo, un lavoro che ci scaraventa negli anni ’80 (ascoltate per esempio Bellestati), ma non, attenzione!, come sono effettivamente stati - generalmente una ignobile robaccia tasti erosa - piuttosto come avrebbero potuto e dovuto essere quegli anni. E finalmente, dopo le tonnellate di sax patinato che all’epoca ci hanno rovesciato addosso i dischi di Bennato e Venditti, ecco spuntare in questo disco, un sax, quello di Gigi Golfetto, che inaspettatamente ci commuove. Come ci fa commuovereAlbertosi (“E l'alba che si appoggia/ sui pali della porta/ arrivano le bombe/ son sassi dalle fionde/ ma io non schivo: paro”), omaggio a un campione apparentemente minore del calcio d’antan, una delle più belle canzoni dedicate al football dai tempi della “leva calcistica” di degregoriana memoria, con quella polverosa solitudine del portiere che non può che ricordare Umberto Saba.
Otto canzoni, dicevamo, baciate da una miracolosa simbiosi parole/musica/arrangiamento. Tra tutte, impossibile non citare ancora la malinconica Estate 1993 (i Baustelle, ricorderete, hanno invece cantato “L’estate dell’83”: magico richiamo delle tronche?), Amatori (“Vabbè l’età, l’età/ quanta fatica fa/ a farsene un’età/ la gioventù”), la disillusa La moda del binocolo (“Prendevo la corriera/ il treno e la corriera/ per venire a vederti vivere”).
Va detto infine che un ruolo assolutamente prezioso nella resa di questo disco l’ha avuta la coproduzione artistica (e il grande gusto da musicista) di Fabio De Min dei Non voglio che Clara, gruppo che fin dagli esordi non ha mai fatto mistero della sua retromania. Basculando tra storie d’amore e solitudine, Antonio Fiabane corre all’indietro, guarda alla vita da entrambi i lati di un binocolo che avvicina le cose lontane e allontana quelle vicine, in un tabucchiano gioco del rovescio. Torna di moda il binocolo è un meraviglioso LP da portare con noi a lungo, da far ascoltare agli amici, da mettere nell’autoradio nei tramonti estivi, quando il sole basso arrossa i nostri specchietti e i nostri cuori.
Foto di Adriano Barioli
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