Il turismo della Toscana cresce seguendo le rotte del gusto e delle Dop
Non è solo la bellezza dei paesaggi a muovere i turisti, ma la forza di un territorio che ha fatto del cibo un linguaggio identitario. In Toscana, la Dop Economy diventa esperienza: dagli agriturismi ai piccoli produttori , il turismo si intreccia con il gusto e ne amplifica il valore sociale ed economico
Mutuassimo dalla fisica, parleremmo di Mua (Moto uniformemente accelerato). Vero è che non sapremmo dire con certezza se l’accelerazione è uniforme, ma altrettanto vero è che comunque c’è, esiste. Di cosa stiamo parlando? Stiamo parlando dello stato di rigogliosa salute del comparto agroalimentare della Toscana. Limitatamente al comparto cibo, con 32 prodotti tra Dop e Igp, la regione fa registrare un valore della produzione pari a 192 milioni di euro (+7,4% su base annua). L’analisi sui 32 prodotti fa riscontrare una mezza dozzina di prodotti che da soli valgono l’88% del valore complessivo: Cantuccini toscani Igp, Finocchiona Igp, Olio toscano Igp, Pecorino toscano Dop, Prosciutto toscano Dop, Vitellone bianco dell’Appennino centrale Igp.
Toscana, i numeri del comparto agroalimentare
La Superficie agricola utilizzata (Sau) ammonta a quasi 560mila ettari, pari a circa un quinto del territorio regionale. La numerica delle aziende è considerevole: quasi 42mila imprese agroalimentari. Di queste, circa il 30% sono a conduzione femminile e circa il 7% vedono al timone gli under 35. Inoltre, l’incidenza dell’agricoltura bio è di circa il 36%, dacché sono circa 237mila gli ettari coltivati a biologico. Sono dieci i distretti biologici, quattro dei quali di nuova istituzione, a testimonianza della diffusione di modelli produttivi sostenibili e della sinergia tra agricoltura, ambiente e comunità locali.
Spunto di riflessione: questi risultati così positivi sono la radiosa conseguenza dei flussi turistici oppure, a lettura inversa, più che conseguenza, ne sono causa? In altre parole, i turisti vengono in Toscana attratti dal food oppure, una volta che sono in Toscana, godono anche della gastronomia regionale? Un ulteriore vistoso dato aiuta a individuare la risposta. La quota export Dop e Igp vale 94 milioni di euro, con una crescita del 18% circa nell’ultimo anno. I dati, sia detto, sono desunti dal report “La Toscana Dop Igp” realizzato da Ismea in occasione della settima edizione di BuyFood Toscana, la vetrina internazionale del gusto made in Tuscany.
Un modello di identità e sostenibilità
La risposta, pertanto, la formuleremmo all’incirca così: la Dop Economy Toscana svolge vigoroso ruolo centrale nel sistema socioeconomico della regione e agisce come leva di competitività e identità territoriale. Quindi, piuttosto che porsi il fuorviante dilemma “causa o effetto”, definiremmo lo scenario come l’agognato “circuito virtuoso”, laddove l’eccellenza del comparto agroalimentare traina incrementi di flussi turistici che, a loro volta, sospingono gli attori del comparto a tendere al miglioramento continuo che si rivela essere key factor. Molto significativa, soprattutto nelle aree interne, la diffusione di agriturismi, con exploit nel periodo post Covid. Se ne contano circa 5.800, pari al 22% del totale nazionale. Il 47% degli agriturismi produce almeno un prodotto Dop o Igp e un terzo adotta il metodo biologico. Evidente, pertanto, la domanda di turismo slow.

Si diceva che da soli, appena 6 prodotti su 32 (il 19% circa) valgono l’88% del valore complessivo. Ne consegue che, ben forti e consolidati gli highlight su questi sei, è doveroso dare visibilità agli altri 26 prodotti. Qui se ne individuano tre: Farina di Neccio della Garfagnana Dop, Farro della Garfagnana Igp, Lucca Dop - Olio evo. Da cogliere gli early warning (segnali precoci) provenienti dalla castanicoltura, che conta circa 1.600 aziende, parte considerevole delle quali localizzate in Garfagnana.
La Garfagnana e il valore delle radici
Non si può dire di conoscere davvero bene la Toscana se non si conosce la Garfagnana: castagneti secolari, fumanti metati tradizionali, mulini spesso ancora alimentati ad acqua e rigorosamente con macine a pietra che lentamente girano per ottenere una farina profumata e gustosa. I metati sono i locali adibiti all’essiccazione delle castagne. La “Farina di Neccio della Garfagnana Dop” ha ottenuto la Dop nell’anno 2004. La farina, per essere Dop, deve essere prodotta con metodi tradizionali utilizzando varietà di castagne autoctone; l’essiccazione delle castagne deve avvenire a fuoco lento con l’utilizzo esclusivo di legna di castagno e all’interno di caratteristici essiccatoi detti metati. La mondatura delle castagne secche deve essere realizzata con le macchine a battitura e, infine, la macinatura deve avvenire in mulini con macine a pietra. Tutta la filiera è sottoposta a supervisione da parte di un organo di controllo e ogni fase contribuisce a garantire un prodotto dalle caratteristiche organolettiche uniche e inconfondibili.

