Il sommelier
che rompe le regole: “non serve più” il vino, lo racconta
(e lo produce)
Paolo Porfidio, miglior sommelier 2023 di Identità Golose e premio “Personaggio dell’anno - Italia a Tavola 2019” nella categoria Sala e Hotel, oggi head sommelier dell’Excelsior Gallia, scardina i vecchi schemi: ha creato una sua etichetta, trasforma il vino in racconto e dice basta ai sommelier «pinguini e portapiatti» che non emozionano più nessuno
Redattore
Altro che schede tecniche, punteggi e rituali ingessati: Paolo Porfidio è l’anti-sommelier che vuole cambiare le regole del gioco. Classe 1989, 36 anni, ha alle spalle una maturità scientifica, la laurea in Viticoltura ed enologia, il diploma da sommelier e numerosi riconoscimenti, tra cui il premio “Personaggio dell’anno - Italia a Tavola 2019” nella categoria Sala e Hotel e il titolo di "Miglior sommelier 2023" per Identità Golose. Ma è anche comunicatore e divulgatore - insegna alla Cattolica e alla Iulm e scrive sulle nostre pagine - oltre che coordinatore Aspi e fondatore della guida Wine List Italia e del progetto Somm is the Future, movimento nato per scardinare i modelli classici della sommellerie e ripensare il sommelier come narratore culturale e ponte autentico tra vino, sala e cliente.
In poche parole, un visionario, giovane (e poi dicono che i giovani non abbiano voglia di mettersi in gioco). Ah, dimenticavo i ruoli più importanti. Paolo oggi è head sommelier all’Excelsior Gallia di Milano e da qualche anno ha avviato anche la sua cantina e, giusto poche settimane fa, ha presentato la sua prima bottiglia. Da professionista di altissimo livello qual è, lasciamo che sia lui a raccontarcela: «Tutto nasce dalla mia passione per il vino: produrre un’etichetta personale è sempre stato il mio sogno. Dopo le esperienze nel Chianti Classico - un territorio di cui mi sono innamorato - e all’estero (a Londra, ndr), subito dopo il Covid ho deciso di acquistare un ettaro di vigneto a Castelnuovo Berardenga, in provincia di Siena».
L’esordio da produttore con “Pigmento di Vigna - Rosso Porfidio 2022”
Nel 2022, la prima vendemmia, che Porfidio ha seguito personalmente in ogni fase, dall’aspetto agronomico a quello enologico. Dopo un lungo affinamento, come detto, poche settimane fa è stato presentato ufficialmente il “Pigmento di Vigna - Rosso Porfidio 2022”, un Sangiovese che ha segnato il suo debutto da produttore. «È un progetto ambizioso - racconta - nato dal desiderio di ricercare la massima precisione e pulizia, ma anche dall’idea di dare al vino un’anima che andasse oltre la bottiglia».

Accanto al lavoro in vigna e in cantina, Paolo ha scelto di dare al progetto anche una dimensione artistica. Per farlo ha coinvolto Francesco Fossati, artista contemporaneo, famoso per utilizzare solo pigmenti naturali: «Gli ho chiesto di estrarre il pigmento dalle vinacce utilizzate per la fermentazione alcolica di ogni annata - spiega. In questo modo l’etichetta porta ogni volta un colore diverso, figlio della vendemmia da cui nasce. È un modo per preannunciare la degustazione, perché il pigmento diventa parte integrante dell’esperienza».

L’etichetta, infatti, non è pensata solo come segno visivo ma anche come esperienza tattile: il pigmento viene steso direttamente sulla carta, creando una superficie materica. «Così come il vino evolve e si trasforma con il tempo - aggiunge Porfidio - anche il colore dell’etichetta potrà mutare durante l’invecchiamento. Forse assisteremo a un’evoluzione parallela, con bottiglia ed etichetta che raccontano insieme il passare degli anni». Incredibile, spettacolare, davvero... da applausi.
Il ruolo del sommelier come narratore
Detto ciò, il discorso dell’etichetta ci porta inevitabilmente all’attualità e al ruolo del sommelier come interprete e divulgatore. «Oggi - spiega Porfidio - non basta riportare dati o schede tecniche: il compito del sommelier è trasformare una bottiglia in un racconto, restituendo al cliente la filosofia, le scelte produttive e il territorio che ci sono dietro». Un’esigenza confermata anche dai consumatori: diversi sondaggi mostrano come gli italiani vorrebbero più informazioni direttamente in etichetta: «È vero - aggiunge - ma non credo che la soluzione sia scrivere sempre di più sulla bottiglia. Al contrario: serve uno storytelling autentico, e qui entra in gioco la sala. Tocca a noi sommelier rendere quei dati vivi, capaci di emozionare, di creare un’esperienza che vada oltre il semplice bere vino».
Il sommelier e il linguaggio da ripensare
A tal proposito, non mancano le critiche a un certo linguaggio enologico che, soprattutto in sala, rischia di risultare troppo tecnico e distante. Come si fa, allora, a rendere il vino accessibile senza banalizzarlo? «È fondamentale che il sommelier moderno eviti tecnicismi eccessivi, ormai spesso inutili - sottolinea Porfidio. Il nostro compito è essere ambasciatori di una comunicazione fruibile, capace di avvicinare l’appassionato o anche chi ha poche conoscenze, senza mai allontanarlo. Questo non significa banalizzare un vino, ma renderlo accessibile».