Altro prodotto di eccellenza della Garfagnana è il Farro della Garfagnana Igp. Il farro è uno dei più antichi cereali utilizzati dall’uomo, la cui coltivazione risale circa al 7000 a.C. Probabilmente è originario della Palestina, dove è tutt’ora diffusa una specie spontanea di farro (triticum dicoccoides). Diffuso in Grecia, dove veniva chiamato “olyria” o “chondros” per via della farina bianchissima che se ne otteneva, divenne poi il piatto forte dei Romani, che presero a coltivarlo intensivamente durante la loro avanzata nel Mediterraneo. Per Roma il “puls” (o farratum) era considerato un piatto di buon augurio, segno di abbondanza e fertilità. Molto apprezzati erano anche la “mola salsa”, preparata con farina di farro tostato e sale, e il “libum” (una sorta di torta di farro), che venivano offerti agli Dei durante i sacrifici propiziatori. Anche nella Bibbia (Ezechiele 44-30) si cita, con il nome ebreo di “Arisab”, il farro.

Ancora oggi questo cereale è alla base dei piatti nazionali in Libano, Libia e in quasi tutto il Medio Oriente, pur con nomi diversi (Taboulé, Kibbé, Salf). In genere questi piatti risultano più o meno le stesse “pietanze”, cioè una specie di minestrone molto denso di farro “ammollato” (a crudo o cotto) mescolato a ceci, menta, olio di oliva e pepe, con il quale si farciscono tenere foglie di fico appena germogliate. C’è anche il “Kibbé libanese”, composto da farro ammollato e bollito con carne di pecora cotta nel sugo di pomodoro. Il “Kibbé libico”, comune e conosciutissimo anche in Tunisia e in Marocco, è costituito invece da farro ammollato e bollito, filetti di pesce, zucca spezzettata e spicchi di noce. La tecnica colturale del farro è molto simile a quella del grano. Circa 200 ettari di coltivazioni, situate a quote variabili dai 300 ai 1000 m s.l.m., nella parte settentrionale della valle del Serchio: questo è il territorio di produzione del Farro della Garfagnana Igp.

La cucina tradizionale garfagnina è, come tutte quelle di origine contadina, semplice negli ingredienti e nella preparazione. Più ricco era il cibo nei giorni festivi e nelle grandi ricorrenze, quando anche sulle tavole dei contadini comparivano gli arrosti, gli stufati di carne, vari dolci e il vino delle cantine ben fornite. Questa sostanziale semplicità si trova ancora oggi in molti piatti dai gusti genuini e dai sapori antichi, che esaltano il meglio della produzione agricola locale. In cucina il Farro della Garfagnana Igp è molto versatile. Ideale con le verdure, può essere utilizzato per qualsiasi piatto al posto della pasta e del riso. Il Farro della Garfagnana Igp, grazie alle sue caratteristiche, non necessita ammollo.
L’oro verde di Lucca
Eccellente, in lodevole fase di rinascita, l’olio extravergine di oliva Lucca Dop, ottenuto dai frutti dell’olivo delle varietà Frantoio, Frantoiano o Frantoiana, presenti negli oliveti fino al 90%, e Leccino fino al 30%.
Possono concorrere altre varietà minori fino a un massimo del 15%. La zona di produzione dell’olio extravergine di oliva Lucca Dop interessa 20 comuni della provincia di Lucca. L’olivicoltura nell’area di produzione dell’olio extravergine di oliva Lucca Dop ha origini antiche, documentate già dall’VIII secolo. L’importanza dell’attività oleicola ha conosciuto una significativa crescita nel XIV e XV secolo, quando in tutta la Toscana vennero prese misure finalizzate a promuovere e proteggere questo tipo di coltura.
Le olive devono essere raccolte direttamente dalla pianta, preferibilmente a mano e senza, comunque, considerare le olive cadute a terra. La raccolta deve concludersi entro il 31 dicembre di ogni anno. Le olive vengono trasportate al frantoio in modo da consentire la perfetta conservazione del frutto, avendo cura di mantenerle in recipienti rigidi e arieggiati, in locali freschi e asciutti, fino alla molitura, che deve avvenire entro due giorni dalla raccolta. L’olio extravergine di oliva Lucca Dop si presenta di colore giallo con toni di verde più o meno intensi. L’odore è fruttato di oliva da leggero a medio e il sapore è essenzialmente dolce, con sensazione di piccante o di amaro in relazione al grado di fruttato.

L’olio extravergine di oliva Lucca Dop si caratterizza per un livello di acidità massima totale di 0,5 g per 100 g di olio, un punteggio al panel test maggiore o uguale a 7 e un livello di polifenoli totali maggiore o uguale a 100 ppm. Il prodotto è immesso in commercio nella tipologia olio extravergine di oliva Lucca Dop. È commercializzato confezionato in recipienti di vetro di capacità non superiore a 5 l. L’etichetta deve riportare l’indicazione Lucca seguita dalla menzione "Denominazione di origine protetta (Dop)", il simbolo comunitario, il logo prodotto e l’annata di produzione.
Visione e armonia corale
Quanto è grande la suadente lezione che impariamo visitando la Garfagnana e la Lucchesia. Ci sono le persone, innanzitutto. Le abbiamo osservate bene, ma proprio bene bene. Tutte persone gigantesche, che a guardarle dalla testa ai piedi veniva male al collo. Come mai tutti giganti? Quale ormone della crescita è stato loro inoculato? Giganti davvero, sebbene i centimetri quelli veri non c’entrano proprio niente. Giganti perché hanno i piedi ben saldi sulla terra, la loro amatissima terra. Sanno bene cosa significa l’impegno quotidiano, il lavoro, anche l’atavica fatica contadina, e sanno bene che da soli non andrebbero da nessuna parte. Il solista può essere anche splendido cantore, ma non serve. Oggi serve cantare in coro, e costoro esprimono commovente armonia corale. I piedi ben piantati sulla loro amatissima terra e… la testa tra le nuvole. Testa tra le nuvole a volere intendere saper guardare lontano, avere visione, immaginare lo stato desiderato futuro e ad esso tendere giorno dopo giorno, mettendo in simbiosi il cervello con il cuore.


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