La chiave, per lui, è ancora una volta il racconto: «Lo storytelling non deve essere una favola inventata, ma il racconto autentico di un territorio, di una filosofia produttiva, di una visione. Solo così si lascia al consumatore un’esperienza da vivere, non una semplice degustazione tecnica. Naturalmente - conclude - il sommelier deve padroneggiare tutte le nozioni e le competenze tecniche, ma deve saperle tirare fuori soltanto quando l’ospite le richiede».
La centralità della sala nella ristorazione
Se l’ospite è il vero protagonista dell’esperienza, allora la sala è il luogo in cui tutto prende forma. Eppure, questo spazio viene ancora troppo spesso bistrattato, messo ai margini del racconto di un ristorante. In realtà, come sottolinea Porfidio e come scriviamo da sempre su queste pagine, ha un ruolo fondamentale. «Negli ultimi anni, per fortuna, l’attenzione è cresciuta - spiega - e io cerco di valorizzarla quotidianamente attraverso iniziative come "Wine List Italia" o "Somm is the Future", ma anche con attività di divulgazione nelle università e negli istituti alberghieri. È fondamentale fare gruppo tra i professionisti per dare sempre più visibilità a questo mestiere».

Un ruolo che non si limita al servizio, ma che diventa parte integrante dell’esperienza stessa. «La sala è il palcoscenico di uno spettacolo che parte dalla cucina ma si compie al tavolo. Uno chef può creare il miglior piatto del mondo, ma senza una sala all’altezza l’esperienza resta incompiuta. Non deve essere asettica o ingessata: deve saper divertire, coinvolgere e regalare all’ospite un momento memorabile». E con un pizzico di ironia aggiunge: «Abbiamo bisogno di professionisti veri, capaci di fare questo mestiere con consapevolezza, non di semplici portapiatti o, come si dice spesso, di pinguini».
La crisi del personale qualificato
Il palcoscenico, però, oggi rischia di rimanere senza attori. Bar, ristoranti e pubblici esercizi faticano sempre più a trovare personale qualificato: una carenza che si riflette ogni giorno sul lavoro di sala e di cucina. Porfidio non nega il problema, ma preferisce spostare l’attenzione. «I motivi li conosciamo tutti, se ne parla ovunque - osserva. Piuttosto che continuare a elencarli, credo sia arrivato il momento di concentrarci sulle soluzioni». E la prima, secondo lui, riguarda i giovani: «Dobbiamo rendere questo mestiere appetibile, far capire che è una professione avvincente, con tante possibilità di crescita. Se resta percepita come un ripiego, continueremo a perdere energie e talenti».
Un altro nodo è la formazione, che non può più fermarsi agli istituti alberghieri, dove gli iscritti sono sempre meno: «È chiaro che il comparto oggi appare meno attraente rispetto al passato, ma ci sono anche persone provenienti da altri percorsi di studio che decidono di mettersi in gioco. Con loro bisogna iniziare subito un percorso di formazione all’interno delle stesse sale. Certo, per noi l’impegno raddoppia, ma dobbiamo smettere di leccarci le ferite e rimboccarci le maniche».
Le condizioni di lavoro e la sfida del futuro
Il problema, in fondo, è quello delle condizioni di lavoro. Nonostante la passione, molti professionisti guardano all’estero, attratti da prospettive più sicure e tutele migliori. Ma in Italia, per Porfidio, qualcosa si sta finalmente muovendo: «Molti ristoratori, soprattutto quelli più strutturati, stanno già trovando soluzioni concrete: ridurre il carico di ore, eliminare i turni spezzati. Sono passi importanti, che vanno nella direzione giusta».

A pesare, però, restano comunque contratti e retribuzioni, il terreno più delicato e al tempo stesso più urgente. «È un discorso complesso - ammette - ma non possiamo più rimandarlo. Serve un cambio di mentalità rispetto al passato, alzando lo standard qualitativo del lavoro e della vita personale dei dipendenti. Solo così eviteremo che i migliori professionisti scelgano di andare all’estero. L’Italia può offrire opportunità di alto livello: serve una visione nuova, capace di mettere davvero al centro il benessere delle persone».
Un messaggio alle nuove generazioni
Ed è proprio guardando al futuro che Porfidio si rivolge alla nuova generazione di professionisti della sala e di sommelier, lasciando un messaggio che suona quasi come un consiglio personale: scegliere questo mestiere non per necessità, ma per passione. «È un lavoro che regala grandi soddisfazioni ma richiede anche sacrifici. All’inizio può sembrare fatto solo di rinunce - dalle festività passate in servizio agli orari impegnativi - ma se vissuto con curiosità e spirito autentico diventa un vantaggio, non uno svantaggio. La passione e la motivazione fanno la differenza: nessuno regala nulla, ma con l’impegno si possono raggiungere traguardi importanti. E questo vale per tutte le professioni».

Un futuro, quello della sala, che per Porfidio passa quindi dalla capacità di restituire emozioni e autenticità, non da gesti automatici o linguaggi freddi. L’ironia con cui liquida i «pinguini e portapiatti» diventa allora un manifesto: servono professionisti veri, capaci di raccontare e coinvolgere. La rivoluzione è cominciata, e parte da un sommelier che non si accontenta di servire il vino: vuole cambiare il modo in cui lo viviamo.

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